SOPRAMONTE: RISPONDE ANDREA CORTELLESSA

Non ho un dream, ho un’esigenza, e mi auguro che
venga accolta. Vorrei che si discutesse pacatamente, senza impugnare scimitarre
e sfoderare pistole, sulla quaestio Cortellessa-Evangelisti. Questo perché
Andrea Cortellessa mi ha scritto ieri una lunga mail (cui ne sono seguite altre
che restano ovviamente private) rispondendo a quanto dibattuto qualche post fa.
Io gli ho chiesto di poterla rendere pubblica, e lui ha immediatamente
acconsentito. In fondo all’intervento inserisco due scritti dello stesso Andrea
su Ballard e Dick, scaricabili, leggibili, meditabili.
Essendo persona
fiduciosa, a dispetto di tutto, mi auguro che il commentarium sia agito
civilmente. Grazie.

Cara Loredana,

interessante il tuo intervento su William Gibson,
scrittore che apprezzo anche se non mi impazzire (quasi tutto il buono è
uno spin-off di P.K. Dick). Solo che, se credi questo
"risponda" al mio su Tuttolibri, evidentemente proprio
non ci capiamo. Non sono io a parlare di Torri, di Serie A e B, di golden share
e golden gol, di Invasioni di Barbari in Sublimi Reami asserviti a
Noiosi Parrucconi Accademici. Tutto quest’immaginario appartiene
a Evangelisti e a chi crede al suo verbo. Personalmente a questa
suddivisione razzista, da curva sud, non credo affatto; ho pubblicato una
quantità di articoli su autori che appena hanno potuto si sono affrancati dalle
strettoie del "genere", quali Dick e Ballard (su questo anche un
saggio di decine di pagine); in generale amo moltissimo, sin da
infante, la science fiction, che tuttora credo diversa dagli
altri "generi" classici per dei motivi che ho pur scritto su Alias
tempo fa (ti allego il pezzo, uscito l’11.12.2004) e che vedo riconosciuti
anche dallo stesso Evangelisti nel suo libro (il sense of wonder che
della SF è ingrediente principale non prevede compatibilità con le routine
seriali; laddove accade, per es. nella prima mitica serie di Star Trek,
è perché trattasi in realtà di contes philosophiques sotto mentite
spoglie; le serie successive, che hanno perso quest’ambizione anche politica,
sono infatti un’indigeribile minestra riscaldata), libro che come ho
riconosciuto nel mio articolo è in buona fede (ciò che non può dirsi, secondo
me, di molti suoi snobistici settatori) e ospita diverse pagine di intelligente
approfondimento (fra le quali, ahimè, non l’introduzione). È Evangelisti che
dopo aver elencato Balzac Dickens Zola tace, lasciando intendere che ciò che
viene dopo (in serie A, si capisce) è ininteressante onanismo intelletteluoso e
stilisciuto (ivi comprese le avanguardie e per es., in particolare, i
surrealisti che un tuo postatore – si dice così? – è arrivato a pensare fossi io
a trovare noiosi; e sì che ho scritto due settimane fa una pagina su Magritte;
vabbè non si è tenuti a leggere Alias, però poi ci si lamenta se i bloggers
vengono trattati come degli ignoranti).

In particolare il termine monnezzone, che
ho visto aver sollevato le solite incazzature (era già successo quando in una
postfazione minimum fax avevo osato parlare male di Tolkien), malgrado
l’attribuzione all’idioletto di Ballestra non è stato percepito nella sua
valenza che è familiarmente affettuosa oltre che adeguatamente irrispettosa.
Anche qui, non si pretende che tutti abbiano letto Ballestra ecc. ecc. Ecco:
non si pretende non si pretende non si pretende. Però questo diritto a non aver
letto nulla e nulla leggere se non ciò che sia riconoscibile come dermicamente,
irsutamente, pancettescamente nostro mi pare il primo limite,
limite culturale, dei cultori del "gggenere" (al cinema ancora più
perniciosi che in letteratura).    

Quanto agli incroci di livello tra cultura popolare
e sperimentazione, tutto questo dibattito pare aver completamente bypassato il
postmoderno, Pynchon Tarantino ecc., che hanno mostrato con flagrante
evidenza come il bello sia – sempre – quand’è la seconda a
capovolgere il vettore derivativo abbeverandosi alla prima, così trascinando
quelle che alla fonte sono noiose macchinette dal funzionamento sempreuguale in
stupefacenti oggetti ad alto tasso di ambiguità. Ripetevo il bigino sull’Indice
in data marzo 2003, ho l’impudenza (per brevità) di autocitarmi:
"L’equivoco, con i generi, è che una cosa è riproporli tali e quali
– con spirito quando va bene ingenuamente affettivo, più spesso rigidamente
normativo –, ben altra vampirizzarli, mescidandoli e variamente pervertendoli
(come fa Tarantino, appunto): dando vita a forme nuove che simulino il
rispetto dei confini e delle norme tradizionali. Per in realtà decostruirle,
giocando sui loro interstizî e cesure, denunciando l’arbitrio e la cattiva
coscienza: di quelle convenzioni e quelle norme. Si pensi al lavoro di Tommaso
Pincio sulle strutture della fantascienza o, da ultimo, sulla quest
biografica nell’immaginario collettivo".

Insomma, scusate se faccio il professore (anzi il
dottore, come qualcuno che a mia differenza evidentemente professore è, o
si sente, ha creduto suo dovere di elegantemente specificare), però
un po’ di ripasso ai fondamentali, prima di montare casini di questa portata,
non ci sarebbe stato male.

Grazie della paziente attenzione e buon lavoro, tuo
Andrea Cortellessa

Download dick_palmer_eldritch_2003.rtf
Download ballard_racconti_2004.rtf

93 pensieri su “SOPRAMONTE: RISPONDE ANDREA CORTELLESSA

  1. Scusate se gioco al fanciullino de ‘I vestiti nuovi dell’imperatore’, ma la mia sensazione è che la ***nuova banalità*** sia proprio quella di minestronare i generi. Per carità, ognuno è libero di usare gli ingredienti che vuole e di tentare le più ardite combinazioni, di farcire di birichine cozze anche il tradizionale coniglio al forno, ma… perché continuare a scomporsene?
    A qualcuno piace scrivere o leggere l’operona barocca con dentro un po’ di tutto? Benissimo. Qualcun altro preferisce scrivere o leggere un bel poema epico tradizionale?
    Benissimo. Dove sono i problemi?
    Parlavo ieri nel mio blog, a proposito delle prime reazioni alle fiabe di Andersen, di “Critica del pisello”… 🙂

  2. A parte che non aver letto la Ballestra non mi sembra un reato né una perdita inconcepibile, io ho il sospetto (ma non ho le prove, ovviamente) che Cortellessa non conosca i libri di Evangelisti e abbia soltanto sfogliato la raccolta di saggi che ha “recensito”, e temo non conosca nemmeno le sue precedenti riflessioni. Cosa che mi stupisce, trattandosi di un critico brillante e dotato di strumenti. Ho questo sospetto, perché Cortellessa accusa Evangelisti di suddividere tra “serie A” e “serie B”, di voler riproporre i generi tali e quali, di vantare una superiorità del genere, e altre amenità che sono palesemente il contrario di quanto Evangelisti ci ha sempre detto e proposto. Rimanderei anche all’articolo “Termidoro” di De Lorenzis su Carmilla, dove parlava della dimensione “seriale” come tendenza involutiva del genere contemporaneo, anziché come sua caratteristica. In coda al suo ultimo post su carmilla, lo stesso Evangelisti rimandava a “Termidoro”. In ogni caso ha ragione Lucio Angelini, questa cosa della necessità della “decostruzione”, del miscelare i generi letterari, è ormai una banalità terribile, ditemi chi non la fa, anche perché è impossibile non farlo, i generi si danno già come mescolati, decostruiti ecc. Io la darei come premessa accettata comunemente, per poter andare oltre. Poi, è chiaro, c’è chi pasticcia e chi ha un progetto coerente, e non si può certo dire che Evangelisti non abbia un progetto coerente. La sfida comunque oggi mi sembra un’altra, e se ne sta parlando in questi giorni, è la sfida di “Gomorra” di Saviano, di “La città distratta” di Pascale, a suo modo di certi libri “snelli” di Moresco e di tanti altri, cioè: la letteratura in una nuova simbiosi con generi non prettamente letterari (il giornalismo, la saggistica, gli atti giudiziari, la memorialistica). Non so se questo terreno sia postmoderno, non c’è dubbio che sia praticato anche da autori che vengono definiti “postmoderni” (Foster Wallace su tutti), ma – non credo a caso – lo praticano anche autori che vengono dal “genere” o che sono passati attraverso il “genere”. Giorni fa citavo la biografia-romanzo-allucinazione di Philip K. Dick scritta da Carrère, che è un autore di science-fiction. Altri hanno citato “I miei luoghi oscuri” di James Ellroy. Anche in Italia autori che vengono dal “genere” (dalla miscela tra generi) lo stanno superando (lo stesso Evangelisti, in fondo) in favore di qualcosa di che è sempre più difficile descrivere, una specie di produzione totale che non fa più tante differenze tra narrativa e saggio e chissà che altro. Giuseppe Genna può non piacere, ma va in quella direzione, e con lui tanti altri – il che non vuole certo dire che non si scrivano più romanzi veri e propri. Spero che Andrea Cortellessa si interroghi, in futuro, su tutto questo, senza i pregiudizi che mi sembra aver mostrato in questo caso. Per ora mi sento di dire: leggi meglio e ritenta, sarai più fortunato.

