STO PENSANDO DI FINIRLA QUI NON E' UN HORROR, MA E' BELLISSIMO

Al solito, non parlo da cinefila, quindi siate clementi o voi saggissimi ed espertissimi di luci, formati, inquadrature e citazioni. Parlo da narratrice, però, e ho un paio di cose da dire su Sto pensando di finirla qui, che Charlie Kaufman ha tratto dal romanzo di Iain Reid. Visibile su Netflix, viene proposto come horror. Non lo è, neppure un po’. E’ un film molto bello, e non perché nei dialoghi i protagonisti citano Guy Debord e Foster Wallace, cosa che ha mandato molti in sollucchero. Lo è perché parla di un’intera vita, e te ne rendi conto soltanto alla fine, dopo un percorso nel buio e nel freddo, che ti ha fatto soffrire, ti ha disturbato, ti ha commosso.
Ora, con non poco fastidio, devo qui inserire la famigerata frase (santa miseria, che strazio: perché il diritto dei terrorizzati lede il mio di poter parlare liberamente di una storia, ma pazienza, pazienza, pazienza):
ATTENZIONE, SPOILER (NOIOSI)
Sembra una storia qualunque, anzi una qualunque storia d’amore, tra una ragazza, Lucy, in via di disaffezione, o semplicemente non sicura di quel che prova, e un ragazzo, Jake, molto meno brillante di lei, in viaggio verso la casa dei genitori di lui, mentre si prepara una tormenta. Che qualcosa non torni emerge dal continuo mutare del lavoro di lei, e anche dei nomi di lei, che prima sembra lavorare a una tesi di medicina, poi di cinema, poi dice di essere una fisica, poi una poetessa. Anzi, recita una poesia, splendida, mentre viaggiano: è Bone Dog, che in realtà è di Eva H.D., e proprio la sua raccolta di poesie le capiterà in mano nella casa dei genitori di Jake, anzi, nella camera da ragazzo di Jake stesso.
Coming home is terrible
whether the dogs lick your face or not;
whether you have a wife
or just a wife-shaped loneliness waiting for you.
Coming home is terribly lonely,
so that you think
of the oppressive barometric pressure
back where you have just come from
with fondness,
because everything’s worse
once you’re home.
E’ proprio nella casa natale di Jake che tutto comincia ad aggrovigliarsi e Jake inizia a sembrare diverso dal buon ragazzone studioso: trascina l’infreddolita Lucy in deviazioni e narrazioni angoscianti (i maiali mangiati dai vermi), la avverte che non ci sarà molto cibo, e poi i genitori rimangono per un tempo interminabile al piano di sopra e fa freddo, freddo, freddo, e invece c’è una montagna di cose da mangiare, e prosciutti e insalate di patate e ovviamente il tronchetto di Natale che è il dolce preferito di Jake. E qui tutto si intreccia: i genitori appaiono vecchissimi all’improvviso, e Lucy racconta come si sono conosciuti con Jake, e il varco si apre, perché in realtà potrebbero non essersi conosciuti affatto se solo non ci fosse stata una battuta, una sola parola che invece c’è stata. Forse. Durante il viaggio di ritorno, la neve si fa più fitta, Lucy vuole tornare a casa in fretta, ma Jake le propone di prendere un gelato da Tulsey Town, che è un po’ vera e un po’ viene da una delle Silly Simphonies di Disney, ma nonostante il freddo il gelato Oreo, troppo dolce, si scioglie e dunque occorrerà deviare fino al vecchio liceo di Jake, che è letteralmente nel nulla ma ha i cassonetti e si potranno gettare i bicchieroni appiccicosi. E qui.
SPOILER MASSIMO (NOIOSI)
Qui capiamo che questo è probabilmente il sogno finale di Jake, dove si intreccia la vita che ha avuto e quella che avrebbe voluto, la donna che ha amato e forse non ha mai incontrato, e per questo cambia colore dei vestiti e nome e professione, e per questo i quadri di suo padre sono in realtà di Ralph Albert Blakelock, e per questo le cose e le persone vorticano come nel balletto dei due finti Jake-e-Lucy insieme a film e libri e immagini, perché il vecchio bidello Jake sta morendo, naturalmente dopo aver ricevuto il Nobel e aver cantato Oklahoma nei suoi sogni, e ogni frammento è quello prezioso e irripetibile di un’esistenza umana così come può venir rappresentata e forse non è stata, ed è per questo che Jake citava Debord (“Lo spettacolo non può essere inteso come un mero inganno visivo prodotto dalla tecnologia dei mass-media. È una visione del mondo che si è materializzata”).
E’ un film splendido, in poche parole, e una storia che ti si inchioda nel cuore. Ma non è un horror: è la vita vista tutta insieme, nella malinconia dell’inverno, quando l’inverno è al suo culmine. Non fa paura: incita alla pietà e alla tenerezza. Cosa che anche gli horror fanno, quando sono buoni, ma non ha alcun bisogno di etichette, tutto qui.

