“Le grandezze immaginarie sono dovere e volere”. E’ “Risveglio di primavera” di Franz Wedekind. Molti anni fa, nel 1984, ho assisto al saggio finale degli studenti dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico (c’erano, in quel saggio, Luca Zingaretti e Massimo Popolizio, fra gli altri). La regia era di Lorenzo Salveti.
Della bellezza e ferocia degli scritti di Wedekind ognun sa. Meno nota, credo, è la sua attività satirica. Con Albert Langen fondò nel 1896 la rivista Simplicissimus. Fra i testi che vi pubblicò, uno, contro l’imperatore Guglielmo II, gli costò sette mesi di carcere per lesa maestà, nel 1899. Cadde in miseria. Fra il 1900 e il 1904 Wedekind si esibì come chansonnier nel cabaret tedesco. Dall’inizio della prima guerra mondiale, la avversò in tutti i modi, fino alla morte, avvenuta in quello stesso 1918. Pietro Gobetti, lo chiamò «odiatore fierissimo di tutte le convenzionalità, condottiero audace di ogni lotta per la franchezza». Pagata cara.