  3. Lucio,
    sono perfettamente d’accordo con te e se uno vuole passare da liala a Musil credo che dovrebbe poterlo fare e gestire la cosa senza doversi giustificare. Idem se dalla Kristof vuole passare a Evangelisti dopo avere attraversato Kafka, Tom Robbins, Heinlein, Vian, Queinau, Carolina Invernizio, Ellery Queen e frammenti di articoli internet/stampa.
    Se Cortellessa permette vorrei chiedergli: dove sta il problema?
    dove sta il problema con le ipotesi formulate da Evangelisti in merito ai ‘generi’ (con tutti i limiti che non si nasconde) che sono sempre più ‘determinanti’ in ambito letterario? La contaminazione esiste (è sempre esistita) e non a livello editoriale, ma a livello di lettori e posso assicurare che, per quanto riguarda parecchie persone, la cosa non causa nessuna malattia esantematica o desiderio di sopramonti.
    La commistione di ‘generi’ nel momento in cui attraversa il mondo di molti lettori (non di tutti, per carità) non può non avere echi anche sulle scritture e sull’immaginario.
    Per questo stupisco quando si parte a spada tratta per difendere idee preconcette di quello che la letteratura o gli ‘Autori’ dovrebbero (Devono) essere.Si obietterà che anche Evangelisti ha le sue idee in merito e non risparmia previsioni. Per quanto di suo ho avuto modo di leggere: sì, si schiera, ma non annulla presenze o visioni altrui, semmai ne pone in discussione le basi e la continuità nel tempo. Gli si potrebbe benissimo obiettare (e dimostrare, potendo) che la realtà non si muove in quel senso, ma in altre direzioni (quali? perchè? con quali segnali?). Diventa invece problematico accettare uno sbarramento che è fatto di opinione su quello che la ‘letteratura’ Deve essere e un arroccamento (semiironico) sopramonte per una provocazione di Evangelisti palesemente ironica.
    Ho spiegato che a me dell’originalità dei ‘generi’ travasata ad uso e consumo di una eventuale ‘letteratura d’elite’ non importa molto, ne sono pure inquietata nonostante questo sia un processo che non data certo da ieri. Preferisco meno paletti di accesso sia alla pratica che alla fruizione letteraria di qualsiasi livello o categoria.
    Mi restano una serie di dubbi relativi agli sperimentatori linguistici a oltranza e ai cultori dell’Autore come simbolo di autorialità e forse potete aiutarmi a chiarire.
    Queste due ‘visioni’ hanno sicuramente delle ragioni e non sta a me discuterle e condividerle, la domanda che mi pongo è: siete propio sicuri che a furia di ripetere che la ‘letteratura’ ha da essere questo (sperimentazione o Autore) la cosa si avvererà?
    Dal momento che dai lamenti contro la realtà non conforme a queste forme ideali si arguisce che non è proprio così, siete sicuri che per far andare la letteratura nel senso che vorreste la lamentela, la risposta scandalizzata siano la strada?
    Se si da (a sperimentatori o Autori) la possibilità di gestire una casa editrice con annessa rete distributiva, che non si preoccupa di eventuali perdite, siamo sicuri che la ‘letteratura’ prenderà la strada che gli oltranzisti di una propria visione desiderano che abbia?
    Permettetemi di coltivare dei dubbi a meno che non ci sia un regime che impedisca la lettura libera e costringa chiunque a leggere forzatamente e……… forse non si raggiungerebbe alcun risultato neanche in quel caso, forse si raggiungerebbero risultati opposti.
    Prima che qualcuno, a ragione, mi accusi di prolissità: perchè non provate a guardare il mondo intorno, la sua varietà, i suoi problemi (spesso di semplice accesso o capacità di lettura) e lo confrontate con le idee astratte che nascono in ambiti circoscritti e chiusi, forse bellissime, ma che probabilmente a un contatto con l’aria evaporano.
    besos

  4. mi pare che il pensiero espresso da cortellessa sia ben chiaro e non fungibile a interpretazioni di comodo
    canzian non ha capito un’acca delle ragioni di cortellessa; ma ripiega in un soccorso a evangelisti con un articoletto tutto da ridere su carmilletta, e adesso accusa cortellessa di non aver letto evangelisti
    canzian, si faccia una doccia fredda, si schiarisca le idee
    certo che siete una bella combriccola di compagnoni

  5. Per mancanza oggettiva di tempo, non intervengo quasi mai sui blog, letterari o meno. Se questa volta lo faccio, è per manifestare il mio stupore di fronte a quello che giudico un paradosso.
    Ho messo assieme tre raccolte di scritti vari intitolate Alphaville. Nella terza, “Distruggere Alphaville”, forse per la prima volta denunciavo con forza (credo) i limiti e le costrizioni della narrativa di genere. Iniziavo facendo notare la battaglia commerciale vinta, in Italia, dalle opere di quel tipo, ma per sottolineare, subito dopo, le insidie gravi che l’evento racchiudeva: ripetitività, luoghi comuni, trame consolatorie. Terminavo dicendo che la narrativa di genere fruttuosa è quella che sa andare oltre se stessa, fino ad avere il coraggio di suicidarsi, di negare la propria identità.
    Ebbene, tutto ciò è stato scambiato per un’esaltazione acritica della narrativa di genere, di cui io sarei l’alfiere.
    Non mi riconosco troppo in questo ritratto, che, a furia di citazioni mutile, mi fa dire il contrario di quello che penso.
    Né credo che la letteratura si sia fermata a Balzac o a Dickens. Basterebbe leggere (se se ne ha voglia) i miei scritti – tutti, per favore! – contenuti in “Distruggere Alphaville” e nei due Alphaville precedenti per capire che non è così.
    Certo, esistono autori che non ho mai letto. Potrei però sfoderare sotto gli occhi di Andrea Cortellessa una panoplia di scrittori a lui ignoti. Chiunque lo potrebbe. Se non lo faccio è perché detesto lo snobismo culturale.
    In definitiva, posso dirmi soddisfatto. I primi due Alphaville non se li è filati nessuno. Questo terzo, se non altro, ha attirato l’attenzione di Andrea Cortellessa, di Giuseppe Iannozzi e di molti altri. Invece di regalarlo all’editore, come i precedenti, avrei dovuto chiedere anticipi e diritti.
    Valerio Evangelisti
    (dottore anche lui, ma senza sentirsi particolarmente leso dal fatto di non essere professore)
    PS. Se Cortellessa avesse letto meglio “Distruggere Alphaville”, forse non avrebbe scritto che la fantascienza non prevede la serialità. In un saggio contenuto nel libro dimostro ad abundantiam l’esatto contrario.

