Ho seguito e seguo la discussione che si è sviluppata attorno alle storie. Credo che sia importante, che ci sia un non detto che dura da troppo tempo, e credo che occorra andare avanti. Per questo, continuo. Con la storia di Manuela. Non importa se sia sua o raccolta da lei. La mette a nostra disposizione, ed è quel che conta.
Avevo 18 anni e non ero pronta. Amavo il mio ragazzo ma, appunto, era soltanto un ragazzo, che di anni ne aveva 21. Era il primo anno di università, il primo fuori casa. Era un anno di euforia.
Prime volte che facevamo l’amore. Inesperti entrambi, ci siamo lasciati andare con la passione tipica della scoperta. E abbiamo sbagliato.
Quando le mestruazioni non sono arrivate e il test mi ha confermato il sospetto di essere incinta, ho avuto subito chiaro cosa dovevo fare: interrompere la gravidanza. Non ero pronta io, non era pronto lui. Lo penso ancora oggi, con infinito dolore. Perché, dopo aver avuto due figli, sono ancora più convinta che non ci si può improvvisare genitori. Che crescere un bambino è una questione serissima, che richiede una scelta responsabile in cui l’ideologia non deve avere spazio.
Ho chiesto aiuto a un’amica romana, che senza titubare mi ha dato il numero della sua ginecologa all’Aied. La dottoressa mi ha ricevuto il pomeriggio stesso a via Toscana. E’ stata ad ascoltarmi con gentilezza, poi mi ha fatto parlare con una psicologa e infine mi ha indirizzato verso l’Ospedale San Giacomo, che praticamente ora non c’è più. Dei giorni successivi ricordo alcuni flash: le mattine a fare le analisi, gli incontri con le altre donne che erano là per la stessa sigla, Ivg, gridata dalle infermiere in corridoio ogni volta che potevano. La sorpresa nello scoprire che la maggior parte delle persone che stavano per abortire non erano giovani come me, ma madri di famiglia con due o tre figli che non volevano averne altri. L’esperienza sgradevolissima dell’ecografia, l’unica volta in cui sono stata trattata con vero disprezzo dall’operatrice (non una dottoressa, credo una tecnica). Il cuore in tumulto quando sono andata a ritirare l’esito del test Hiv: non l’avevo mai fatto prima, tutto poteva essere.
Del giorno dell’intervento, invece, ricordo ogni dettaglio. Sono andata e tornata in metro, accompagnata da un pugno di persone che mi erano e mi sono care: il mio ragazzo, l’amica del cuore e altre due amiche su cui sapevo di poter contare. Il reparto era separato da tutto il resto. La dottoressa era una donna piccola e forte, che non dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai l’infermiera che la assisteva: non mi ha mai lasciato la mano per tutta la durata dell’aborto. Erano, come dire, fiere di stare dalla parte giusta. Ho pianto, piango ancora a ricordare, ma sapevo e so anch’io di aver fatto la cosa giusta. Non ho mai avuto la presunzione di credere che la vita sia un concetto avulso dalla realtà concreta, che i figli possano essere un’idea disgiunta da quella del contesto in cui si nasce. Mettere al mondo un essere umano non è uno scherzo, uno slogan, uno striscione.
Mentre mi accompagnava fuori, verso la cameretta in cui sarei rimasta per qualche ora dopo l’intervento, la dottoressa mi disse testuali parole: “Non dovrai mai dar conto a nessuno di quello che hai scelto di fare. Se vorrai potrai tenerlo solo per te per tutta la vita, non sei obbligata a riferirlo a nessuno, anche se te lo chiederanno”. Me lo hanno chiesto spesso. I ginecologi che nel tempo mi hanno seguito, gli innumerevoli operatori che mi hanno “sezionato” durante le mie gravidanze. Appena rientrata a casa ho distrutto tutta la documentazione dell’ospedale. Ho sempre taciuto e sempre tacerò. Mi sono concessa un’unica eccezione: questo invito di Loredana. Perché mi sembrano passati secoli da allora: era l’inizio del 1995, non c’era nessuno nessuno nessuno a gridarmi assassina fuori dall’ospedale, la quota di ginecologi obiettori non era alta come oggi, non c’erano i Family Day, Berlusconi si era appena dimesso dopo pochi mesi dal suo primo governo, la laicità pareva ancora un valore condiviso e nessuno si sognava di riformare i consultori. Era un’altra Italia, che ormai stento a riconoscere.
Quanto a me, faccio tutti i giorni i conti con la mia coscienza. Ma ho imparato a dividere le persone in due categorie: quelle che hanno rispetto delle scelte altrui, anche se non le condividono, e quelle che non ne hanno alcuno. E poi, lo confesso: da allora sono grata ai radicali e a tutti i 27 milioni di italiani che nel 1981 votarono no al referendum. Perché ho provato sulla mia pelle che il privato è politico, e viceversa.
Un abbraccio a Manuela per aver trovato la forza di condividere con noi questo momento doloroso.
Perché nei piccoli particolari della tua storia e nell’analisi sociale delle ultime righe molti cerchino e trovino le risposte che non hanno trovato in questi giorni durante questo lungo e difficile confronto.
“Perché mi sembrano passati secoli da allora: era l’inizio del 1995, non c’era nessuno nessuno nessuno a gridarmi assassina fuori dall’ospedale, la quota di ginecologi obiettori non era alta come oggi, non c’erano i Family Day, Berlusconi si era appena dimesso dopo pochi mesi dal suo primo governo, la laicità pareva ancora un valore condiviso e nessuno si sognava di riformare i consultori.” Grazie Manuela, e chiedo, appunto: “la quota di ginecologi obiettori non era alta come oggi”, perché?
