Sulla letteratura per ragazzi (oggi apre la Fiera a Bologna, Nielsen ci dice che i lettori sono calati – meno 6% – anche se meno rispetto al mercato che riguarda gli adulti), bisognerebbe avere un po’ di coraggio. Specie se la si ama e la si ritiene indispensabile non solo per creare nuovi lettori, ma per far sì che le giovani persone del futuro crescano dotate di curiosità nei confronti del mondo. E possibilmente con un bagaglio di parole da utilizzare.
Che la letteratura per ragazzi, per molta parte, si sia trasformata in moltiplicazione di personaggi-brand non è un mistero per nessuno (ma non si dice quasi mai). Che l’attenzione e il numero stesso delle parole siano secondari rispetto alla preminenza del filone, si dice ancora meno (e che ci vuole? Vanno di moda i pirati? Via con cinquanta libri sugli stessi, scritti non importa come. Quest’anno si porta il giallo? Forza con venti titoli in tinta, magari commissionati in fretta e furia tre mesi prima).
Allora, rinnovando i più fervidi auguri alla Fiera di Bologna (fervidi e sinceri, perché chiunque ami i libri è anche portatore di un tifo sfrenato nei confronti delle letture destinate ai più giovani), consiglio anche (in francese: sono in partenza da Torino per Genova e non ho molto tempo, ma se qualche commentatore ha voglia di cimentarsi con la traduzione, la gratitudine sarà imperitura) questo intervento di un illustratore svizzero, Etienne Delessert, che non è affatto tenero nei confronti di quanto sta avvenendo.
In poche parole, è un invito a parlarne: perché occuparsi di letteratura per ragazzi non significa sciorinare un elenco di titoli, ma cercare di vedere e raccontare lo stato delle cose. Possiamo anche fingere che vada tutto benissimo, per carità: ma farlo serve a poco. Anzi, a pochi.
Ci vediamo a Genova.
Buon viaggio. Sto sulla porta anch’ io, ma voglio rimettere in fila le considerazioni che ci siamo fatti l’ altro giorno appena ho un attimo, e poi le metto su.
LA FIERA E IL NIENTE
Di
Etienne Delessert
Ecco la prima cronaca regolare di ETIENNE DELESSERT, con il titolo IMPERTINENZE
Ho guardato attentamente il catalogo della Fiera della letteratura per bambini di Bologna (Bologna children’s Book Fair) intitolato Illustratori annuali 2012.
Un bell’oggetto, con una splendida stampa e riproduzione di immagini, 184 pagine che lasciano un gusto amaro.
2685 illustratori avevano inviato ciascuno cinque disegni, che costituivano il loro dossier. E i cinque membri della giuria, venuti dal Giappone, dalla Francia, dall’Italia, dall’Inghilterra e dalla Polonia ne hanno scelti 72 per esporli e includerli in quest’opera. L’esposizione partirà per il Giappone.
Cosa resta di questa severa selezione? Niente, rien, nothing, nichts, nada, zip, potremmo declinarlo in tutte le lingue. Un po’ di polvere su un angolo del tavolo.
Mi trovate duro? È tempo che qualcuno di noi dica quel che pensa, a rischio di vedere i suoi libri bruciare in Piazza Maggiore.
Cerco le parole percorrendo le pagine del catalogo: vuoto, nullità, inanità, vacuità? Sopratutto: non-essere. E questo non è il risultato delle scelte della giuria, composta da personalità rispettabili del mondo dell’editoria internazionale.
Perché ciascuno rileva la difficoltà precipua di allineare cinque disegni che abbiano un sembiante di coerenza, che possano formare l’embrione di una storia!
“Twitter” permette di balbettare qualche parola, un idea forse, e di cambiare immediatamente. Gli illustratori scelti fanno lo stesso.
Partecipando allo stile della mondializzazione, che scarabocchia a malapena dei personaggi senza metterli in scena, vale a dire senza voler creare delle tensioni, degli accordi o delle rotture fra di loro, gli artisti non si preoccupano minimamente di essere interpretati dai giovani lettori – e dai loro genitori. Non c’è suono, né silenzio, se non dei rumori disordinati. Una lettura al primo livello, senza alcun mistero. Questo vuol dire che in un mondo di comunicazione istantanea, non si ha più il tempo di guardarsi attorno, di rimuginare, e di raccontare una storia personale, quella della propria tribù?