  6. Ringrazio gli intervenuti per l’interesse, che mi pare sincero, a una questione che è importante ma che a mio parere è stata per lo più malposta, negli ultimi anni. E ringrazio in particolare il fair play di Valerio Evangelisti e il suo intervento di oggi. Due piccolissime questioni d’etichetta (non ostento il disprezzo di altri per il galateo; il galateo è una retorica e, come tale, serve a comunicare tra gli individui): il fatto che mi si apostrofasse “il dottor tal dei tali” a Evangelisti non pare offensivo perché, per sua fortuna, ignora certe consuetudini, sia intra-accademiche che esterne all’accademia (se uno scrittore polemizza con un accademico, in generale prima o poi lo chiama “il professor tal dei tali”, come se tale qualifica estraniasse l’interlocutore dal consorzio umano; anche questa è una forma di razzismo culturale); non aveva intenzioni offensive, vengo a sapere, e ne sono lieto. Quanto all’accusa di non aver letto il libro recensito, mi è già capitata una volta quest’accusa (non dico da chi) ed era male indirizzata: allora come oggi. Il libro l’ho letto, come leggo sempre ciò che recensisco, così come avevo letto il precedente (non il primo), quello che infatti nell’articolo ho citato (l’introduzione relativa si trova ancora sul sito di Evangelisti stesso e da lì l’ho ripescata). Se ho creduto giusto polemizzare con lui, è perché Evangelisti mi pare l’ideologo principale di un pensiero, quello appunto circolato negli ultimi anni riguardo ai “generi”, che ho provato a riassumere nel famoso pezzo di Tuttolibri. Se l’ho fatto in maniera troppo univoca e tendenziosa è perché siamo nel contesto retorico “recensione”, che ha le sue regole a partire da quelle di spazio.
    È vero che non l’ho letto abbastanza come narratore. Ho provato con un paio di libri, uno di Eymerich e uno estraneo al ciclo, e devo dire che non sono andato avanti. Non voglio offendere né lui né chi l’apprezza. Ho gusti (come mi è stato fatto notare) assai minoritari, e una narrativa che concentra tutti i suoi sforzi sulla trama, sul dipanarsi dell’intreccio, non ha mai riscosso il mio interesse. Ognuno ha i suoi limiti. Però in questione, nel mio articolo, non era il valore del narratore che non ho proprio tirato in ballo; era il suo pensiero, che (mi spiace dica qui il contrario, come anche nelle pieghe dell’intro all’ultimo Alphaville – e queste controspinte pure le ho onestamente segnalate) è stato in prima fila, in questi anni, nel rivendicare contro il mainstream il valore a) letterario (lavoro sulla trama vs. complicazione strutturale e linguistica: semplifico per brevità, spero che ci capiamo) e b) politico della narrativa di “genere”. Se Evangelisti non riconosce di essere stato in prima linea su questo fronte, non capisco perché abbia dedicato all’argomento ben tre libri di saggi.
    Io, per parte mia, penso vadano chiariti un paio di punti. Uno, la questione della serialità. Sono convinto che una forma d’arte seriale, e solo tale, non sia una forma d’arte. Non lo si prenda come un postulato, ho spiegato nel mio articolo perché lo penso e non mi ripeto. Dico “solo tale” perché so benissimo che in tanti campi, a partire dalla rivoluzione del minimalismo musicale in particolare (sin dall’archetipo Satie), la serialità e la ripetitività sono state un fattore innovativo del massimo interesse. Però i maggiori autori minimalisti, in musica come nelle arti visive (in letteratura “minimalismo” vuol dire tutta un’altra cosa, com’è noto), hanno capito subito che bisognava lavorare su altri piani di discontinuità: per esempio se melodia e ritmo restavano fissi a mutare era il timbro, o il fraseggio, o l’agogica, o soprattutto la dinamica (basta ascoltare il miglior Philip Glass per farsi un’idea). L’ipnosi in quanto tale non è arte, è appunto ipnosi (con tutte le conseguenze, anzitutto politiche, che ho scritto). L’ipnosi procurata allo scopo di dare la scossa del risveglio, mi pare ovvio, è tutto il contrario. Non ho con me Distruggere Alphaville perché l’ho prestato all’amico Enzo Di Mauro, ma nel saggio sulla science fiction Evangelisti parte proprio dalla considerazione per cui, proprio perché tratta del futuro (o di dimensioni parallele, in ogni caso sottratte alla nostra esperienza del visibile), con quello che i teorici degli anni Quaranta e Cinquanta chiamavano Sense of Wonder, la ripetitività (dei personaggi, delle situazioni, degli ambienti, ecc.) o non c’è affatto o ha funzioni particolari (ho fatto io l’esempio del primo Star Trek, nel quale se si ripete uno schema si ripete, mutatis mutandis, come nei Dialoghi di Platone). Prova ne sia, non so quanto Evangelisti sia d’accordo, che laddove ciò non accade abbiamo pessima SF (penso alla space opera in particolare).
    Due, la questione della politicità. Il saggio su Hammett è tra i più felici del suo libro, l’ha sottolineato anche Di Mauro nel suo pezzo su Alias, anche perché porta allo scoperto un nesso di significati che per lo più vedo dare per scontati ma che sono tutti da discutere. Ho letto Hammett, amo più alcuni film tratti dai suoi libri, e per me (per quel che si può giudicare dalle traduzioni, beninteso) il suo stile è davvero troppo piano. È come se, di fronte a una palude immonda, prima di immergerci indossassimo l’abito da sera. Un postulato, questo sì, mi viene dalla tradizione del moderno: la materia impone un adeguamento della forma (perciò quest’ultima non è un giocarello per bambini annoiati bensì, come scrisse Contini una volta, un modo per afferrare, intaccare, cioè conoscere la materia). D’altra parte conosco bene un’altra linea di pensiero della sinistra, secondo la quale proprio l’asciuttezza e il decoro sono di per sé una forma di giudizio su quanto si narra. È quel che pensa Di Mauro, per esempio. Sono due sinistre diverse, che hanno diversi libri sul comodino. Il punto però non è nella lingua o nella costruzione della trama in quanto tali. Il punto è che un’opera d’arte che si voglia politica dovrebbe, a mio modo di vedere, non fermarsi a una più o meno garantita eticità linguistica (visto che, oltretutto, non tutti la recepiscono allo stesso modo). Dovrebbe invece rinviare anche, per via allegorica, all’orizzonte comune d’esperienza che intende mettere in questione. Di allegoria oggi non va di moda parlare, ma se guardiamo al Novecento “A” vediamo che le maggiori opere politiche – un nome per tutti, che forse mette tutti d’accordo: Kafka – impiegano quasi sempre questo vecchissimo e straordinario strumento (vecchissimo, sì, e per niente d’avanguardia; Dante ne è il massimo e più pervasivo esempio).
    Molti scrittori che si professano di sinistra, e hanno magari trascorsi importanti sul piano dell’impegno, mi pare non impieghino, o non padroneggino a sufficienza, questo strumento: che invece per es. sempre la grande science fiction ha impiegato, almeno dagli anni Quaranta. Ho letto, o provato a leggere, i libri di questi scrittori. Ho sicuramente preso quelli sbagliati, come mi dice Loredana Lipperini. Però questo scatto dell’immaginario, questo salto di piano, non l’ho trovato. E il motivo forse sta proprio nella serialità. Poniamo (non lo voglio negare, dal momento che non li ho letti tutti) che un romanzo del ciclo di Eymerich abbia un’evidente intenzione allegorica. È possibile, e secondo me probabile, che autori e lettori “fidelizzati”, nei seguenti romanzi del ciclo, non abbiano più necessità – e anzi vedano come noiosa didascalia – l’essere ogni volta richiamati a quei presupposti. Ma allora, presi uno per uno, quei romanzi successivi finiscono per essere “solo” narrativa di consumo. (Se poi si vuole difendere la narrativa di consumo in quanto tale, il discorso cambia ulteriormente, però per favore rinviamolo.) Restando in campo italiano, ho apprezzato molto a suo tempo Q degli allora Luther Blissett. Era evidente, sia restando al testo che allargando l’osservazione al percorso che li aveva portati a scriverlo, un disegno allegorico di portata politica tutt’altro che banale. Un progetto che non s’è interrotto, nelle opere seguenti firmate Wu Ming, ma a mio modesto parere s’è annacquato. In particolare ho letto con divertimento 54. Con divertimento e con le migliori intenzioni, come si dice. Ma sono rimasto deluso. Non che non ci fosse, nelle intenzioni, una contro-storia d’Italia (e d’Europa), non che mancasse un’allegoria del consumismo nascente ecc. Però (a mio modesto parere) la “macchina da divertimento” finiva per far aggio su tutto questo. Non credo andasse stroncato, quel libro, e infatti ho evitato di farlo. I suoi autori sono capaci di far meglio, l’hanno dimostrato in passato. Però fra le mie poche certezze c’è quella che se un libro mi diverte, e basta, non è il mio libro.

  7. Ho passato, qualche giorno fa, una bella serata con Franz Krauspenhaar e Sergio Garufi a discutere proprio dell’articolo di Cortellessa (abbiamo anche bevuto birra, mangiato gelati, guardato le ragazze, etc., non solo parlato di Evangelisti vs Cortellessa, ovviamente).
    E mi sono reso conto che davvero ognuno legge quello che vuole (o quello che il proprio modo pregiudiziale di leggere ci fa intendere).
    C’era chi attaccava Evangelisti, chi lo difendeva.
    Io non difendevo in sé l’introduzione del libro di Evangelisti (quella su cui poi maggiormente Cortellessa ha lanciato i suoi strali) ma provavo vero fastidio per il modo in cui Cortellessa aveva liquidato la raccolta di saggi in questione. Ora: Cortellessa ha tutto il diritto di non essere d’accordo con Evangelisti, ovvio. E io non ho simpatie particolari o amicizie o legami “mafiosi” o quant’altro che mi fanno pendere da una parte o dall’altra. Anzi, su alcune cose non concordo appieno con Evangelisti, anche se la questione del “genere che ha vinto” (cosa a cui io non credo), messa in questi termini, era poco più che ironica e veniva quasi sicuramente dalla provocazione fatta da Scarpa un paio di anni fa proprio in rete (non l’avete letto? Non lo reputerò un limite culturale, come invece fa Cortellessa). Ma era proprio il tono da sfottò, da “a chi vuoi fare fesso”, “a me non la si fa”, il tono un po’ tronfio e parruccone (del quale Cortellessa non ne ha bisogno alcuno, in fondo) che mi aveva dato fastidio. Quel tono che avevo riscontrato in Cucchi, per intenderci, quando voleva farci capire, in un articolo sul Corriere, che lui sì che sapeva cosa fosse la letteratura con la L maiuscola (non avete letto neppure questo? Peccato!).
    Insomma, niente due pesi e due misure! Se vi danno fastidio le recensioni tranchant di D’Orrico (sul quale, normalmente in rete si vomita di tutto) allora dovreste provare lo stesso fastidio con questa su Evangelisti. Ma non nel merito di quello che dice, ma proprio nel modo in cui lo dice. Una recensione così non “apre” a nessuna discussione. Non mette in circolo idee, dubbi, riflessioni, ma marca il territorio: io di qui tu di là.
    Insisto: io NON credo che il genere abbia vinto un bel niente (se non la “battaglia commerciale”. Per quanto anche questo è vero molto in parte, e l’ho anche, a sua volta, contestato). E lo dimostra proprio il fatto che un critico di valore come Cortellessa possa permettersi una recensione così sprezzante su un libro che parla di generi, travisandone, tra l’altro, il senso. Lo dico da lettore, da intellettuale, da scrittore, non certo da scrittore di genere (non difendo, cioè, nessuna categoria). Io non ho mai avuto una passione particolare (di quelle fanatiche e ossessive) per il “genere”, non sono un lettore accanito di romanzi di genere, non ho mai letto un libro con Maigret, per dire! Ma soprattutto non mi sono mai posto la questione del genere come discriminatoria. Non ho mai distinto nella mia libreria i libri di Letteratura da una parte e quelli di Genere (pochi tra l’altro) dall’altra.
    E’ semmai l’assurda inerzia culturale (non so se tutta italica o meno) che mi deprime. C’è, è inutile negarlo, un vero pregiudizio, un marchio d’infamia, che ti preforma quando ti incasellano in un “genere”.
    Voglio fare un esempio personale. A tutt’oggi ho pubblicato 6 volumi (escludo, perciò, i miei saggi su riviste di settore su Proust, Ruskin, etc.; ed escludo anche la mesozoica antologia dove apparvero alcune mie poesie). Uno è su Giovanni Michelucci. Un altro è una curatela di scritti di Carlo Levi ed Elio Vittorini. Un altro ancora è su Pier Paolo Pasolini. Poi 3 romanzi, di cui 2 ascrivibili al “genere” giallo-noir-poliziesco (vedete un po’ voi) e l’ultimo ascrivibile a non so cosa (on the road? Romanzo di formazione? Boh!). Quest’ultimo parla di 4 ragazze che suonano in una band e fanno un viaggio. Cosa sono io? Un saggista? Un romanziere? Un poeta? Un giallista?
    Bene. Nella libreria sotto l’ufficio dove lavoro dove hanno messo questo ultimo mio romanzo? Potevano metterlo nello scaffale dei libri di viaggi. Di quelli sulla musica. Nei romanzi per ragazzi. Nei romanzi rosa (io narrante femminile). Addirittura in quello “letteratura italiana”. No. Lo trovate nel reparto Gialli. Che senso ha? Ogni volta che mi intervistano mi chiedono se ho “abbandonato il genere” (quale? Quello del saggio? Quello della poesia?). Mi chiedono se la mia è una parentesi, se tornerò a scrivere polizieschi, etc. Io rispondo ogni volta: “ho scritto dei romanzi. Questo è un romanzo. Il “genere romanzo” non mi pare di averlo abbandonato, no?”
    Insomma: tutto quello che ho pubblicato di “giallo” è solo il 30% della mia produzione. Eppure solo quella mi “caratterizza”, mi marchia (nel bene e nel male) indelebilmente. Perché? Eppure a leggere tutto quello che ho scritto non c’è affatto nessuna cesura, ma una perfetta continuità di contenuti in forme tutte le volte differenti (in funzione delle cose che andavo dicendo). Scrivere di Pasolini da una parte e poi di Quarto Oggiaro dall’altra, scrivere di Proust e poi un romanzo sugli anni ’80, parlare di Levi e poi della cultura popolare oggi, etc. etc. fa parte di un percorso intellettuale coerente (non ho detto “riuscito”, “ben fatto”, “geniale”. Nulla di tutto ciò. Ho detto solo coerente, consapevole).
    Come posso sperare di confrontarmi con un critico che sprezzante annovera un altro percorso coerente e consapevole (e di certo più “riuscito” e “ben fatto” del mio) come quello di Evangelisti nel calderone del “monnezzone”?
    Come dice Mozzi, più che dei giudizi, è dei pregiudizi, certe volte, che dovremmo parlare.

