Quattro agosto 1991. Circa diciassette anni fa. Facendo la valigia e sperando di riuscire a chiuderla (ventidue giorni di trasferta non sono pochissimi) riflettevo su quello che ha significato questa avventura. Non solo per me, che mi sono trovata catapultata in antichi amori (teatro e musica), ma per i discorsi più volte tentati su repertorio classico e fruizione del medesimo. Allora, prima di perdere l’aereo, mi limito a riproporvi uno dei primi articoli che la vostra eccetera ha scritto per Repubblica, appunto diciassette anni fa. Era questo. Ci si ritrova a Roma.
Nell’ anno di Mozart e di Prokofiev, si torna a parlare sempre più spesso del rapporto tra musica e infanzia. Forse il merito è di Leopold Mozart che, quando il figlio Wolfgang era ancora nella culla, percuoteva con una bacchetta le sbarre del suo lettino per saggiarne la musicalità. O del tandem Abbado-Benigni e della loro fortunata versione di Pierino e il lupo, per mesi in vetta alle classifiche discografiche.
Fatto sta che è tutto un fiorire di iniziative sulle infinite suggestioni che legano età infantile e sonorità del pentagramma. La Scala sta allestendo per il prossimo autunno un nuovo spazio destinato ai più piccoli. Città di Castello s’ appresta ad ospitare, nei primi giorni di settembre, il convegno nazionale “A partire da Mozart”: neuropsichiatri, pedagogisti e musicologi discuteranno sulla genesi della conoscenza musicale e della creatività. “E più in generale – precisa l’ organizzatore Sergio Nordio, ordinario di Pediatria e direttore scientifico dell’ Istituto per l’ Infanzia di Trieste – ci soffermeremo sulla ‘ cultura musicale’ del bambino che proprio Mozart ci suggerisce”.
Ma il modello mozartiano può oggi servire da referente per le nuovissime generazioni? Avanza delle riserve Roberto Maragliano, ordinario di Didattica all’ Università di Roma e sperimentatore di nuove strade per la formazione musicale. “Il modo in cui la tradizione classica si rivolge ai bambini presuppone una società in cui la musica è davvero una componente importante del mondo infantile. E dove il compositore trasferisce il proprio sapere musicale su alcuni sistemi di riferimento infantili, dal suono dei giocattoli alla trama delle fiabe. Ma la nostra società è molto cambiata”. Rilievo non da poco, dal momento che, oggi, in Italia, l’ educazione musicale è considerata dalle istituzioni pubbliche meno d’ un optional. Contrastano questa tendenza alcune iniziative sperimentali. Il “Suzuki Talent Center” di Torino, ad esempio, prescrive ai bambini di un anno l’ ascolto quotidiano di cassette con incisi semplici brani musicali. E’ sottinteso un preciso diktat: che si evitino in tutti i modi la televisione e la cattiva musica.
Ma non tutti gli studiosi approvano tale severità. Per il professor Maragliano, la conoscenza musicale dei bambini di oggi parte proprio dai fumetti televisivi. “E’ dalla Tv – sostiene – che proviene quel repertorio di canzoni, per lo più sigle di cartoni animati, che costituisce il primo percorso del bambino nel suono. Mentre i compositori colti si rivolgono soltano ai virtuali musicisti, con una produzione prevalentemente strumentale, l’ universo della musica commerciale va incontro alle esigenze dei più piccoli, proponendo per il 99 per cento dei casi musica vocale. I due mondi, al momento, rimangono separati. Occorrerebbe, invece, ripensare la musica come linguaggio, prima ancora che come arte. Un linguaggio per tutti”.
A tanti anni di distanza, la situazione è migliorata? Temo proprio di no: a quattro anni da quando ho lasciato il liceo, l’impressione è che la musica nelle scuole continui ad essere snobbata, né si sono fatti molti passi avanti per cercare di mettere in comunicazione musica “alta” e musica “bassa” (ammesso che questi attributi abbiano un senso)
Io credo che la musica sia davvero o bella o brutta.
Però la musica classica è come il latino. Nessuno ha mai dubitato della sua grandezza, ma non è per niente naturale amarla. Certo, probabilmente un bambino se sente il rondò alla turca di Mozart, il volo del Calabrone o qualche brano di Rossini, difficilmente lo schiferà. Molti continuano a pensare che la musica classica sia bella in quanto tale, oggettivamente. Invece non è vero, o quantomeno non lo è vero SEMPRE.
Io sono del parere che il miglior modo di avvicinare un bambino alla musica, e quindi alla musica classica, sia sì attraverso l’ascolto, ma soprattutto lo studio dello strumento. Imparare a suonare uno strumento, dall’ocarina all’organo dovrebbe essere “obbligatorio” in un’educazione decente. L’investimento che si fa è immenso. Capire perché “Stairway to heaven” è un capolavoro e “Baby one more time” una frittura mista dovrebbe far parte del bagaglio culturale di un individuo. E ho citato i Led per non accostare Brahms a Britney…
Quindi inseriamo questa cavolo di ora di musica ogni due giorni dalle elementari. E alle medie strumento obbligatorio!
Sacrosanto Ekerot, io direi che rimane fondamentale avvicinare i bambini a uno strumento E PURE al movimento ritmico. E sia detto a complemento, io odio la mania tutta occidentale di produrre iperspecialisti che si vogliono apprezzati appieno da elite minuscole (cfr. Riondino&Bollani nella trasmissione di radio3 Dottor Djembè). Controesempio: la danza e la musica nel Rinascimento erano molto meno complesse perché l’idea era che doveva essere possibile parteciparvi.
Pazienza se l’idea, allora, era comunque elitista (poter non far sembrare LDMedici ‘in pista’ come un orso fra le gazzelle…): oggi se ne potrebbe trarre una grande lezione. L’idea di un’arte davvero condivisibile (di arti condivisibili, ma detta al plurale suona strano) dovrebbe essere considerata più seriamente…