La strategia clericale è terribile da quel punto di vista. Favorire gli obiettori ai non obiettori negli avanzamenti di carriera.
“I medici che continuano a praticare l’Ivg, invece, denunciano di essere vessati, emarginati, penalizzati nella carriera e preclusi ai parti.” questa è la realtà che porta a al 70% di obiettori. Di questo passo il clero avrà vinto la sua battaglia contro la 194 in pochi anni.
Dati presi da: http://bit.ly/w3IoP5 e forniti da Laiga http://www.laiga.it/
Bellissimissima lettera, davvero grazie. Dice tutto quello che c’è da dire.
“Perché ho provato sulla mia pelle che il privato è politico, e viceversa.”
Grazie Manuela.
Alcune domande:
1) Rispettare le scelte altrui, significa astenersi dal deliberare sulla base delle proprie opinioni?
3) Rispettare le scelte altrui, significa anche rispettare quelle degli obiettori e degli elettori?
2) Rispettare le scelte altrui significa che vale il principio del laissez faire?
3) Laicità è laissez faire?
4) Se mettere al mondo un essere umano non è uno slogan, potrebbe esserlo rifiutarlo (“diritto all’aborto!”)?
5) Rifiutare un bambino è una questione meno seria, frutto di una scelta meno responsabile di farlo nascere (nessuno obbliga la madre a tenerlo. – il discorso “educativo” non ha senso, semmai quello “sentimentale” -)?
6) Cosa si intende per “parte giusta”?
7) Perché la sua è la “parte giusta”, come fa a saperlo?
8) Chi sta dalla “parte sbagliata”?
9) Cosa c’entra la laicità con una riforma (qualsiasi) dei consultori?
10) Non si può essere laicamente contrari all’aborto?
11) Qual è il motivo razionale per cui si può essere abbastanza adulti per sopprimere la cosa, ma non abbastanza per farla nascere?
Mi associo a Zauberei. Qui c’è tutto quello che c’è da dire, da capire.
provo a rispondere io:
Se mettere al mondo un essere umano non è uno slogan, potrebbe esserlo rifiutarlo (”diritto all’aborto!”)? Assolutamente no, mettere al mondo un bambino o abortire sono decisioni personali che vanno rispettate, aggiungo che personalmente non amo l’espressione “diritto all’aborto” preferisco parlare di autodeterminazione del proprio corpo
Non si può essere laicamente contrari all’aborto? Sì che si può e si può essere al tempo stesso favorevoli a che venga garantita la possibilità legale di abortire. Attualmente il numero crescente di medici obiettori in Italia rende quasi impossibile questa possibilità. Cosa pensereste se un medico, in nome di nobilissime motivazioni etiche e professionali, imponesse l’aborto ad una donna malata che aveva deciso, in piena coscienza, di far nascere suo figlio ben sapendo di rischiare la propria vita? io penserei che quel medico ha commesso un gravissimo errore. Bisogna rimuovere le cause economiche e sociali che possono portare, in certi casi, a decidere di abortire (mi riferisco ad esempio alla pratica di far firmare alle lavoratrici precarie le famose “dimissioni in bianco” così da poterle cacciare se restano incinte), bisogna garantire l’accesso ai contraccettivi (inclusi quelli d’emergenza) per chi vuole usarli, bisogna sopratutto imparare a rispettare la capacità della gente di prendere decisioni su di sè, sul proprio corpo, sulla propria vita nelle piccole e nelle grandi cose…se non condividiamo quelle scelte, se pensiamo che si pentiranno di aver preso quella decisione possiamo esprimere la nostra preoccupazione, possiamo consigliare ma non imporre la nostra volontà. Se se ne pentiranno, se arriveranno a ritenere di aver commesso un errore..questo alla fine riguarda la loro coscienza.
Rispondo anch’io. Ma solo per chiarire, ideologicamente. Bisognerà anche finirla di definire ideologia quelle cornici culturali che per qualche ragione sfuggono come tali. Questa considerazione vale per Binaghi soprattutto ma sono sicura che anche le sue corrispondenti ci troveranno buon materiale. Ma perché non si presentano pubblicamente? Avrei anche io quattro o cinque idee che le interessanti letture di questi giorni mi hanno permesso di farmi.
Le mie risposte:
1)Non si può essere laicamente contrari a qualcosa che già si sa di non poter mai sperimentare direttamente. Lo si può essere confessionalmente e soltanto confessionalmente, qualunque sia la confessione cui si aderisce, ivi comprese tutte quelle che pretendono di avere la parola sulla vita degli altri, in questo caso delle donne.
2)Rispettare l’obiezione di coscienza significa in primissimo luogo avere la possibilità e, da parte dello Stato, la volontà e la capacità di distinguere il grano dal loglio. E di perseguire il loglio. I cittadini di conseguenza, rigorosamente però.
Giusta è la decisione che prende la donna, spetta a lei decidere, magari con la consulenza del compagno quando c’è. per il resto la sequela di domande che fa il Sig. Gino mi pare tendenziosa ed assimilabile a quello che grida assassina fuori dagli ospedali.
Grazie Manuela.
Manuela, Grazie!
@Gino: l’obiettore lo sei solo, e solamente per quanto riguarda te. Non si può fare gli obiettori sulla pelle degli altri.
In effetti, l’obiettore sarebbe uno che non vuole fare la pelle a un altro.
Sottigliezze tendenziose, per carità.
