STORIE DI DEE PER ASPETTARE IL MATTINO – 4

Oh, non finisce ancora, questo lungo intervento per Gaia, al Mattatoio, quando era luglio e ci avventuravamo nelle sere tiepide ritrovando la gioia di incontrarci. Che tornerà, ne sono certa. Intanto, ancora una puntata, non l’ultima.
Tutti cercano la dea, o almeno una Sibilla. Cercando la grotta vagano, nel Medioevo, gli eretici e i templari e i domenicani che davano loro la caccia, e si additano l’un l’altro le scritte sulle pareti della grotta, quel 1378 che indica la data di nascita di Christian Rosenkreuz, e rose e croci si trovano infatti sulle finestre e in portali della zona. Qui giunge il misterioso cavaliere tedesco descritto da de La Sale, Hans Van Bamborg, in cerca come molti di un Graal e di un nome, e dunque di se stesso, e forse non è che la variante di Tannhäuser che proprio a Monte Sibilla arriva e resta fra le braccia di Frau Venus per un anno, e un secolo dopo arriva de La Sale in persona, per divertire e informare la duchessa Agnese di Bourbon-Bourgogne sulla misteriosa Signora che vive nella grotta, difesa dal mondo da un vento straordinario e orribile, da un ponte non più largo di un piede, da dragoni di pietra dallo sguardo fatale e da due porte di metallo che sbattono continuamente. Se si superano le prove, si giunge in un luogo di paradiso, abitato da fanciulle bellissime e giovani lieti, ricco di musica e bellezza, e il cavaliere e il servo ricevono vesti meravigliose e viene loro promessa la giovinezza eterna, anche se le fanciulle di notte si trasformano in serpenti. Dunque il cavaliere fugge, perché a quella verità non riesce a resistere, e chiede perdono al Papa che però prende tempo prima di assolverlo, e non gli resta che il ritorno dalla fredda regina, dove lo immaginiamo felice.
Dalla Sibilla si va per cambiare la propria vita, e se questo si desidera occorre sorprenderla mentre lavora a un telaio di raggi di sole, insieme alla sorella rossa e alla sorella nera, quella che porta il sonno. E una volta trovata occorre porre tre domande alla tessitrice, ma tener presente che se lo si fa per egoismo e per ambizione, si verrà scaraventati sulle rocce e bruciati dal sole e neanche le ossa dormiranno e illumineranno col proprio biancore l’entrata della grotta.
E poi, appunto, arriverà il Meschino, ovvero “il bastardo”, colui che non conosce la propria provenienza e la propria identità, che potrà diventare Guerrino e sangue di re dopo aver incontrato la Sibilla, perché fu rapito in fasce dalle braccia di Milone re di Durazzo e dalla moglie Fenisia, venduto ai pirati, poi ai Greci, infine affrancato e respinto da una donna che non vuole un uomo che non conosce il suo nome. Dice Guerrino all’oste di Montemonaco: “Sono di questo mondo, non so donde venga, e non conosco ove vado”, e l’oste cerca di dissuaderlo, gli racconta che prima della grotta di Sibilla c’è una fortezza, e sul monte “sono grandi stormi di uc¬cellacci e orribili falchi e grifoni, i quali, insieme a molt’altre fiere, impediscono a chicchessia di proceder oltre: tanto è il terrore che domina per quella re¬gione orrida e disabitata. Onde, – soggiungeva poi – vi sconsiglio assolutamente di andarvi, perocchè non uno, di cento che vi si recassero, tornerebbe in qua”.
Invece Meschino va, ignora le leggende sulle fanciulle dalle zampe di capra che hanno incantato i pastori, perché quelle che vengono chiamate fate sibilline amano ballare con i giovani umani a cui insegnano il saltarello e li trasportano in un luogo che oggi non esiste più perché è stato sbriciolato, Pretare, frazione di Arquata del Tronto. Ma ogni mortale che viene in contatto con le fate sparisce al mondo, e anche le fate sibilline sparirono nella realtà a forza di prediche di santi e apostoli e frati, e qualcuno dice che dopo la morte del dio Pan vennero assegnate al corteggio del diavolo, ma qui bisogna vedere se il dio Pan è morto davvero, e se il diavolo esista così come lo conosciamo.

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