SU PLUTO E NON SOLO

Oggi l’ articolo scritto per Linus di gennaio. Su Pluto.

Facciamoci due conti: in breve tempo abbiamo visto al cinema o in streaming Dune di Denis Villeneuve, da Frank Herbert, Foundation, di David S. Goyer, da Isaac Asimov e Pluto, anime (su Netflix) tratto dal manga di Naoki Urasawa. Il primo scritto nel 1965, il secondo (parliamo del primo romanzo in ordine cronologico del Ciclo delle Fondazioni) del 1951, il terzo è iniziato nel 2003 e concluso nel 2009, ma è ispirato apertamente ad Astro Boy di Osamu Tezuka, diffuso dal 1952 al 1968. Cosa hanno in comune? Intanto, sono tre splendide trasposizioni, simili nella fedeltà al testo originale, soprattutto per quanto riguarda lo spirito e la visione di futuro: nei tre casi, la tecnologia è prima un’opportunità e poi un problema.

La storia di Dune inizia avendo alle spalle un evento che Herbert chiama Jihad Butleriano, e che è quel che sembra: una guerra contro l’intelligenza artificiale guidata da Serena Butler, che si ribella allo strapotere dei computer pensanti affidando poi agli umani (Mentat e Bene Gesserit soprattutto) la capacità di calcolare e prevedere con i soli poteri della mente. La storia delle Fondazioni inizia con la fiducia assoluta nella scienza e nella psicostoria di Hari Seldon, che attraverso l’utilizzo di statistica, psicologia e soprattutto funzioni matematiche, ritiene di poter non fermare, ma abbreviare, il lungo periodo di oscurità che seguirà al crollo dell’Impero. Salvo poi veder scompigliare ogni previsione da una variante in carne e ossa e dunque non prevedibile,  il mutante chiamato il Mulo. In Pluto (e in Astro Boy) le intelligenze artificiali sono quasi indistinguibili dagli esseri umani: ne hanno l’aspetto, simulano perfettamente l’atto di mangiare e di bere, hanno una famiglia (e adottano bambini non robot), sognano e, viene da dire, amano, o provano qualcosa che somiglia molto all’amore. Anche se non tutti gli umani gradiscono che alle intelligenze artificiali vengano riconosciuti uguali diritti, visto che fino a quel momento li hanno usati come armi di distruzione.

Mi colpisce, e credo colpisca molti, che tre grandi saghe della metà del secolo scorso trovino oggi nuova vita. Mi colpisce non, come è stato scritto da molti, per l’attualità di alcune problematiche affrontate già allora (geopolitiche e ambientali e tecnologiche). Mi colpisce un fattore, in realtà, che è quello che dava il senso stesso alla letteratura di fantascienza. Quello che sarebbe emerso nell’ultimo ventennio del Novecento e che avrebbe sì dato vita a una grande produzione letteraria e cinematografica, ma avrebbe segnato uno spartiacque. Ovvero:

“Bisogna guardare ai mutamenti sociali venuti a maturazione nello straordinario decennio degli anni Ottanta: la diffusione di un’angoscia planetaria per la sovrappopolazione e il degrado dell’ambiente; l’acuirsi della forbice tra Nord e Sud del mondo e il realizzarsi di una «rivoluzione» del terzo mondo rovesciata rispetto alle previsioni dei marxisti ma non per questo meno sconvolgente, quella dell’emigrazione; il crollo del sistema del «socialismo reale» e la fine, con la crisi del comunismo, di tutte le utopie; l’intrecciarsi schizofrenico fra l’emergere di una cultura integrata su scala planetaria, che chiederebbe anche un governo sovranazionale, mondiale,dei processi, e lo scatenarsi anche sanguinoso dei particolarismi, dei localismi, dei tribalismi, con l’immancabile e triste codazzo delle xenofobie e delle infamie antisemite. In questo quadro si comprende chiaramente che è la stessa nozione di «futuro», una nozione chiave della modernità, sulla quale si basava in larghissima misura la fantascienza, a dissolversi”.