Qui si parla di “obiettori” che rifiutano di prescrivere un anticoncezionale, non c’è nessun “altro” da salvare, se non un grumo di gelatina…
ma basta con questo lugubre gioco di parole e di significati! basta.
e comunque io nelle mani di un obiettore animato da questa assoluta assenza di rispetto non ci vorrei mai finire.
Ho seguito le discussioni di questi giorni e quello che mi infastidisce e che comincia a indignarmi è la pretesa di alcuni, e sottolineo alcunI, di pronunziarsi con una sfacciata supponenza su una questione di cui non hanno fatto nè mai potranno fare esperienza. Per tanto, mi associo alle parole di Ileana “Non si può essere laicamente contrari a qualcosa che già si sa di non poter mai sperimentare direttamente. Lo si può essere confessionalmente e soltanto confessionalmente, qualunque sia la confessione cui si aderisce, ivi comprese tutte quelle che pretendono di avere la parola sulla vita degli altri, in questo caso delle donne.” La triste realtà è che il corpo delle donne è tornato a essere il terreno di costruzione ideologica di una retriva morale restauratrice dei prisci mores, che in questo momento di incertezza e paura sembrano essere i soli a poter offrire punti fermi e rassciurazioni. Insomma, alla recessione economica si accompagna una restaurazione ideologica che, tanto per cambiare, si combatte sul corpo delle donne e sulla nostra libertà all’autodeterminazione. Gli attentati alla 194 e il cimitero dei feti sono solo alcuni degli attacchi sferrati in tal senso.
Niente, non ne uscirete mai.
Per voi l’unica coscienza in ballo è quella della donna che vuole abortire. Gli altri sono attentatori della libertà (mossi da interessi inconfessabili) o grumi di gelatina. O trovate il modo di convivere con una percezione diversa della realtà, che contempli un universo meno autistico, o dovrete convertire l’umanità a questo verbo, perchè per la SUA scelta la donna ha bisogno di UN ALTRO e l’oggetto della scelta è UN ALTRO ANCORA.
Non va risurta? Va rimbarza?
Semo tutti fascisti?
E alé col delirio.
Visto che ha avuto un discreto successo la trovata: “non si può essere laicamente contrari a qualcosa etc…”, vorrei ricordare, senza fare alcuna analogia (!) che si può obiettare anche ai proprietari di alberi secolari, sul fatto che possano abbatterli, ai proprietari di una casa in un centro storico, sul fatto che possano “abbellirne la facciata”, alle aziende di pellicce sul fatto che ammazzino degli animali con le mazze da baseball. Insomma ci sono un sacco di cose a cui si può obiettare laicamente senza essere costretti a farne un’esperienza diretta, intima e personale, e in questo caso, senza essere un membro della PETA, di lega ambiente, del wwf etc.
Come è stato detto, la soluzione c’è, ed è la chiusura di questa parentesi dell’obiezione, dato che essa è un illogico per l’applicazione della legge stessa.
non dovete rispondere a Binaghi- punto. L’ho fatto anche io e solidarizzo e capisco ma non si deve fare. Perchè alla fine, che succede? che di manuela sti cazzi. Invece stiamo a coccolare e a interloquire con le opinioni di Binaghi, le quali duecento commenti fa esercitavano una funzione costruttiva, adesso la funzione costruttiva l’hanno persa e ne hanno una nuova, demolitoria e inutile per la qualità del dibattito. Siccome il tema è grave e forte vi supplico ABBASTA.
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Mi interessa invece, della storia di Manuela vedere un lato buono, perchè nella drammaticità è bene sapere che ci possono sempre essere persone professionalmente e umanamente competenti. Mi dispiace solo intuire – ma forse è solo una supposizione – che nessuno le abbia detto che poteva elaborare questa esperienza e fare dei colloqui di sostegno dopo l’aborto, anzichè suggerirle che poteva non parlarne con nessuno. E’ un messaggio doloroso sul mondo, come se ad ascoltarla ci sarebbe stato solo un giudizio e non invece la possibilità di elaborare insieme a qualcuno per quanto in una cornice limitata un’esperienza dolorosa che lascia lunga traccia. Ma ce l’ha fatta da sola, mi sembra ugualmente importante.
Molto bella questa testimonianza. Se Emanuale ci legge e se questa domanda non è troppo indiscreta mi piacerebbe sapere se il “consiglio” di non parlarne con nessuno le è stato utile o come le è arrivato. Pur non essendo una materia di mia competenza, sono persuasa – come Zauberei – dell’utilità (dove se ne senta la necessità) di un ascolto professionale senza giudizi ma di elaborazione.
@Zauberei
Non dovete rispondere a Binaghi. Punto.
Mamma mia.
Anch’io ho apprezzato questa testimonianza che pur nella necessaria sintesi mi è sembrata più interessante e circostanziata di quelle fino ad ora proposte. In questa non è mancato un seppur breve riferimento a ciò che precede l’aborto. e a riguardo, l’autrice ha avuto anche il coraggio di scrivere “Abbiamo sbagliato”. che si apprezza non tanto per l’ammissione di colpa, ma soprattutto per l’uso del plurale ( abbiamo) che mi pare chiarisca come l’aborto non possa essere considerato una questione completamente individuale, ma di relazione. come di fatto è la sessualità.
Le conclusioni mi sono sembrate invece grossolane e contraddittorie, ma questo è meno importante.
Mi permetto infine di fare anche un po’ di ironia: Penso che tutti ricordino di quando il Papa durante il viaggio in Africa disse che i preservativi aumentano il problema dell’Aids. Ci fu il polverone e fu anche denunciato.
