Tag: editoria

Rito del mattino: caffé,  yogurt, libro da rileggere, rassegna stampa online. Bene. Sulla newsletter del Corriere della Sera, a proposito di Sanremo 2025, leggo:

“Quello che è certo, perché l’ha detto ufficialmente Conti, è che nelle canzoni «non si parlerà di guerra e immigrazione», ma di «famiglia e rapporti personali». Per carità, meglio non rischiare con temi difficili, meglio mantenere buoni rapporti con tutti, a partire dal governo, meglio restare nazionalpopolari e mettere da parte l’impegno”.

Ti pareva, penso. 
Poi però mi chiedo: di cosa parla la maggior parte dei romanzi italiani usciti o in uscita? Famiglia e rapporti personali. 

Per una serie di circostanze, in questi giorni malaticci ho pensato parecchio al sistema editoriale e a cosa si chiede a chi scrive. Intanto, come è ovvio, si chiede di vendere, e di vendere possibilmente subito, nel giro di due settimane. Qualora non ci si riesca, come ben sanno coloro che scrivono, non solo il libro torna in resa, ma il numero di copie vendute peserà sui libri successivi come il cuore dell’ingiusto nella psicostasia egizia, e le prenotazioni verranno ridotte ai minimi, innescando una spirale di condanna silenziosa da parte di (alcune) librerie e di (alcuni) editori. Come se fossero gli autori a dover vendere e non gli editori e i librai a contribuire alla vendita, visto che in fondo gli autori dovrebbero solo scrivere, ma facciamo finta che sia così.
La logica è comprensibile, trattandosi di un mercato: che sia anche una logica pagante è tutto da vedere, però. Anche perché per bilanciare quell’esiguità di vendite si chiederà dunque all’autore o all’autrice di spendersi in presentazioni, di essere presente il più possibile con il suo corpo e la sua eventualità abilità di performer. Che però dovrebbe essere un altro lavoro: l’intrattenitore o intrattenitrice, appunto, e non lo scrittore o la scrittrice.
Cosa voglio dire, infine? Niente che chi scrive non sappia già. Ovviamente resta la libertà di sottrarsi, di dire no, di fare spallucce e di continuare a scrivere quello che si ritiene giusto. Mi chiedo soltanto per quanto tempo questo sistema potrà sopravvivere e quanto, alla fine, dei corpi degli autori e delle autrici si farà a meno: perché lo spettacolo va bene, ma troppo spettacolo finisce con l’allontanare. Poi, al solito, io resto convinta che siano le reti a funzionare, che siano le connessioni fra piccole realtà, dove i numeri di copie vendute e la performance contano molto meno dei progetti comuni. Ma magari ho torto, anzi di sicuro.

Infine, sono tornata, con alle spalle un mese e mezzo fitto di incontri e di scrittura, e come a ogni ritorno trovo sul tavolino la pila di libri di settembre. Come ogni anno, mi chiedo come andrà. Come ogni anno, penso a quante cose belle abbiamo a disposizione, e faccio voti perché trovino la loro strada. Cosa non semplice. Perché da troppo tempo si ripete la lamentazione comune dei troppi titoli. E’ un problema, e non piccolo, e neppure nuovo: ma si sta aggravando. Come può il lettore professionista assolvere al suo compito nell’oceano di titoli che si trova davanti?
Dunque forse bisognerebbe tirare il fiato, ricordare che la vita di un libro è imprevedibile, come molti sanno, e scrivere con l’anima in pace. Bisognerebbe anche che la critica avesse più spazi per esprimersi e per fare il suo lavoro, che, ripeto, non è quello di far vendere, ma quello di analizzare. Bisognerebbe, infine, placare le aspettative generali. Perché se si continua così, gli scrittori a inseguire il libro che vende tantissimo, gli editori a dover vendere tantissimo quel libro, i librai a dover basare le prenotazioni su quel che si è venduto, mentre noi tutti, lettori e scrittori, continuiamo ad annaspare tra novantamila titoli l’anno, si implode, semplicemente. E anche in tempi brevi.
Detto questo, voglio comunque fare gli auguri di buon vento ad alcuni libri fra i molti che mi aspettavano a casa: Nei nervi e nel cuore di Rosella Postorino, Ogni cosa è per Giulia di Lucia Tancredi, Il gelso di Gerusalemme di Paola Caridi, Le mie cose preferite di Susanna Tartaro. E le bozze dell’imminente Il male che non c’è di Giulia Caminito.
Tutte amiche tue, bofonchieranno i soliti. Tutte scrittrici che conosco e amo, rispondo: come al solito, si è amici di qualcuno perché lo stima, e non si stima qualcuno perché è tuo amico. Ma che lo scrivo a fare?
Ben ritrovato, commentarium.

Tra le pile di libri su vari tavoli, che somigliano ormai a plastici del Grand Canyon, ci sono quelli che aspettavo e volevo leggere (e voglio leggere) ma non sono ancora riuscita ad aprire. In ordine sparso, Alma di Federica Manzon, Marabbecca di Viola Di Grado, Storia dei miei soldi di Melissa Panarello, Chi dice e chi tace di Chiara Valerio, La reputazione di Ilaria Gaspari, Missitalia di Claudia Durastanti, Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini, Dove la luce di Carmen Pellegrino, O Caledonia di Elspeth Barker eccetera eccetera, e chiedo venia a chi non ho nominato perché non è un’esclusione o una diminuzione, ma una dichiarazione di impotenza.
Quel gioco di equilibri che permetteva di pubblicare Naipaul e Uccelli di rovo è andato all’aria, perché escono IN NUMERO MAGGIORE ottimi libri, ma escono tutti insieme, rischiando di annullarsi a vicenda.
E’ un problema enorme.
In più, mentre scrivevo questo post, ha suonato il corriere portandomi Il famiglio della strega di Francesca Matteoni. Sono nei guai. Anzi, siamo, tutte e tutti, scrittrici e scrittori, in grossi guai.

Torna in alto