Io adoro l’Art Brut, il vero ( e tutto quello che non somiglia ai miei disegni!) ma quello che qui passa per dell’illustrazione di libri per bambini, immagini per degli album in preparazione, non è che la ripetizione senza frontiere di segni mal posti, senza alcun significato. Senza emozioni, poco leggibili, e, sopratutto, senza alcuna idea. Ecco allora delle immagini amabili, piacevolmente “out of focus”.
“Brain dead”, come si dice a casa mia. E perdonatemi se utilizzo l’inglese: è la sola lingua ufficiale della Fiera, il francese semplicemente non esiste più. In nessun colloquio, né al Café des Artistes.
E pretenzioso, per di più, poiché tutti i concorrenti sperano di essere pubblicati, e letti da questo giovane pubblico che cerca intorno a sé delle risposte alle questioni essenziali che si pone.
Presentate queste immagini disincarnate a dei bambini normali, gireranno le pagine, tanto per essere educati, e non ci torneranno sopra. Si domanderanno sopratutto chi sono questi adulti che sono furbi solo quando dirigono delle banche, e che, artisti, seguono una moda già tramontata.
Si può adottare questo stile, installare quell’altro, che importa se non si ha niente da dire?
Che solitudine, che disperazione sono ora imposte ai bambini.
E chi è il responsabile di questo disastro annunciato? La Crisi, dicono. Da trent’anni si trascura l’insegnamento delle arti nei primi anni di scuola, veramente.
Da quando vi dicono che un cavallo non può essere blu, né il cielo rosso, c’est foutu! (siamo fottuti, credo)
E le cose non si sistemeranno, nonostante gli sforzi del Google Art Project, la tendenza, nei paesi sviluppati, è di tagliare i fondi destinati all’educazione. Allora le arti…
I ricchi, loro, spendono delle fortune per ingrandire la loro collezione, chiave del loro potere sociale, consigliati da dei galleristi-conservatori-critici. Niente per i bambini.
Ant, sei un tesoro 🙂
Questa è solo la prima parte, spero di non aver fatto troppi errori.
Continuo dopo, se ho tempo.
(blush)
Giusto per aiutare Ant lascio il primo pezzo della seconda parte.
Le scuole d’arte sembrerebbero una tappa necessaria per coloro che vogliono imparare ad esprimersi attraverso le immagini, ed oggi parrebbe piuttosto facile convincere i propri genitori a pagare le rette per frequentare una scuola d’arte.
Ma nella maggior parte di queste scuole si insegna a pensare a dei progetti che ruotino intorno alla creazione di oggetti…: non ci si cura di insegnare come interpretare un personaggio o una situazioni.
Qui c’è un problema. Perché la storia dimostra che, se si illustrano ad esempio degli assassini come Attila o Napoleone, si impara a vivere meglio ed a riconoscere questi assassini o quelle situazioni che portano tutti noi a delle catastrofi.
No, questo è escluso dalle possibilità date dalle scuole odierne, nonostante che soltanto attraverso questo modo di fare arte si impari a capire anche la politica.
Così succede che alla rassegna bolognese si troverà una selezione di illustrazioni che sono delle espressioni senza una struttura d’insieme che stimoli un pensiero critico o un riferimento collettivo. Si troveranno delle illustrazioni che somigliano a delle lucciole destinate a esaurirsi ognuna nella propria solitudine.
Questo fatto è dato non soltanto dalle scuole d’arte, che sono costrette a insegnare quello che insegnano siccome il mercato glielo impone, ma pure dagli editori d’arte, che si sono conformati ai dettami del mercato. Essi non possono sfidare la corrente (il mercato) se sono oppressi dalle difficoltà economiche: devono adeguarsi…
Ora ci vorrebbe una terza persona che traducesse il resto dell’intervento che, Loredana, hai ragione: è piuttosto duro.
Soltanto un appunto. Nei commenti non c’è la possibilità di inserire il corsivo e di creare degli spazi tra due capoversi: quando i commenti vengono pubblicati appaiono in un blocco unico, senza pause, rendendo faticosa la lettura.
Si può aggiustare questa cosa?
Ps: alla quarta persona è assegnato il compito di tradurre le illustrazioni.