Notavo adesso come in diverse testimonianze riportate qui sul blog capiti che sul più bello il preservativo, si rompa.. Ecco, non vorrei che quando finalmente il Papa si troverà davanti alla corte dell’Aia, non arrivi qualcuno che in sua discolpa porti il blog della Lipperini…
Ciao,k..
grazie Ileana, grazie zaub, vorrei ritornare al punto: perché oggi è così difficile trovare un medico che applichi un intervento previsto dalla legge? sono totalmente d’accordo con antonellaf e ringrazio filippo per la risposta e per i link, ma continuo a chiedermi: come fanno, concretamente, i clerico-fondamentalisti ad avere voce in capitolo sulle carriere di medici di ospedali pubblici, non vaticani, non cattolici? Forse che i vertici sono diventati tutti “cattolici” mentre prima non lo erano? Oppure?
@paola m la risposta è si, è quando i vertici, che sono regionali per quanto riguarda gli aspetti fondamentali della sanità, sono cattolici (ma per ora so qualcosa di preciso solo su lazio e lombardia -Formigoni… ti fa pensare qualcosa no?) accade che la maggioranza dei ginecologi sono obiettori e che il movimento per la vita imperversa nei consultori…. o laddove possono sentirsi emissari di dio)
milva
ancora una cosa…ringrazio tantissimo Manuela che con il suo racconto riporta la questione della scelta di essere madre, o non esserlo, su un piano di realtà e di verità.
qualcuno, tra i commentatori parlava di responsabilità in qualche modo elusa quando si sceglie l’aborto, beh questo è falso, assumersi la scelta consapevole, come ha fatto Manuela, di portare o meno a termine una gravidanza è un atto di responsabilità, lo è comunque.
… e posso anche sbeffeggiare un pochino i seguaci di quel gruppo di uomini, vecchi e misogini, che si vestono da donna (alcuni con le scarpette rosse) e che hanno fatto sparire in fretta e furia un papa che disse che dio è anche madre? ma si, un pò di buonumore!
milva
per me paola la dilagazione del problema ha solo parzialmente a che fare con la chiesa cattolica. ma figurati: le chiese sono vuote, i preti arrancano l’ideologia si svuota, sono 40 anni secchi che fanno tutti sesso prima del matrimonio… nonono. La combinazione è un’altra: la Chiesa come organo ufficiale ingerisce nella politica pubblica, offre la possibilità nominale di ledere i diritti dei cittadini (in questo come in altri contesti – ricordiamoci il triste destino dei dico) e coloro i quali occupano posizioni di potere contingente approfittano dell’etichetta fornita – ma mica in nome del sacro richiamo del verbo divino, ma nella stragrande maggioranza dei casi, per stracazzacci loro che ancora non mi sono chiari perchè non conosco da dentro la questione. Anche perchè se fosse stato per un potere ideologico della cultura cattolica, l’andamento doveva essere diverso: o il numero di obbiettori rimaneva uguale oppure – doveva decrescere. Invece le chiese si svuotano e gli obbiettori crescono. Come funziona?
Manuela, grazia davvero. Come è già stato detto, hai detto.
Forse questo un po’ può aiutare: “A parole la struttura pubblica incarna la “solidarietà sociale” che viene offerta alla donna in difficoltà; nei fatti “i cieli sono alti e lo zar è lontano”: c’è una legge che legittima il comportamento della donna e la sua richiesta, ma la legge è lontana, e vicini sono la suora caposala, il primario obiettore, l’assistente non-obiettore frustrato, vilipeso, preoccupato del proprio avvenire.
In ospedale funziona il principio della cosiddetta “cordata”: quel che fa il primario lo fanno, in fila, l’aiuto, l’assistente anziano, l’assistente giovane. Le ragioni dell’andare “in cordata” risalgono ai tempi, del resto non molto antichi, del “quattro più quattro e del tre più tre”. Questa formula ricorda la legge del 1938, secondo la quale l’assistente aveva un contratto di tre anni rinnovabile per tre anni, e l’aiuto aveva un contratto di quattro anni rinnovabile per altri quattro anni. Gli aiuti dopo otto anni e gli assistenti dopo sei diventavano dei “fuorilegge”: il primario (il solo “inamovibile”) comandava quindi a bacchetta su gente che avrebbe potuto far licenziare in tronco da un giorno all’altro. Di qui gli aspetti più truculenti del regime ospedaliero, comuni del resto agli altri paesi europei visto che furono immortalati da L. Daudet nei Morticules: le sfuriate memorabili, le urla, le perfidie sottili… e gli aspetti più folkloristici: il codazzo di camici svolazzanti, il precipitarsi ad aprire la porta al “maestro” inciampando nei cadaveri dei colleghi, le coltellate nella schiena per riuscire ad afferrare la borsa, da portare computi come si porta una reliquia in processione.
Nei suoi aspetti più intensi, tutto questo appartiene al passato: le nuove leggi, i nuovi contratti, la stabilità del posto a poco a poco trasformano l’ospedale da luogo di torture in luogo di lavoro. Però ci sono ancora i concorsi e le raccomandazioni, e ci sono le leggi e le leggine e i regolamenti e le interpretazioni, e i santi in paradiso che ti aiutano a strappare l’interpretazione più favorevole, a far riaprire i termini scaduti, a escogitare e perseguire i passaggi più spericolati dell’intricata partita in cui Tizio concorre a un posto che notoriamente è riserva di Caio per aprire il passo a Sempronio bloccando in pari tempo la strada a Giovannino. Se a questo aggiungi la pletora dei laureati in medicina, e i freni alla spesa pubblica che bloccano la costruzione di nuovi policlinici e l’ampliamento degli organici, ti rendi conto che senza santi in paradiso non puoi proprio farcela. Vuoi dunque pestare i piedi al primario obiettore? Mettiti in cordata, e non rompere! Così avviene che, se il primario è obiettore di coscienza, l’obiezione coinvolge a cascata gli aiuti e gli assistenti e la caposala e gli infermieri professionali e gli infermieri generici e i portantini e le inservienti, fino al vetrario il quale interroga la propria coscienza per sapere se è lecito cambiare un vetro nella camera dov’è degente una donna che ha abortito. Anche senza le sfuriate e le urla, la gerarchia assicura alla volontà del primario il ruolo di legge.
