Da ieri mattina provo (quasi invano) a sostenere l’insensatezza dell’ondata di sghignazzo (tutt’altro che intelligente, come lo intendeva Dario Fo) seguito al discorso programmatico del ministro della Cultura Giuli.
Quello che non mi riesce di far capire è che non solo non difendo Giuli, ma che me ne infischio di Giuli, almeno finché non farà qualcosa. Sarebbe il caso, per chi lavora con i libri o nel mondo culturale, di presidiare il territorio, di intervenire sul punto, visto che di punti, dall’intervento sull’editoria o, come scriveva Nicola Lagioia, alle politiche inesistenti del governo sul mondo del libro, ce ne sarebbero parecchi.
Quello di cui non mi infischio è che un discorso non particolarmente oscuro o difficile viene salutato come il manoscritto Voynich, che come è noto è quanto di più enigmatico esista al mondo.
Ben quattordici anni fa Tullio De Mauro ci disse che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta. Trentatre non riescono a leggere un testo scritto che “riguardi fatti collettivi”. Un quotidiano, per esempio. Solo il 20 per cento degli italiani, secondo De Mauro (che a sua volta si riferisce a studi internazionali) possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.
Quattordici anni dopo, ho la sensazione che le cose siano enormemente peggiorate.