  8. Leggo solo ora le cose scritte da Evangelisti e Cortellessa che mi pare pongano la questione da un punto di vista più avanzato e meno rissoso. Ottimo.

  9. cortellessa, che come me non ama certi autori (de gustibus) usa però la parola magica (allegoria), il che ci impone di andare oltre il gusto e di esercitare dei tentativi critici.
    quindi riporto qui un lunghissimo intervento comparso altrove (ma dove? vallo a sapé)
    “Io vedo una certa via o tentativo di via che chiamerei neomedievale, in senso nobile, cioè un’uscita neoallegorica dall’empasse dell’io (uscita che non è certo l’unica frequentata ovviamente: solo per restare in italia la prospettiva che, per rimanere incomprensibile, chiamerei di “genetica linguistica materialista” del primo Moresco è completamente diversa, per non dire opposta, e se andiamo in campo anglosassone – DFW – si fanno altre cose ancora).
    la demistificazione dell’individuo/monade borghese e sua sostituzione con la singolarità costitutivamente intessuta, e la crisi della concezione dell’Autore prometeico (e implicitamente, va detto, dell’avanguardia novecentesca intesa come “crisi e dissoluzione dei generi/gabbia e presentazione delle forme labirintiche dell’io”), tali fenomeni non sono certo novità, dato che se ne parla da decenni per non dire di più. Come sono giocate qui, perché vengono riesumate?
    Mi pare di osservare come il livello ideologico e quello paraletterario servano a sostenere una via d’uscita dai due problemi di cui sopra, composta:
    – da una parte il forte accento posto sul ruolo della tradizione, cioè del contesto di senso in cui l’autore opera, delle sue fonti, dei suoi debiti, ossia in certo modo una riproposizione in chiave ideologica del movimento operativo della ripetizione anonima e contemporaneamente degli slittamenti di senso propri dei miti delle culture orali;
    – dall’altra una pratica di riuso allegorico- in senso forse benjaminiano? – dei generi e dei materiali letterari o genericamente dell’immaginario in termini di accumulo o di contaminazione formale (che è cosa simile ma non identica al citazionismo postmoderno, anche se la critica ha da tempo sottolineato come alla fine del modo ironico non è improbabile ritrovare il modo mitico)
    Una pratica, questa, che nel nostro piccolo mondo ha il suo prototipo in Eco e si mostra nella varie forme dell’allegoria neomedievale, ad esempio in chiave ironica, nel senso di Freye – la dance macabre (Genna) – o iniziatico/neo-popolare – l’esodo, viaggio del popolo eletto nel deserto verso il paradiso in terra (WM).
    Questi vari accenti spiegano la scarsa attenzione dedicata a ciò che invece la critica stilistica considerava essenziale, vera cifra dell’Autore, cioè lo scarto linguistico, e motivano le varie critiche di meccanicità o artificiosità/banalità della tessitura e della scrittura di cui già Eco veniva variamente accusato (tanto che la stessa critica, legata alla poetica dell’autore, classificava facilmente come di serie B tale produzione, o “di genere”, con ovvio fraintendimento critico anche se con qualche ragione di altro tipo su cui per ora glisso)
    Non escludo che questo stranissima ossessione così tipicamente italiana, cioè di un paese mortalmente bloccato che non può far altro che disperarsi o sognare, non possa produrre anche ottima letteratura, magari molto onirica e vagamente folle, in uno spettro che va dalla satira genniana alla mitologia militante di WM (del resto, mutatis mutandis, il migliore del ‘900, Gadda, produsse in un’atmosfera non diversa).
    Per approfondire sui WM, i loro romanzi appaiono costruiti “alla Eco” (mix postmoderno di materiali “bassi” e di intenti e tecnica “alti”; dentro si trovano romanzo storico e d’appendice, spy story, d’avventura, pamphlet politico, fumetto, cinema, sociologia e analisi storico-politica, “romance” bene contro male, e così via…) ma diversamente da molti esempi postmodern, tentano di reimmetere una tensione utopico-politica nel tessuto del romanzo post-storico e post-grandi narrazioni che invece, nell’ironia iperreale del pastiche colto costruito con materiali di consumo, lascia per conto suo trasparire solo la doppia maschera ilare e spensierata da un lato e congelata e impotente dall’altra. I WM in tale maschera identificano una funzione e un ruolo socio-politico di tale letteratura, e non un apriori o un dato.
    Convintamente noglobal, pensano invece che la letteratura vada funzionalizzata e sia di fatto da sempre subordinata a un compito e a una dimensione etico-politici (produrre identità – o anti-identità – attraverso mitologemi), e assumono esplicitamente tale condizione dello scrittore come “traduttore” delle dinamiche sociali. Coerentemente sono contro il feticismo dell’autore e dell’arte, che identificano come falsa coscienza della funzione specifica e classista dell’autore borghese nell’epoca del dominio multinazionale di massa per via del mito della separatezza della funzione artistica, cui oppongono il proprio ruolo consapevolmente scelto di funzionari dei miti anonimi e liberatori (in ciò forse trasferendo sul piano del contenuto ciò che dovrebbe essere condotto su quello delle forme: la funzione dell’arte borghese non implica l’indesiderabilità “post-borghese” di questo o quel tema, né la preferibilità di questo o quel modo – cfr. in wm: personaggi positivi e negativi)
    Ovviamente la loro è una poetica che si muove sul filo dell’autocontraddizione: la funzione critica tipica del romanzo borghese – ma anche del teatro brechtiano – espulsa dal contenuto per via della sovrabbondanza di elementi “pop” provenienti sia dall’industria culturale di massa che della letteratura popolare, rimane relegata ma vivissima a livello metanarrativo, configurando la loro critica all’autorialità non come post autorialità ma come un una sorta di iper-autorialità, pervasiva e invisibile. I fan giudicano questa situazione una dialettica politicamente virtuosa, i detrattori la ritengono un caso da manuale di falsa coscienza.”
    Fabiantonio Arcuri

  10. “la dance macabre” si balla nelle discoteche della transivalnia?
    (scusate l’ot battutesco, torno nell’ombra)

  11. Tutto bene in questa sequenza di commenti se non vi fosse stato all’origine quell’articolo. Che come ho detto a Cortellessa il giorno istess della sua pubblicazione,a Parma, era odioso. Che Cortellessa abbia gli strumenti, mi sembra una buona notizia, però non basta. E’ l’uso che se ne fa che mi pare più importante. E Cortellessa è fazioso. Come quando mi dice che difendere Handke sulla questione della libertà di rappresentare le sue opere è sdoganare gli scriba nazifascisti (do you remember Ezra Pound?). Insomma, come quando parla prima bene dei Wu-ming e poi caccia il coltello per massacrarne le opere più recenti. E’ questa retorica stalinista che mi da fastidio. Quella spocchia da “che ne capite voi”. Il tutto condito nella più grande banalità di frasi come quelle dettami dal Cortellessa, sempre a Parma: “tra autori che vendono e quelli che non vendono io starò sempre dalla parte di chi non vende.” Come se non ci fosse il nulla, come spesso accade, dalla parte di chi non vende. Sto preparando un articolo sulla questione il cui titolo è: Largo all’ Avanguardia, Pubblico di Merda. E se Cortellessa fosse il Giuliano Ferrara della critica letteraria? Quando ce lo ritroveremo ex comunista? E al governo?
    effeffe