E’ così che l’obiezione di coscienza ha impedito alla legge 194 di funzionare. Le recriminazioni contro gli abusi si sprecano, tutti si indignano del fatto che l’obiezione di coscienza venga adoperata come obiezione di carriera, per compiacere il primario. Ma questa virtuosa indignazione non ha ancora risolto il problema.”
“Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne” di Laura Conti, 1981
Da ciò si comprende come l’obiezione di coscienza sia stata un problema da subito, poichè usata da subito per boicottare la legge.
@zauberei
Certi settori del clero sono disinteressati alle masse e interessatissimi alle élite. C’era un saggio di Ferruccio Pinotti, Opus Dei Segreta, che illustrava molto bene la politica di tale influentissima associazione sui professionisti e su chi avesse incarichi pubblici. Stesso discorso si potrebbe fare per Comunione e Liberazione. Insomma si sono da subito indirizzati verso i primari, in maniera che da loro partisse la penalizzazione dei medici non obiettori. Il problema con la chiesa è che gioca sui tempi lunghi, la battaglia di boicottaggio della 194 inizia da subito (come racconta la citazione di zerbilla) e continua inesorabile, senza cali di attenzione, da oltre trenta anni. Questo non vuol dire che non ci siano importanti sacche di resistenza da valorizzare come l’AIED, però, dato i numeri a cui siamo, da sole, senza un forte sostegno esterno che denunci lo stato di cose presenti, non bastano a difendere la legge.
A me tornano in mente le riflessioni di Carla Lonzi, la quale nel lontano 1971 sosteneva che l’aborto non è nient’altro che una concessione del patriarcato alle donne che, in quanto tale, come qualsiasi altra concessione, può essere revocata in qualsiasi momento. Mi pare che gli eventi le stiano dando perfettamente ragione.
Il problema è che accanto a questa concessione non c’è stata l’eleborazione di una concezione diversa della sessualità e dell’affettività, ma si è continuato nel solco di una tradizione patriarcale ed eteronormante, quella che ha fatto la concessione e che ora se la sta riprendendo, anche appoggiandosi alla retorica cattolica, che fornisce un po’ di immagini stereotipate ad effetto. Il fatto è’ che non solo non dovremmo indulgere nel dare ascolto alla retorica patriarcale, eteronormante e per ultimo cattolica, ma anche dare spazio a modi altri di amare e vivere la sessualità. Urge una evoluzione mentale, fin quando rimarremo nei soliti schemi continueremo ad attestarci su posizioni di difesa e a chiedere concessioni.
Veramente con tutto il rispetto possibile – a titolo puramente personale le teorie della Lonzi mi urticano tanto quelle della Chiesa. Non credo possa esistere una educazione unica all’affettività o che si debba chiedere il permesso a qualcuno per il modo in cui si vive la sessualità. E no, non mi pare proprio che la possibilità di interrompere la gravidanza in modo sicuro e legale sia una concessione patriarcale ora revocata.
E’ un peccato che si reagisca in modo quasi automatico al solo nominare la Lonzi e soltanto per negare ciò che ha detto senza darsi nemmeno la pena di argomentare la propria contrarietà: no, non mi pare proprio che…e basta. Peccato che stiamo precisamente parlando di questo percolo.
Ma, Barbara, dì qualcosa di più, se ti va. Perché invece, non so se ve ne siete accorte, questi uomini che vengono qui a realizzare il progetto patriarcale sulle donne – al quale progetto appartiene anche la revoca dell’autorizzazione all’aborto – vengono trattati come interlocutori, si spendono fiumi di parole e di concetti per stare sulle loro provocazioni.
Volevo dire solo questo, per il momento.
Ci provo. Spero mi perdonerete se – anche causa tastiera del portatile fuori uso – non potrò essere esaustiva. Non riesco a condividere alcuna delle teorie del pensiero della differenza, pur apprezzandone lo sforzo intellettuale e teorico. Non mi persuade l’idea che esista un “femminile” non storicamente determinato o declinato ma portatore di per se stesso – solo perché femminile di istanze sane e buone e un maschile – solo perché tale – cattivo e predatore. A costo di apparire qualunquista – stringi stringi – mi sembrano gli stessi discorsi ammansiti dalla Chiesa. Le donne sono buone di default, portate al sacrificio e alla cura, potenziali salvatrici del pianeta se solo si desse loro campo libero. E le donne reali che non sono così sono “agenti” del patriarcato. Lo so che ho tagliato molto con l’accetta e me ne scuso.