E’ Antonio Caronia, in Risposte a un questionario sulla fantascienza. E’ il 1992.

Ancora.

1980. Pat Stone intervista Isaac Asimov (le cui leggi della robotica sono tuttora ampiamente rispettate in Pluto). Gli chiede quali prospettive ci siano per l’umanità. E Asimov risponde così: “Ad essere sincero non credo che ci siano molte probabilità di risolvere a breve i nostri problemi attuali. Credo che le probabilità che la civiltà sopravviva nei prossimi trenta anni, diciamo fino al 2010, siano inferiori al 50 percento.

Stone: Prevede catastrofi?

Asimov: E’ semplice, se la popolazione continua ad aumentare al ritmo attuale e le risorse disponibili diminuiscono, ci sarà meno cibo ed energia per tutti e inizieremo a azzuffarsi per averli. Il cittadino medio si preoccuperà solo di come procurarsi il prossimo pieno per l’auto, le prossime sigarette, il prossimo pasto… In tale situazione di stenti, il pianeta andrà in rovina perché la gente sarà assillata solo dalla sopravvivenza quotidiana, senza curarsi dei danni arrecati all’ambiente. Mettiamola così: se devo scegliere se salvare un albero o salvare me, cosa scelgo? In un mondo segnato da risorse insufficienti il terrorismo prenderà piede e, alla fine qualche governo sarà forzato a pensare che, per garantire una vita decente al proprio popolo, l’unico mezzo sia attaccare un’altra nazione ed impossessarsi delle sue risorse… magari facendo uso di armi nucleari! E così si diffonderà il caos, anche se nessuno dichiarerà di volerlo, e tutti sinceramente professeranno fede nell’amore e nella giustizia sociale. Se il numero di bocche affamate continua a crescere, non c’è niente che possa contrastare la forza di un’umanità sofferente mossa dall’istinto primario di sopravvivenza!”

Stone: Che circostanze potrebbero spingere i popoli di questo mondo diviso a fare fronte comune?

Asimov: I sentimenti umani potrebbero fungere da catalizzatore per la nascita di un governo mondiale. Forse quello principale è la paura, la paura che solo l’unione sia l’unica alternativa alla distruzione totale”.

Fa molto effetto, d’accordo. Su questa storia della cooperazione Asimov tornerà ancora nel 1989 chiedendosi come avremmo fatto a liberarsi dalla concezione di “sicurezza nazionale”, che, diceva, “ci fa continuare ad agire come miopi, concentrandoci su noi stessi ed escludendo l’intera Umanità. Come porre fine ai sospetti e a gli odi nazionalistici e religiosi, all’antagonismo che naturalmente ci oppone  a chi parla un’altra lingua ed ha altre usanze e costumi? Una possibilità è che con il peggiorare delle crisi, l’aumento dell’effetto serra, l’inquinamento sempre in crescita e lo spaventoso incremento demografico, arrivati sull’orlo del disastro totale il terrore della catastrofe ci spinga ad agire globalmente. Questa certamente è la peggiore ipotesi, aspettare una crisi che spinga ad agire globalmente probabilmente ci porterà ad agire troppo tardi…”

Non so cosa altro si debba chiedere alla fantascienza del secolo scorso, che ha esercitato al massimo non tanto e non solo la sua funzione di precog, ma la sua capacità di comprendere gli sviluppi del presente. Alla fine del 2023 il rapporto Censis ci ha definiti sonnambuli e incapaci di immaginare un futuro, appagati dai piccoli piaceri del presente. Ma neanche la bellezza che cerchiamo basterà, se non ci uniamo: così come l’amore per la musica non sarà sufficiente per il magnifico robot North Number Two di Pluto. Rasserena, ma non salva.

 

 

 

 

 

 

 

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