  12. Saluti a tutti, io sono il lettore, quello che compra i libri, a volte li legge e a volte (ancora meno) viene cambiato da quei libri. Nell’ambito dei lettori sono un lettore “puro”: non leggo per scrivere, non ho nessun desiderio di essere autore di nulla. Questa singolarità può rendere interessante il mio punto di vista.
    A me questa cosa della lettera di Cortellessa sembra una polemica e lo dico dando alla parola il significato più “monnezzone” possibile. La trovo una polemica perché già la lettura della sua recensione su ttL ai saggi di Evangelisti chiudeva per sempre la questione col lettore. Non è soltanto il tono sprezzante a renderne intollerabile la lettura, ma la sostanza, la programmatica chiusura verso tutto ciò che sta fuori dalla propria isoletta interpretativa. Sia chiaro, non discuto la buona fede di Cortellessa, la voglia di difendere qualcosa, però non si può dire Io so cos’è la terraferma vivendo su una piccola isola.
    Dunque poteva (doveva)finire tutto lì, tanto che Evangelisti su Carmilla non aveva nemmeno risposto. E sono felice che non si sia fatto coinvolgere nella polemica: non c’è nessun bisogno, Evangelisti scrive saggi e storie molto belle sulla base di un’intelligentissima lettura del genere e – ne sono convinto, tracima da tutto quello che scrive – di una grande sensibilità personale. Secondo me la cultura italiana (i suoi lettori già lo fanno) dovrebbe considerare un onore avere come membro attivo, anzi combattivo Valerio Evangelisti.
    Mi fermo qui perché mi rendo conto che la replica che ho scelto contro le parole di Cortellessa è quella di una testimonianza di affetto da lettore a autore. Portata avanti sarebbe stucchevole. Fino a qui mi pare di aver reso l’idea che il lettore, io, non sono una creatura stupida bisognosa di maestrini e manutenzione, ho invece un insopprimibile desiderio di aperture, di parole che connettono, di punti di vista, di passione. Stimo chi mi offre questo.
    (scusate se firmo con un nick, ma vorrei evitare accuse stronze dalle quali Loredana non riesce a difendermi. Ne approfitto per invitare Gianni Biondillo a indicare il link al testo di Scarpa che richiama nel suo post in modo che i lettori possano formarsi un’opinione sul presunto tono parruccone di quelle parole)

  13. a lettore,
    visto che partiamo da medesimi presupposti (solo lettori) e abbiamo idee affini, quando decidi di aprire le iscrizioni a una associazione di lettori mi iscrivo immantinente. Anzi, considera questa mia come una preiscrizione.
    besos

  14. Allora, per ordine:
    caccia il coltello e massacra, è stalinista e contemporaneamente Giuliano Ferrara…
    Caro effeeffe, dàtti una calmata per favore. E non pensare che una battuta al bar sia una bolla papale. Anche tu dici tante battute (per la verità le scrivi anche), se le dovessi prendere sul serio non ti dovrei nemmeno rispondere.
    Quanto a Handke, che è leggermente (come si dice) OT, come ti ho detto sono esattamente sulla linea di Grass nell’intervista a Repubblica. Ritirargli i premi o proibire le messe in scena dei suoi lavori è assurdo; altrettanto assurdo pensare che, siccome è uno scrittore, le sue prese di posizioni politiche (nella fattispecie pro Milosevic) non possano essere avversate e stigmatizzate nella misura in cui, a nostro parere, meritino. Rispettare uno scrittore significa essenzialmente prenderlo sul serio, e non estrometterlo dal novero dei nostri concittadini o, semplicemente, co-esseri umani. Se dice una cosa che mi pare orribile, devo – proprio per rispettarlo – dirlo chiaro e tondo. Il che non significa fargli il processo o mandarlo in clinica psichiatrica.
    Quanto ai diritti del lettore, fra i compiti del critico mi ricordavo che in altre ere ci fosse quello di suggerirgli, argomentando il meglio possibile, perché a suo modo di vedere sia meglio affaticarsi a leggere Beckett piuttosto che, poniamo, Moccia. Poi lui farà come crede. Mi pare che, oltre a invadere tutti i possibili settori di mercato, qualcuno coltivi il desiderio di togliere il minimo diritto di parola a chi a quei settori fatica anche ad avvicinarsi. Se ti sta bene così, contento tu (ma non farmi poi dei bei discorsi anticapitalisti, please). Io mi comporterò altrimenti, finché avro fiato.
    Tanti saluti

  15. furlen, suvvia: si può discutere (lo si sta facendo), si può essere d’accordo con uno o con l’altro (o con nessuno dei due, o con entrambi), ma addirittura dare dello stalinista a un pezzo (perchè non oso immaginare tu lo stia dando alla persona di a. cortellessa, ché altrimenti qui veramente si esonda) bello o brutto ma assolutamente legittimo mi sembra un po’ fuori misura.
    Perchè questo a me pare la recensione da cui tutto nasce: un pezzo assolutamente legittimo, perfettamente aderente alla retorica della recensione, come dice cortellessa stesso qua sopra, in cui un po’ di provocazione ironica, di alzo zero, ci può stare: anzi. Mica è un saggio accademico di trenta cartelle in cui puoi metterti a fare distinguo, citazioni, note, sfumature e supercazzole! eddai!
    questo dovrebbe fare la critica: stimolare, pungolare, e quando è il caso anche rifilare qualche calcio in culo alla produzione letteraria. quando però lo fa, oggi, ecco che tutti vanno a indossare il costume da prefica e alzare il ditino del “non si dice”.
    non lamentiamoci poi che la critica l’è morta.
    io modestamente, dal mio insulso e ininfluente pulpito di anonimo nick penso questo: ci siamo abituati male, troppo male, per troppi anni, a considerare tutto uguale e bollare qualsiasi giudizio di valore come un’inamissibile scorrettezza, quando non un qualcosa di borghesofascistarepressivostalinista.
    Così quando qualcuno prova a dire che insomma vogliamoci bene fin che vuoi ma la letteratura è una cosa e l’intrattenimento è un’altra cosa (e cazzo se lo è!) sembra una bestemmia…
    😐

  16. Se ho capito bene, Cortellessa ritiene “orribile” quel che Peter Handke ha sostenuto in merito a Slobodan Milosevic. Sarebbe molto interessante, almeno per la sottoscritta, sapere esattamente perché.

  17. A Babsi:
    la questione dei rapporti tra Germania, Austria ed ex-Jugoslavia è molto complessa e, a dir tutto, dal nostro punto di vista poco comprensibile. Voglio dire che per molti che sono dalla parte di Handke il suo fine condivisibile è choccare la cultura di paesi che, per fini di geopolitica commerciale, negli anni Novanta nei Balcani hanno scherzato col fuoco, e probabilmente si sono resi corresponsabili degli orrori ivi poi accaduti. Choccandoli, far loro prendere coscienza. Però si tratta di un modo di argomentare, dal mio punto di vista, poco responsabile. Perché perde di vista il merito specifico di quanto avvenne, sino a rischiare di farsi complice (culturale) di quegli orrori. Sui quali pure, evidentemente, il dibattito è infinito (personalmente per es., pur pensando tutto il male possibile del governo serbo di allora, considerai e considero un crimine, da parte del governo D’Alema, essersi unito ai bombardamenti del ’99). Comunque sono dell’opinione che andare in grisaglie ai funerali di un criminale di guerra non scagiona in alcun modo Austria e Germania dalla passata correità in crimini dei quali, comunque la si voglia vedere, quello specifico criminale è stato un protagonista.
    Ma siamo, appunto, assai OT.

  18. Aldo Biscardi,
    scusa, ma quando dici:
    la letteratura è una cosa e l’intrattenimento è un’altra cosa (e cazzo se lo è!)
    comincio a pensare a quelli che quando fanno sesso e si divertono (io, mai!!) devono chiedere perdono perchè non hanno pensato alla sola procreazione. A Dio piacendo solo codesta serietà dell’atto. Suvvia, se proponete così la letteratura (qualsiasi, pure quella pseudo come Moccia) sfido a trovare qualcuno disposto a leggere. La fuga è il minimo. Un pò di leggerezza (che non è stupidità o banalità), please. 🙂
    besos

  19. il cortellessa (gli metto l’articolo così è contento) scrive:
    Rispettare uno scrittore significa essenzialmente prenderlo sul serio,
    belle parole. sul serio.
    peccato che abbia parlato di spaghetti-ghotic o qualcosa del genere (non dico monnezzone: ha spiegato che per lui è un modo scherzoso, cameratesco un pò come se gli dicessi merdina – che in casa mia significa simpaticone)…
    ma d’altronde per comprendere un prodotto così banalmente seriale e fatto per guadagnare soldi (gli introiti di evengelisti fanno invidia a king, come sappiamo)gli spaghetti-critici dovrebbero (oltre a togliersi la puzza sotto il naso)sapere di geopolitica, scienze, psicologia e alchimia. ma, dopo tutto uscendo da un’apparato repressivo (leggi scuola) che impone di studiare sempre gli stessi quattro autori morti e sepolti e più che imbalsamati (e ben poco capiti) come si può pretendere una ventata di freschezza? ma sicuramente ho travisato. come (spero) ho travisato anche il discorso sulla metafora: cioè la letteratura è una metafora???? o solo la sf deve esserlo? e dante? che c’azzeccava dante? mah…il cortellessa soffre gli spazi della recensione, figurarsi quelli della rete. propongo una colletta, gli regaliamo i libri di evangelisti e convinciamo un editore a pubblicargli un libro sui suoi Profondi Pensieri. chessò un 55000 cartelle a spazio zero con 15000 note a piè di pagina sul Profondo tema: il Colore Della Tonsura Di Padre Corona Nei Significati Ultimi e Malefici della Narrativa Di V.E. Escapista.
    lisa
    ps
    un amico mi disse una volta che letto un russo, letti tutti. beh, gli diedi della merdina. ma mi sa che gli daranno una cattedra.