Soprattutto per quanto riguarda la sessualità trovo il pensiero della differenza assai reazionario – la sessualità è varia, complessa e ciascuno/a ha diritto di esperirla nei modi in cui più si riconosce se non lede diritti di terzi o coercisce la volontà altrui. E sono molto diffidente nei confronti di chiunque voglia indicare ad altri come debba essere “una sessualità correttamente vissuta”. Accusare l’intera altra metà del cielo – ossia tutti i maschi – di essere dei prevaricatori in qualunque approccio erotico-sentimentale mi pare poco corretto e anche poco rispettoso nei confronti dell’altro. Così come non mi piace che la sessualità di una coppia – stabile o “occasionale” – sia oggetto di normativa.
Ciò nega – in primo luogo alle donne – la possibilità di essere libere nell’esprimere i propri desideri che, certamente, si declinano secondo i gusti di ciascuna.
Per quanto riguarda le interruzioni di gravidanza e in generale la generazione, concordo con Zauberei – non si può procreare da soli/ e. C’è bisogno – anche nelle coppie omosessuali o in chi desidera un figlio da single – di essere in due. Da quel due poi si apre un’asimmetria biologica che non è eludibile e come tale va rispettata. Ma ho ascoltato troppi discorsi – nel contesto del pensiero della differenza – per cui ogni forma di sessualità identificata come maschile è violenza. Detto in altri termini – e scusate il francesismo – non mi piace se qualcuno viene a sindacare il “mio modo di fare l’amore” – sia esso Chiara Lonzi o Ratzinger. E mi piace ancor meno se il mio partner viene di default accomunato a un potenziale stupratore solo perché è maschio. In generale mi piace poco quando si comincia a voler ficcare il naso nel modo in cui trombano due adulti consenzienti. Forse questo tipo di analisi è possibile in contesti terapeutici specifici, per chi ha bisogno di aiuto. Ma non se ne possono trarre conclusioni o indicazioni di carattere generale
Tornando sull’interruzione di gravidanza – che è una brutta pratica antica come il mondo – trovo più utile ragionare per imporre il rispetto della 194 e dotare – maschi e femmine di strumenti contraccettivi – piuttosto che discutere se trattasi di pratiche patriarcali concesse e revocate. Sarebbe decisamente illiberale voler uniformare l’intera collettività composta di tante soggettività diverse a un unico modello di sessualità e di pensiero unico sulla sessualità. Per questo – nella mia modesta opinione – sono più vicina a un femminismo alleato col maschile e che si occupi più di diritti che di astratta riflessione su come le donne e gli uomini debbano correttamente comportarsi in un letto.
Scusate ancora per la brutale semplificazione.
No, Barbara, non hai semplificato affatto, hai espresso con molta chiarezza la tua posizione, ti ringrazio. Ci penso.
Per ora ti dico soltanto che io sono d’accordo nel vedere la pratica dell’aborto sotto il controllo maschile e da sempre, anche quando veniva effettuato nel segreto di stanze pericolosissime per l’incolumità delle donne. Ciò che non si vuole è che esso sia praticato in condizioni di visibilità e di sicurezza ed è per questo che la 194 è ed è sempre stata sotto attacco, anche nel 95 quando Manuela poteva usufruire di condizioni che oggi vanno scomparendo. Proprio nel 95 si svolse a Roma l’ultima grande manifestazione degli anni 90 in difesa di una legge così giovane, per allora (17 anni dalla sua promulgazione), il che dà l’idea del problema che abbiamo.
barbara, evidentemente mi sono espressa male io citando Carla (e non Chiara, mica stiamo parlando di 2 persone diverse?) Lonzi in maniera stringata. Per certi versi sarà sicuramente superata, ma per altri ha avuto intuizioni geniali e che il presente conferma e non smentisce: se cioè l’aborto non è accompagnato da un’evoluzione mentale che abbraccia altre possibilità di vivere la sessualità, bene, allora, se si rimane nel solco della tradizione non cambia sostanzialmente nulla. Qui nessuna, non di certo io, vuol prescrivere ricette sul come vivere gli affetti e il sesso, tant’è che, non a caso, mi sono espressa in maniera fortemente critica nei confronti dell’eteronormatività (e qui la Lonzi non c’entra, sono andata oltre) ritenendola una dei punti su cui fa leva l’attuale involuzione in materia di contraccezione e aborto. Che poi non si debba perdere la testa dietro astratte teorie mi può stare anche bene. Perdere la testa no, ma ragionare sui meccanismi è doveroso, se non vogliamo ritrovarci nel bel mezzo di un processo di involuzione di cui paghiamo lo scotto e rimanere a bocca aperta chiedendoci: perchè? ma che succede?
E’ proprio questo il punto, Antonella: darci la possibilità di condividere il meglio delle chiavi interpretative di ciò che effettivamente sta accadendo. Dividerci sugli approcci non serve a niente, anche perché come ha già ben specificato Lipperini, oltre quelli ci sono i fatti. Sono certa che ciascuna starà sperimentando nel suo ambito fatti molto specifici di ciò che si va restaurando a passi da gigante: nel lavoro, nei suoi rapporti, in politica e, per alcune, in caso di aborto ma, più in generale nel nostro rapporto con il sistema sanitario non certo amico delle donne. Personalmente ho sperimentto un’intolleranza terribile al mio essere informata sui farmaci e sulle terapie all’interno di una struttura ospedaliera; per non parlare dell’ostilità diffusa verso la medicina di genere (quella che ha scoperto, per dire la cosa più semplice, che l’aspirina ha effetti diversi a seconda del sesso).
“In generale mi piace poco quando si comincia a voler ficcare il naso nel modo in cui trombano due adulti consenzienti” barbara
condivido.
Non sempre ad un adulto consenziente corrisponde un adulto consapevole/autoconsapevole. A voi risulta il contrario?