E grazie Davide! No, purtroppo al momento non c’è questa possibilità, ci sono parecchie cose da sistemare su questo blog e io non posso farlo direttamente, appoggiandomi ancora a Kataweb.
Grazie Davide, la mia traduzione è molto più letterale, purtroppo. Leggendo la tua, capisco decisamente meglio.
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seconda parte
LA FIERA E IL NIENTE
Di
Etienne Delessert
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Poi le Scuole d’Arte: per quelli che hanno voglia di esprimersi per immagini, è una tappa a quanto pare necessaria. È più facile ora convincere i propri genitori a pagare i corsi di una scuola di arte grafica e design. Ma, nella maggior parte di queste Scuole Superiori, non si disegna che en passant, e accademicamente, per potersi giustificare, e si va celermente verso il computer, si è incoraggiati a pensare a degli oggetti, utili o no: secondo alcuni il Disegno è la sola arte che nutre il suo uomo.
Ci si preoccupa malamente d’insegnare come interpretare un personaggio, come mettere in scena una situazione.
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Ma la storia prova che se ci ricordiamo degli assassini, tipo Attila o Napoleone, restano anche quelli che sanno osservare, informarsi, ridere e piangere, e raccontare delle storie. (Ai giorni nostri un politico che ha successo sa raccontare delle storie, sì.)
I risultati della selezione di Bologna mostrano che le sole storie che si vogliono far leggere ai bambini sono frammentate, vomitate in qualche parola. Senza seguito. Senza altra conseguenza che brillare 5 secondi, piccole lucciole spaventate..
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Le tendenze espresse alla Fiera sono sicuramente adottate dagli altri responsabili di questa sciagura: gli editori. Oppressi dai bilanci finanziari, ogni tre mesi, non hanno più voglia, per molti, di sfidare il torrente. Volete della carta colorata, e delle scenette della vita di tutti i giorni, le avrete: il mio cane si è fatto rubare la palla (A ball for Daisy di CHRIS RASCHKA), premio Caldecott 2012.
Non sono il solo a preoccuparmi: “Abissale!…” ruggisce SENDAK, quando lo interrogano in TV sullo stato delle cose nell’editoria del suo paese.
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E la direzione della fiera dovrebbe veramente essere preoccupata, mentre si appresta a celebrare i 50 anni della sua esistenza, l’anno prossimo. Si può andare e sperare di vendere delle coedizioni, sia, (ancora più alberi tagliati e Ipad inquinanti), ma c’è stato un tempo in cui i professionisti del mondo intero ci venivano, fieri di mostrare alcuni libri originali, che potevano anche essere tradotti, perché le loro storie erano forti, spesso bizzarre, esse erano il riflesso della nostra cultura. Ed essi erano felici di condividere le loro esperienze di vita per qualche giorno con degli altri editori.
Oggi non resta che la grana e la polvere.
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Conosco una direttrice creativa, che ha scorso, anche lei, questo famoso catalogo. Me l’ha ridato qualche minuto più tardi. Dato che cercava da settimane un illustratore per una raccolta di poesie, ha scelto Ayano Imai, dal Giappone, che ha scoperto in questo volume. Ho anche visto i disegni di due o tre Iraniani, piuttosto buoni, di Ali Su, Taiwan, un art naif graziosamente colorata, e ho rilevato che Eun-Young Cho, la giovane coreana della quale abbiamo presentato LA COURSE su Ricochet, non deve aver accettati che riproducessero quel disegno in copertina. Illeggibile. Dimenticato.
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FINE.
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Per le immagini, bisogna decisamente andare a vedersele dal link originale.
p.s.: qualcuno mi può dire come si danno i comandi per le faccine per kataweb?
Gli autori si conformano al mercato, le scuole pure e gli editori fanno lo stesso. Ma il mercato non è un’entità metafisica, data oltre e al di là delle nostre intenzioni, tant’è vero che di tanto in tanto spunta qualcuno che il mercato lo plasma. Steve Jobs, tanto per fare un esempio abusato. Purtroppo per noi, alle nostre latitudini il tizio si chiama Silvio.
@ Ant
La mia traduzione è decisamente frettolosa e domestica. La tua è professionale.
Ti faccio i complimenti e chiedo scusa a te, a Loredana e ai lettori che hanno letto la mia parte, che è troppo traditrice rispetto al testo originale.
Scusatemi.