  20. Siamo OT, ma per giudicare le posizione politiche (e culturali, certo) di Handke bisognerebbe provare – giuridicamente parlando – che Slobodan Milosevic sia stato un “criminale di guerra”; ammettendo che si voglia riconoscere il Tribunale dell’Aja come organo legittimo di giudizio (non è la mia opinione, ma suppongo che sia quella più accreditata presso la maggioranza), nessun verdetto è stato emesso, e non uno straccio di prova è stato acquisito nel corso di un processo interminabile e kafkiano, conclusosi con alcune morti ad hoc assai poco chiare. Non basta sostenere che i bombardamenti del ’99 fossero “sbagliati”; non basta sostenere che le ingerenze politiche europee ebbero un ruolo-chiave nello smembramento della Jugoslavia; bisogna andare oltre, porsi domande più scomode che scioccanti – in merito alla questione serba, e a quella jugoslava: Handke lo fa. E’ un merito, non un crimine. Io a Pozarevac non ho visto grisaglia, ma non credo sia quello che importa; piuttosto, trovo molto bislacco che Susan Sontag (un nome a caso: gli ‘intellettuali’ che fiancheggiarono con gemiti e alleluja la neonata “repubblica islamica” furono dozzine – e continuano imperterriti) abbia potuto porgere più volte e con generosa enfasi i suoi omaggi alla Bosnia-tazzina di Izetbegovic (un “non criminale di guerra”?) e non sia stata giudicata “corresponsabile” culturale delle nefandezze belliche dei mujaheddins di Zenica o della Dorsale Verde. Tutt’ora attivissimi in Kosmet, come Handke – e solo Handke – ci rammenta, di tanto in tanto, quando può. Mescolare narrativa, critica letteraria e geopolitica (balcanica, per giunta) può essere rischioso, è solo che – davanti al caso Handke – io mi domando quanti pesi e quante misure abbiamo. Quanti pregiudizi, e quante lacune. Grazie per la risposta, e fine dello jugo-OT.

  21. Caro Cortellessa ti sfugge questa cosa: l’intelligenza può spingere a leggere e penetrare cose apparentemente idiote. Io di natura sono come te: snob (temo anche più di te). Mi ricorderò sempre la mia fidanzata che a un mio Ma come fai a guardare Miss Italia? risponde Ci sono delle ragazze che sognano qualcosa. Capito?, nella mia snobberia trogloditica non avevo nemmeno preso in considerazione che dietro lo spettacolo becero ci fosse questa cosa strana che è un sogno sognato da una ragazzina. Quella è la vita, non possiamo passare tutto, dico tutto, il nostro tempo chiusi da qualche parte a leggere Molloy, per quanto Bekett sia un grande scrittore. Dobbiamo aprirci a tutto.
    Ti faccio un altro esempio. Avevo una nonna che dipingeva, molto brava, e non capivo come facesse, lei che si commuoveva per Goya, a guardare ventidue tizi in mutandoni che correvano dietro una palla per i mondiali di calcio (in una tv in bianco e nero da campeggio poi!). Evidentemente – l’ho capito molto più tardi – ci trovava qualcosa di autentico sulla vita.
    Allora il rapporto tra me e te non è come lo vedi tu, consigliere-consigliato. In questo momento sono addirittura io a consigliare te. Ti consiglio di avere meno pregiudizi. Ti consiglio già che ci sono anche il saggio “Correre verso qualcosa. L’adolescenza nera di Burnes” che trovi nel dodicesimo numero della rivista Hamelin. L’autore ti spiega quanta libertà contenessero gli horror comics americani negli anni cinquanta e come moralisti e psichiatri riuscirono a renderli illegali. Poi ti racconta come Charls Burnes si è nutrito di quelle cose, le ha amalgamate con tante altre, anche con una sensibilità michelangiolesca per il disegno dei corpi umani, e ne ha tratto uno spledido volume “Black Hole”, zeppo di allegorie come piace a te.
    Guarda, se proprio i miei consigli non ti vanno, se non riesci, puoi anche rimanere come sei, in fondo come ti dicevo difendi qualcosa di grande, però ti pregherei di limitarti a ciò che senti e capisci, e non cercare di azzoppare chi addirittura pubblica gratuitamente per passione e intelligenza.
    Ti terrò d’occhio su ttL.

  22. Lettore Barbieri,
    suvvia, per una volta che dici delle cose condivisibili potresti non ricorrere all’anonimato, tua nonna credo la pensi come me 🙂
    besos
    ps.: e non esagerare con il ‘tenere d’occhio’, mica si vuole trasformare una argomentazione (animata) in una persecuzione (animosa)

  23. non mi intendo di critica letteraria, premetto.
    Scopro leggendo un intervento di Gianni Biondillo che Antonio D’Orrico non è molto amato in rete.
    Non pensavo.
    A me, ad esempio, piace moltissimo, sarà che nove volte su dieci sono d’accordo con quel che dice.
    Però adesso capisco meglio che, fazioso dichiaratamente, o piace moltissimo o lo si detesta.

  24. Non so chi sia questo Barbieri.
    E tengo d’occhio chi voglio, che non mi pare voglia dire perseguitare, se non in una mente facilmente suggestionabile.
    Carinas

  25. Spettatrice hai voglia di spiegare a Zoe cos’è l’Rcs MediaGroup in modo che la piccina possa orientarsi in questo strano mondo che è l’editoria?

  26. la piccina accetta supinamente tutto ciò che Rcs media group propone,per non parlare della Mondadori, e delle indicazioni del Foglio.
    Poverina

  27. No no, non è il movimento esterno, quello verso di te che è importante. Orientativo è il movimento interno al gruppo.

  28. sei anche simpatico,perchè vedo in te un sincero intento pedagogico.
    Purtroppo sono irrecuperabile.Se D’Orrico dice, ad asempio che, John Irving è uno dei suoi autori preferiti e-putacaso-è anche uno dei miei, non ho l’acume di andare a interrogarmi sui movimenti interni a Rcs media group.

  29. Buonini, eh
    Se a Zoe piace immergersi nell’universo Orrico e RCS media Krup, che vogliamo fare oltre a un racconto tra l’horror e la SF? l’importante, a questo punto della sera (almeno per me che sto preparando un libro e un cuscino) è che sappia di che si tratta e scelga consapevolmente. D’altronde si sarà pappata (come tutti e come tutti i giorni) i cibi della tal ditta, avrà usato i cell o l’energia della tal altra ecc. Dubito che chiunque possa permettersi un incunabolo di Evangelisti.
    Perciò beviamo un bicchiere, di acqua del rubinetto (rigorosamente)per me e di qualsiasi bevanda preferite per voi.
    ‘notte

  30. ps
    e poi oggi le emozioni sono state veramente troppe con tutte queste grandi firme nello stesso blog. Sento ancora tremare le vene dei polsi (dei polpastrelli). Chissà se dormirò e cosa sognerò. Forse un Eymerich immobile, ingrugnito e un Cortellessa che non sa che fare. Banale, Cortellessa sa che fare: recupera Beckett che sta in un angolo ad aspettare Godot (dopo una discussione poco simpatica con Mercier e Carmier) e lo piazza davanti al domenicano. Quello che si diranno non lo verrò certamente a dire a voi, abbiate pazienza:-)
    ‘notte again

  31. Sperando di non intervenire troppo alla rinfusa, mi sembra che:
    la letteratura “alta” da cui Evangelisti a ragione prende le distanze (e per cui giustamente si dedica ad altro) non è la stessa letteratura “alta” che Cortellessa, con ragione, difende fino allo stremo (a chi – non qui – gli dà, come se fosse un insulto, dell'”avanguardista”, ricorderei il suo lavoro su e per Amelia Rosselli, che certe neoavanguardie hanno sempre odiato).
    Andando molto in fretta, direi che la prima letteratura alta è addirittura nemica della seconda.
    Senza voler cercare tarallucci e vino a tutti i costi, spero che da questo abbozzo di dialogo possa nascere, magari col tempo, una ridefinizione del campo (cioè delle forze – e delle debolezze! – davvero in gioco) che credo non possa fare che del bene a tutti, scrittori e lettori.

  32. Ad Aldo Biscardi:
    insisto: se la retorica della recensione prevede il tono sprezzante e non dialogico, tranchat e ironico, allora oltre a quelle di Cortellessa dovete accettare le recensioni di D’Orrico e ammettere che spesso sono pure divertenti e ben scritte. Niente due pesi e due misure, please.
    Al Lettore:
    non ho mai detto che Scarpa avesse un tono da parruccone quando parlava di vittoria del genere. Leggi bene quello che scrivo, te ne prego, non farti offuscare la vista dai tuoi pregiudizi. Era il tono dell’articolo di Cortellessa che mi infastidiva. E proprio perché reputo sia un validissimo e preparatissimo critico (altrimenti neppure stavo qui a perder tempo).
    Gli ho chiesto, semplicemente un atto di onestà intellettuale e di stile: ammettere che, in questo caso, ha toppato.
    Io quando lo faccio (e io toppo che è un piacere) poi, anche a malincuore, chiedo scusa.