Sì, Ileana, il punto è proprio questo: il processo di restaurazione che ha come terreno privilegiato il corpo della donna e il suo diritto all’autodeterminazione. Tale processo è reso possibile dal fatto che, evidentemente, l’universo simbolico sul quale si reggeva il mos maiorum non è stato sufficientemente messo in discussione e superato, per cui ora è facile tornare ad aggrapparsi a quei valori e a quegli inni alla vita che sembrano offrire sicurezze e certezze in un’epoca di crisi quale quella che stiamo attraversando. La Lonzi metteva in guardia proprio contro questo pericolo, niente a che vedere con la pretesa di mettere il naso nel modo in cui trombano due adulti consenzienti con intento moralistico, anzi, è proprio il contrario. Ripeto, capire i meccanismi è fondamentale per sdradicarli, altrimenti si ripresentano come i peperoni in tutte le esperienze del vissuto: dal lavoro, ai rapporti sociali, alla politica, alla sessualità. Forse sarebbe il caso di ritornare su alcune esperienze del passato e del pensiero femminista con animo pacato, semplicemente per capire cosa non ha funzionato e perchè oggi, nel 2012, ci ritroviamo ancora a dover stare a sindacare il nostro diritto alla scelta di essere o meno madri e a dover convivere con il senso di colpa, nel caso in cui la risposta è negativa.
E’ possibile che il problema sia solo mio – per carità. Il confine sottile tra comprensione del meccanismo e normativa non va mai superato. E la sessualità è un magma di esperienze personali, assetti della personalità, cultura e via dicendo. Non sostengo non si debba riflettere sulla sessualità – dico solo ci vuole molta cautela onde evitare la riflessione divenga norma. Non credo esista un femminile buono per definizione contrapposto a un maschile cattivo. Dubito che alcune logiche siano dovute al patriarcato. A me sta molto a cuore la testimonianza di Emanuela perché contiene due aspetti – da giovani (e anche da meno giovani) è possibile incappare nell’incidente contraccettivo – per incoscienza, per distrazione, per non conoscenza – e poter decidere di rifiutare quella gravidanza in modo sicuro e in un ambiente non colpevolizzante. E quella scelta esercitata da quella coppia e da quella donna è stata rispettata. Ci sono coppie – a cui va il mio più sentito rispetto – le quali sono persuase che il modo migliore per vivere la sessualità sia essere sempre aperti alla vita. Anche questa è una scelta legittima. Ci sono altre coppie ed altre persone che non desiderano figli e questo pure deve essere rispettato. I modi e le forme con cui i singoli soggetti – maschi e femmine – esercitano la loro vita sessuale non può essere normato in alcun modo né dallo Stato, né da una comunità (reale o immaginaria).
Non si può, per altro, negare che l’aborto lasci delle ferite. Non ciò non significa chiederne l’abolizione o appoggiare gli obiettori o caricare le donne di sensi di colpa. E’ una constatazione. Del resto – a donne e uomini – svariate azioni lasciano sensi di colpa. Non è in questione il diritto di scelta sul diventare o no genitori – madri nello specifico.
Ultimissimo – chi decide se un adulto informato è anche consapevole? E consapevole di cosa poi?
Barbara, ma il problema che si sta creando, nuovamente, è proprio quello di poter scegliere le altre opzioni – coppia senza figli, pianificazione della genitorialità, salute, ecc. Credoc he non si metta in discussione la libertà diuna coppia o di una singola persona di fare dodici figli, mentre al contrario chi di figli non ne vuole o non ne può avere si trova incastrato in un sistema coercitivo.
La consapevolezza non può essere stabilita tramite parametri fissi, è diversa per ogni persona, per questo alla base si deve dare a tutte le persone gli strumenti per raggiungerla, altrimenti ci troviamo con ragazzine che restano incinte perchè il fidanzato non vuole usare i preservativi e dice che se si fa il famosissimo bidè con la cocacola non corre rischi – cosa che credevo passata di moda ed invece mi è stata raccontata di nuovo, di recente. E l’educazione ovviamente va diretta ad entrambi, ma non si può negare che tra i due quella che corre maggiori pericoli, resta lei, poichè è lei che resterà incinta e che dovrà scegliere e che dovrà andare a fare le visite e che subirà il processo.
Personalmente non credo che esista la bontà genetica, ma che ci sia un sistema che favorisce certi meccanismi sì.
Serbilla è molto probabile che io mi esprima male -) Son d’accordo con te: niente da eccepire. Eccepire molto invece sul pensiero della differenza – che ha varie articolazioni – e sul modo di concepire la sessualità: a mio parere modesto, un po’ troppo “prescrittivo”. Più chiaro di così non riesco, mio limite di cui chiedo scusa.
Eccepisco molto, naturalmente.
Barbara, però il pensiero della differenza l’hai tirato fuori tu. Io ho semplicemente citato una, e dico una sola, constatazione della Lonzi, che tra le altre cose è, anche se di poco, precedente al pensiero della differenza, considerato che Speculum della Irigaray è del 1974 (1975 ed. italiana) e io mi sono rifatta a scritti del 71. Il pensiero della differenza non convince nemmeno me, con il suo fideismo nella natura buona ed eccelsa della donna e non mi convince nemmeno con la sua dicotomia uomo/donna, eteronormante, che non contempla queer, bisex, gay e trans. Ma non era di questo che volevo parlare e non pensavo che citare Carla Lonzi potesse ricondurre al pensiero della differenza che, è vero, si avvita su stesso e ha perso il contatto con la realtà. Non volevo fare questa lunga digressione proprio per non distogliere l’attenzione sui vissuti. Però le scelte su cui si costruisce un vissuto si operano con maggiore consapevolezza quando si hanno anche (non solo, ma anche) gli strumenti per decifrare la realtà che ci circonda, all’interno della quale ritagliare lo spazio vitale per la nostra. Altrimenti continuiamo a rimanere dentro un recinto di luoghi comuni e di valori (o presunti tali) di cui si è persa memoria storica e, dentro a questo recinto, continuiamo a prestare il fianco a provocazioni, assalti, restaurazioni varie ed eventuali e a chiederci sbigottite il perchè di ciò che ci accade.