3 pensieri su “STO PENSANDO DI FINIRLA QUI NON E' UN HORROR, MA E' BELLISSIMO

  1. Concordo in pieno per il Suo giudizio su un film che non é facile trovare in giro di simili; sostanzialmente basato su dei dialoghi-monologhi, interiori (forse “the tree of life” …). Tuttavia mi lasci dirLe che a mio avviso il nostro Jake (…ma forse sarebbe meglio chiamarlo Jack), é in vero un serial killer. Il film é un horror proprio perchè c’ é il classico scantinato dove lui nasconde benissimo la sua vera identità (Jack e non Jake) e ci sono gli omicidi seriali di un ragazzo, genio negli studi, ma incapace a relazionarsi con l’altro sesso. Quando Lucy nella casa dei suoi genitori vuole “aprire quella porta” (altro classico…), Jake non vuole, perché nessuno deve scenda nel suo sottosuolo (…molto Dostoevskij…). La ragazza purtroppo solo alla fine realizza la vera natura del suo ragazzo, quando appunto scende da sola nel ” sottosuolo di Jake” e scopre Jack. Lui allora la “rapisce” con la scusa di riportarla a casa, ma invece la uccide. Come ha fatto con le altre ragazze…La scena alla gelateria in mezzo alla tormenta di neve sembra estratta da “Shining” (again!)…le ragazze lavoranti che conoscono e deridono Jake sono molto probabilmente sue altre vittime (una cerca anche di metter in guardia Lucy) …Vittime che infatti poi Jake da vecchio, nell’ ora del trapasso saluta, in quegli ultimi istanti di estasi megalomane in cui si vede conferire il “Nobel” davanti ad un teatro abitato da morti… In questa scena lui rivolge un saluto particolare, oltre ai suoi genitori, a Lucy, che tra le ragazze conosciute (eppoi eliminate) forse avrebbe potuto essere quella giusta; vedi il balletto che fanno nella scuola in cui lui ha lavorato come bidello (…altro che Nobel per la fisica…), ma é lui ad uccidere se stesso nella coppia che danza felice verso il matrimonio e far scappare la sposa … Jake nell’ultimo minuto del film, ormai vecchio e stanco, decide di togliersi la vita nello steso modo, come la tolse anni prima a lei…Lucy, morendo di freddo nella tormenta e forse pesando nei suoi ultimi istanti di vita proprio a Lei.
    Cordiali Saluti

  2. In effetti l’etichetta horror non rende giustizia a un film che non credo cerchi etichette.
    Anche a me sembra un viaggio che mostra una vita. Forse un viaggio nella mente di una vita, e a dire il vero anche il personaggio femminile l’ho interpretato come parte del protagonista, della sua identità sessuale inesplorata, tenuta inespressa, quella che aveva tutte le potenzialità di essere qualsiasi cosa volesse (mi pare che lei si riconosca nella foto di lui da piccolo, e i genitori facciano commenti sarcastici sull’omosessualità). Come donna potrebbe anche tenere testa a chi lo deride, come le commesse.
    Chissà se c’era questa intenzione nella scirttura. Non conoscevo il romanzo e mi incuriosisce.

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