  33. Ah, Gianni, allora il tono dell’articolo di Scarpa non era da parruccone, “parruccone” era il tono di Cortellessa, ora ci siamo capiti.
    A questo punto rimane un dubbio, a quale articolo di Scarpa ti riferivi? forse “Ne vale la pena? 1”, perché quello altroché provocazione, quello era un lancinante grido di dolore a cui, da lettore, partecipo con tutta l’anima…

  34. A Gianni Biondillo:
    su tono e taglio di quel mio articolo – non l’avessi mai scritto – ho già detto che sono legati a un codice, quello recensorio, che ha regole non scritte ma assai precise. Se intendi dire male di un libro, devi metterci un po’ di sale. C’è chi aggredisce con la clava e chi preferisce fare dell’ironia. Se la mia non è riuscita, è stato un fallo tecnico di cui fare ammenda, perché no? (beninteso, però, io non lo penso). Sapessi gli articoli che ho solennemente cannato, figurarsi.
    Però mi pare un po’ strano, ti confesso, l’accostamento a D’Orrico. Non seguo con regolarità la sua rubrica, spesso i suoi giudizi mi arrivano di seconda mano e dunque non mi pare corretto dare un giudizio complessivo sul suo lavoro. Di quel che ho letto, comunque, non mi piace proprio il tono. Che per lo più non è affatto ironico ma, anzi, piuttosto “frontale” e pugilistico.
    Ma il punto è un altro. D’Orrico, a quanto ne so, ha un’idea della letteratura che è perfettamente agli antipodi della mia. Ora, il merito di questi sistemi di valori non deve avere nessun peso?
    Tu, per esempio, in uno dei post precedenti, dicevi che non sei d’accordo su tutto quello che sostiene Evangelisti. Beh, sarei curioso di sapere allora su cosa sei d’accordo e su cosa no. Perché anche le sue opinioni, non solo le mie, sono piuttosto “forti”. Non c’è solo il tono, insomma, c’è anche quello che uno dice. Mi pare che lo si metta un po’ troppo fra parentesi.
    A Babsi:
    il giudizio storico, su fatti così vicini a noi, è prematuro. Ho letto il libro di Pirjevec, che non tutti amano ma che a me sembra un libro complessivamente onesto, e le responsabilità di Milosevic vi appaiono gravissime. Lo spazio strumentalmente dato a gente come Mladic e Karadzic è una condotta criminale, appunto. Il che non deve far dimenticare i crimini commessi dalle altre parti in lotta, certo, ma nella circostanza si parlava di Milosevic e in generale non credo sia mai stato un buon criterio dire “tutti colpevoli, nessun colpevole”. Ciò detto, la colpevolezza di Milosevic non è in grado di accertarla e di valutarla il tribunale dell’Aja, sulla liceità del cui operato giuristi “neutrali” hanno da tempo sollevato gravissimi dubbi. È comunque evidente, da quel che scrivi, che tu hai da dare testimonianze ben più dirette di me, turista di guerra televisivo come milioni di altri, e ti confesso che mi vergogno a snocciolare banalità e genericità di questa fatta. Preciso tuttavia che non ho definito i bombardamenti NATO del ’99 “un errore”. Li ho definiti “un crimine”.

  35. Ad Andrea Raos:
    Il punto, secondo me, è proprio farla finita con questa metafora, forse suggestiva ma fuorviante, di “alto” e “basso”. Ci sono testi “buoni” e testi “meno buoni”. Ci sono poi testi “cattivi”, quelli cioè che fanno danni: sostenendo idee aberranti o esemplificando come letteratura qualcosa che è molto distante dalla letteratura (per es. uno dei tre premi Viareggio appena dati, ti sfido a indovinare a quale penso).
    Sarà bene precisare, una volta per tutte: dalla letteratura come la intendo io. Ognuno la intende diversamente dagli altri, certo, ma i nostri sistemi di valore possono e devono dialogare fra loro. Se invece alziamo un recinto e diciamo: di qui ci sono i Parrucconi Dalla Narice Emunta e di qui i Barbari Insorti E Incazzati Neri, di dialogo ovviamente non c’è nemmeno l’ombra.
    Mi rivolgo anche a chi si firma Il lettore e mi dà consigli che ascolto, certo. Ma l’intenzione di quel mio articolo era proprio di “aprire” i giochi: che i sistemi di valori di chi è abituato a occuparsi di un certo tipo di letteratura (ma per sua ventura ama anche l'”altra”, o almeno certi eccellenti esempi dell'”altra”) entrassero in contatto e reagissero con i sistemi di valori di chi è abituato a occuparsi solo dell'”altra” e fa appello, identitariamente, a chi solo quella legge (questo, per me, il limite vero della saggistica di Evangelisti; come ho detto sin dall’inizio: è lui che parla di Torri e di Assalti). Mi interessava vedere cosa ne usciva fuori. Mi pare che questo dibattito, sia pure faticosamente, qualche passo avanti lo stia facendo. Non partecipo mai ai blog ed è bene che sia così, giustamente qualcuno ha già fatto capire che scrivo cose troppo lunghe e lo so (oltretutto mentre scrivo qui dovrei fare tutt’altro). Rispetto troppo le leggi della retorica per non capire che sto giocando clamorosamente fuori casa. Però è proprio così che mi espongo, caro Lettore, e gioco a carte scoperte. Sei tu a presupporre che io sia qui a prescrivere, normativizzare, promulgare. Mentre fondamentalmente, invece, sono curioso. E magari ci scappa che impari qualcosa, come da Babsi.

  36. evangelisti scrive: “…ha attirato l’attenzione di Andrea Cortellessa, di Giuseppe Iannozzi e di molti altri. Invece di regalarlo all’editore, come i precedenti, avrei dovuto chiedere anticipi e diritti.”
    iannozzi è un viscido della madonna non ci piove, un troll e non un critico, da prendere a calci in culo
    ma evangelisti prende pure quel troll, proprio grande
    da ridere! tre l’hanno comprato e due l’hanno stroncato, anzi uno, iannozzi non fa testo: evangelisti coi libri lei non ci campa

  37. OT ma non troppo:
    in libreria un libretto di Coniglio edizioni (?!) intitolato a Antonio Moresco che contiene conversazioni con Moresco stesso su argomenti non lontani da quelli di cui discutete qui.
    Il libro, firmato da Parente, in generale è scadente (davvero incredibili certe domande di Parente, di basso livello molti interventi), tuttavia sono invece interessantissimi due testi inediti di Scarpa: si tratta delle sue note di lettura di Esordi, consegnate a suo tempo all’editore per consigliarne la pubblicazione.
    (va detto che questi due testi e alcuni brani di intervista in cui Moresco affronta questioni specificamente letterarie, sono anche gli unici nel libro in cui si affronta seriamente un discorso critico, che vada al di là del gusto soggettivo o della battaglia culturale anche di basso profilo. Purtroppo altri interventi, anche insigni, non sono di questo livello)

  38. OT ma non troppo
    caro Andrea
    non omettere il quadro in cui avevo parlato di Handke. A quell’incontro con Crocetti a Parma, dicevo quanto sia pericoloso il poetically correct in letteratura, quello per cui i critici, i giornalisti, i romanzieri e finanche i re possono essere dei banditi mentre per i poeti si vuole che siano anche nella vita come dei santoni, dei puri. Rimbaud (te lo cito sennò dici che cito solo poeti fascisti), Celine, Pound, Borges, sono stati per anni “censurati”. A Rimbaud se fosse nato cinquant’anni dopo, per quello che avrebbe fatto nella seconda vita,gli avrebbero bruciato tutti i libri. Quello che dicevo è che, ahimè, un grande poeta può essere anche un gran bastardo. E che nel caso di Handke non solo non è un bastardo, non solo è un grand poeta, ma sulla questione jugoslava ha preso una posizione importante, giusta o sbagliata che sia. Brecht ha fatto molto peggio, caro Andrea. Vi ricordate l’intervista a Orson Wells su Elie Kazan? Grosso modo diceva: E’ uno che con le sue delazioni ha massacrato la vita e le carriere di tantissimi scrittori e attori americani, entrati, alcuni senza uno straccio di prova nella famosa liste rouge di mac carty. Lo odio ma la sua opera di regista è geniale.
    In tema (spero)
    Premetto che la tua replica conferma la simpatia che ho provato per te conoscendoti, però Andrea, non dire che la tua è retorica (che peraltro usi a meraviglia) quando attacchi Evangelisti. Non una lettura “digne” del libro ma un prendere ed estrapolare facendo smarrire il senso del discorso e soprattutto facendo passare Evangelisti per quello che non è. In letteratura e vita nzionale Gramsci scrive dei romanzi d’avventura (vi ci mette anche Dostoevskj) cose che mi sembrano molto vicine all’estetica di Evangelisti.
    Quello che trovo insopportabile è un dispositcìvo retorico che usi ogni volta (gli esempi però te li farò in privato).
    Innanzitutto ti attacco, e in modo violento (l’articolo sulla stampa era acido, al massimo sarcastico òa della leggerezza dell’ironia non v’era davvero nulla): Tu mi rispondi, più o meno incazzato. A quel punto io ti dico che se scrivi oggi delle grandi cazzate ti riconosco una certa bravura nei tuoi scritti d’Antan.
    E’ un modo di fare che se dovessi trovare un titolo definirei: Sindrome dei compagni che sbagliano”
    un abbraccio (impegnando le due mani, non si nascondono coltelli)
    effeffe