Quello che ho apprezzato molto della testimonianza di Emanuela è la sua capacità di contestualizzare la propria esperienza e di istituire un confronto tra la società italiana del 95 e quella odierna, un’Italia che, lei come me, stenta a riconoscere. Io la ringrazio molto per questo stimolo a collegare la propria esperienza al contesto sociale, a collegare dunque il personale al politico. Secondo me è questo stimolo che dovremmo raccogliere e su questo collegamento dovremmo riflettere e lavorare per far sì che le conquiste di battaglie combattute in passato non vadano cancellate da una vuota retorica pro-vita che si tiene in piedi solo su vani e vacui presupposti ideologici di chiara matrice reazionaria.
“Dividerci sugli approcci non serve a niente”, la frase di Ileana la condivido totalmente e quindi la metto in epigrafe, dunque, qualche riflessione e domanda: perché Lonzi nella prima metà degli anni ’70 poteva dire quella cosa sul’aborto come concessione del patriarcato etc.? Perché, mi sembra, ci sono due modi di intenderne il diritto a: uno è quello che parte dal riconoscimento all’autodeterminazione delle donne su ciò che riguarda il loro corpo, insomma la prospettiva che parte dal riconoscimento della titolarità del corpo. L’altro, storicamente vissuto, è quello che mette in atto l’aborto come un espediente della società maschile per gestire in un modo o nell’altro i corpi delle donne ed i problemi che potrebbero creare. Mi sembra chiaro che in una società in cui si affacciava la consapevolezza del diritto all’autodeterminazione da parte delle donne, come quella dell’epoca Lonzi, sarebbe prevalsa la prima delle modalità in cui intendere l’aborto. Non è un caso che, quando ero piccina e si faceva propaganda per il referendum, non c’era donna consapevole che non asserisse essere l’aborto una “extrema ratio”, da adottare dove avesse fallito, o fosse mancato, tutto ciò che permette di non arrivare all’aborto: un insieme di consapevolezze, cognizioni, attitudini, che avrebbe messo donne e uomini nelle condizioni di non arrivarci proprio, all’aborto. Epperò, quello che contava, comunque, era il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione: questo significava “l’utero è mio”. Oggi, è proprio questo diritto all’autodeterminazione che è sotto attacco, è il diritto alla titolarità del corpo da parte di ciascuna donna che dà fastidio, e che si vuole cancellare. Che sia il risultato di un’operazione clerico-fondamentalista giocata sui tempi lunghi, come dice Serbilla, non so, certo che è chiara quale sia la fonte ideologica da cui parte l’attacco. Dico la fonte ideologica nel senso dell’agenzia ideologica che fornisce la copertura teorica, filosofica, religiosa, all’operazione, perché non sono sicura che esa esaurisca anche la totalità degli interessati al buon esito dell’operazione. E quiindi non è un caso che l’attacco alla titolarità dei corpi si estende pure alla parte finale della vita, per cui se lasciassimo fare al clerico-fondamentalismo, nessuna/o dovrebbe essere più padrona/e della propria morte, e si capisce la causa dell’accanimento al cd. “fine vita”: perché una volta stabilito il principio che “il corpo è mio”, ne discenderebbe, per le donne, che “l’utero è mio”. Lo stesso dicasi per le follie legislative e gli abominii concettuali che abbiamo visto prodotti in materia di riproduzione assistita. Che cosa dedurne? Che questi temi non sono affatto periferici, sono temi fondamentali, e sono fondamentali sia nella cultura che in quella elaborazione culturale che è il diritto. A proposito, ricordo che nella nostra civiltà giuridica esistono ancora l’atto di nascita e l’atto di morte, e che l’atto di nascita corrisponde al momento in cui siamo uscite/i dal corpo delle nostre madri. Il che non ha nulla a che vedere con le tante e diverse angosce delle donne che hanno abortito, e con il rapporto che, per fortuna, esiste tra la madre ed il feto, ma è pur sempre un principio teorico che tutte/i condividiamo, teniamone conto, no?
Scusate gli errori di battitura, e aggiungo: come tutte/i sappiamo, dello stessa operazione contro l’autodeterminazione delle donne fa parte la scelta pubblica di non svolgere informazione sui metodi anticoncezionali, ovvero su ciò che potrebbe evitare l’aborto: dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che ai clerico-fondamentalisti, e a coloro che di tale copertura ideologica si giovano, non interessa la tutela della vita di chi non è ancora nato/a, bensì il controllo dei corpi delle donne.
D’accordo con paola m. E aggiungo anche che la questione non è periferica perchè riguarda, in ultima analisi, il controllo sul potere riproduttivo della specie che non si vuole lasciare in mano alle donne.Da qui deriva l’attacco all’autodeterminazione, perchè l’autodeterminazione limita il controllo esercitato da stato e chiesa. In quest’ottica, il clerico-fondamentalismo a mio avviso fornisce l’ armamentario ideologico su cui esercitare tale controllo, visto che da secoli è avvezzo a colonizzare territori altri da sé.