  39. A me il libretto di Coniglio è piaciuto molto.
    Sinteticamente:
    – ho trovato addirittura commovente la scheda di lettura di Scarpa agli Esordi (ne ho parlato anche su Nazione Indiana beccandomi dell’invasato). Davvero mi piacerebbe essere un lettore intelligente e capace di restituire il senso della mia lettura come riesce a Scarpa. Non credo che sarà mai possibile!
    – mi hanno interessato molto i passaggi biografici di Moresco. Trovo straordinaria la sua scrittura (questo non mi impedisce di trovare straordinarie tante altre cose molto diverse), e così mi viene una curiosità – forse stupida, boh – per la sua vita. Non dovrebbe essere così, dovremmo incontrare solo i libri, ma, esondando un po’, devo dire che voglio molto bene a Moresco. Ma come può non essere così?, mi emoziona che una persona possa fare tutta quella strada, dalla foto da ragazzetto che saluta a pugno chiuso col braccio magrissimo, insieme a Ferrari e a un altro amico, alla pagina manoscritta dei Canti del caos… (le foto sono nel volume).
    – a me pare che la sostanza delle parti critiche sia buona e a volte molto buona, sempre mischiata alla vita, che per altri può essere un difetto e per me è la cosa migliore che si può fare.
    – anche questo va detto: ho fatto fatica a procurarmi il libro. Nelle librerie feltrinelli non risultava dal database pur essendo segnalato come disponibile sul sito. Sono andato due volte a Bologna inutilmente, alla fine l’ho ordinato all’editore attraverso una Mondadori aggiungendo cinque euro al prezzo di copertina. E’ il segno del poco rispetto per chi tenta di produrre qualcosa di utile. Se avessi chiesto il libro della blogger Pulsatilla me ne avrebbero offerte immediatamente tantissime copie. Ma ci sono scrittori che continuano a lottare (in un certo senso ci si potrebbe mettere dentro anche Cortellessa). Credo che i critici intelligenti e preparati dovrebbero dargli una mano.

  40. Lettore,
    non so se accetterai la mia preiscrizione all’associazione lettori visto che, nonostante le buone presentazioni di Evangelisti (e sono abbastanza succube delle sue opinioni :-), di Barbieri e di altri non mi riesce di leggere Moresco. Posso perfettamente capire che piace e può anche essere oggetto di culto, ma non posso certo leggerlo a ‘forza’. Sorry.
    Mi chiedo però dove sta il nesso, in questo momento, tra Moresco e l’argomento del discutere.Certo è interessante parlare anche dei Balcani e di Lui, ma si può rischiare il deragliamento. Va bene lo stesso? va bene lo stesso.
    besos

  41. Be’ Spettatrice, se leggessimo tutti gli stessi libri probabilmente parleremmo tutti delle stesse cose, e probabilmente ci costruiremmo un canone anche senza volerlo, e per di più intoccabile! Sai no che Cage da insegnante voleva che ogni studente portasse libri diversi dagli altri studenti (è in Lettera a uno sconosciuto, ed Socrates). Quindi ti piglio volentieri nell’associazione.
    ps il mio ot rispondeva all’ot di Cortellessa (suppongo fosse lui).

  42. Al di là di tutto, continuo a pensare che Cortellessa NON abbia letto il libro in questione, ma lo abbia soltanto leggiucchiato, e provo a dimostrarlo confrontando quel che Evangelisti afferma testualmente e quel che Cortellessa gli fa dire.
    Evangelisti fa una critica all’ideologia autoconsolatoria della “letteratura di genere”, scrive che quest’ultima deve andare oltre se stessa, che deve evitare le trappole, che non deve rinchiudersi in un facile orgoglio da serie B che rovescia presuntamente in positivo il disprezzo che le riservano i letterati “alti”. La prima frase dell’introduzione (quella a cui Cortellessa si aggrappa) è un paradosso che viene subito rovesciato, e tra l’altro l’incipit è “In apparenza la battaglia è vinta”. In apparenza. Quell’apparenza viene subito mandata in frantumi.
    Evangelisti, al culmine della sua riflessione, scrive:
    “Se il grosso problema, per lo scrittore senza etichette, è la ripetitività, per quello di genere sono le gabbie. Il successo persino eccessivo arriso al noir, il potere contaminante della fantascienza (che può anche agonizzare, ma dopo avere riversato sulla società immagini, idee e un intero vocabolario utile a descrivere i più recenti sviluppi della società stessa), l’estendersi dell’horror nelle più inattese diramazioni mediatiche, ecc.: tutto ciò resta vitale finché resiste alla minaccia incombente della cristallizzazione in formule prive di anima e di tasso inventivo.”
    Cioè il contrario di quel che Cortellessa gli ha messo in bocca.
    Cortellessa accusa Evangelisti di “cecità”, di non vedere che “l’intrattenimento seriale da sempre è strumento di indottrinamento sociale”.
    A parte che in sé è un’affermazione che non è né vera né falsa, perché è uno slogan e poco più (“Da sempre” che significa? Quale forma di intrattenimento seriale? Attraverso quali media? indottrina in che modo? Qualche esempio?), riferita al testo di Evangelisti che Cortellessa sta fingendo di recensire è addirittura ridicola.
    Evangelisti, infatti, dopo aver elencato una sfilza di stereotipi seriali scrive:
    “Ognuno di questi topoi ha alle spalle alberi genealogici illustri. Ogni loro riproposizione negli stessi termini accorcia, magari inconsapevolmente, la distanza che separa L’esorcista da L’esorciccio, il laboratorio dell’alchimista dalla cucina di casa. Gli esiti sono garantiti (come Eco ha dimostrato analizzando la ripetitività in Rex Stout), ma logorano progressivamente il genere, riconducono l’opera “al nero”.
    Quella che poteva essere una sfida, diventa acquiescenza e consolazione. Inutile criticare, da una posizione tanto fragile, le banalità del romanzo borghese. Inutile stigmatizzare il vuoto a partire da un vuoto ancora peggiore. Sarà magari vero che la narrativa noir (e qui comprendo sotto l’etichetta l’intera letteratura di genere, “nera” in varie forme) ha le potenzialità per descrivere meglio di ogni altra la società odierna. Però non basta prendere atto di questo, e adagiarsi sulla rassicurante constatazione di essere nel giusto. La cognizione deve farsi coscienza e, sul piano dell’atto, tradursi in militanza.

    Insomma, per Evangelisti la ripetitività seriale finisce per genera acquiescenza e consolazione. Cioè, ancora una volta, il contrario di quel che Cortellessa lo accusa di sostenere.
    Addirittura, Evangelisti afferma:
    “Per quanto paradossale possa suonare, la vitalità della narrativa di genere è direttamente proporzionale alla sua vocazione al suicidio.
    Non c’è alcuna traccia di quest’impostazione nella caricatura che Cortellessa fa di questo testo, e che – pur “contestualizzando” il tono odioso ecc. – continua a difendere.
    Come può un testo critico, problematico e in qualche modo “corsaro”, che mette la letteratura di genere di fronte alle sue contraddizioni e le chiede di “suicidarsi” in quanto tale, essere sembrato un’apologia acritica del genere?
    L’unica risposta che mi viene in mente è: non lo si è letto. Non lo ha letto Cortellessa né lo hanno letto i suoi fan.

  43. Cortellessa:
    L’accostamento a D’Orrico Era una provocazione non diretta a te, ma a come questo critico viene normalmente insultato in rete. Dato che avevo trovato il tuo pezzo su Evangelisti proprio “frontale e pugilistico” (e come dice Furlen, un pezzo che ha fatto smarrire il senso del discorso) allora mettevo i frequentatori dei lit-blog (mondo chiuso e faziosissimo) di fronte al paradosso di dover accettare il tuo pezzo e di conseguenza anche tutti quelli di D’Orrico.
    Mi chiedi, in oltre, di dire come la penso in merito. Il problema è che io l’ho detto più volte, sulla carta stampata e sulla rete. Come? Non l’hai letto? Ovvio, ne hai tutto il diritto. Non c’è nessun obbligo a “dovermi leggere”. però, sai, tu sei anche quello che scrive: “Però questo diritto a non aver letto nulla e nulla leggere se non ciò che sia riconoscibile come dermicamente, irsutamente, pancettescamente nostro mi pare il primo limite, limite culturale, dei cultori del “gggenere”.”
    Insomma, deciditi. 😉
    Se ti interessa, in privato ti mando una mail con tutti i link ai miei pezzi. La mia email la trovi cliccando sul mio nome.
    Ciao, G.

  44. Proprio sicuri che nei libri dei WuMing ci siano i “buoni” e i “cattivi”, anzi, i buoni-buoni e i cattivi-cattivi? Sicuri sicuri? Ma proprio sicuri? A Munster (scusate se non trovo la u con la dieresi) i “buoni” chi sono? E Steve Cemento è “buono” o “cattivo”? I comunisti sono “buoni” o “cattivi”(c’è un tale Montroni, sarà mica un riferimento a…)? Il Keghebé? Tito è “buono”? Fa le purghe (non perché è stitico). Ravagli nella jungla è “buono” o è nefando e si schifa di se stesso? Q è “cattivo”? Alla fine no, cioè sì. Boh. E in FreeKarmaFood i “buoni” chi sono? Le vacche, probabilmente.

  45. Guarda, lettore/Barbieri, e stupisci: 1, 2. Prugne Secche e Divino Moresco, per tutti i gusti. Ci sono entrambi. Basta saperla usare, la rete; risparmiare soldi, e fiato 😛

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