Perché quando si comincia è difficile smettere, e per fortuna. Continuano ad arrivare mail e messaggi, e testimonianze dal mondo delle librerie. E io mi chiedo quando è successo che ci siamo distratti, e distratte, e perché.
Qui la persona che mi scrive ha lavorato in una libreria di catena che non è Feltrinelli, e racconta che sono almeno dieci anni che il lavoro è cambiato, e che la considerazione stessa in cui si tengono i libri è profondamente mutata.
Buona lettura.
“Quando ho varcato per la prima volta la soglia di una libreria come dipendente, la rotazione dei libri sugli scaffali era di sei mesi. C’era il tempo di far scoprire un titolo, di consigliarlo, di lasciarlo respirare sugli scaffali e trovare il suo pubblico. C’era un’idea di permanenza, di cura.
Quando ho lasciato quel mondo, la rotazione era ridotta a un mese e mezzo, due mesi al massimo. Il mio ruolo si era trasformato da libraiə a facchinə, ma senza la dignità salariale di un vero facchino.”
“Non sorprende, oggi, quello che sta succedendo in Feltrinelli. In altre catene era già cominciato da anni: nel 2015-2016, molte figure esperte e appassionate sono state sostituite da supermanager provenienti da settori che nulla avevano a che fare con il libro. Il loro unico obiettivo era il taglio dei costi, la riduzione del personale qualificato, lo smantellamento delle reti di agenti e di supporto alle librerie. Tutto ciò che era ritenuto “superfluo” è stato spazzato via con un colpo di spugna, mantenendo una direzione precisa. In compenso, venivano organizzati in tutta fretta corsi di aggiornamento per i librai, affinché imparassero a vendere di più, e soprattutto, a vendere tutto, senza distinzioni.”
“Ma la domanda che oggi dovremmo porci è: cosa resta della libreria se viene meno il libraio? Cosa resta del libro se è trattato come una merce qualsiasi, soggetta a scadenze, trend imposti e obsolescenza programmata?”
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Il punto di partenza è la storia della popolazione Haida, le cui poesie sono arrivate fino a noi grazie a un traduttore, a un antropologo e al racconto che ne fa Margaret Atwood.
La storia è bella, e probabilmente in molti penseranno che non ci riguarda, convinti come siamo che quel che scriviamo, e leggiamo, resterà per sempre dopo di noi.
No, se qualcuno non interviene a preservarlo, come ha fatto l’antropologo.
Ma rimaniamo all’oggi, e a un tempo molto più breve dei cento anni intercorsi dal racconto orale dei poeti Haida alla pubblicazione della raccolta: mi capita di pensare alle sacrosante rivendicazioni di chi scrive per quel che riguarda il proprio lavoro, e dunque di essere liberi di esprimersi, ma anche di essere pagati per i propri interventi e presentazioni in festival e occasioni pubbliche, come scrisse tempo fa Vincenzo Latronico.
Tutto questo è appunto sacrosanto, e certamente ci vorrebbe un organismo che, come la Authors Guild americana, tuteli scrittrici e scrittori.
Ma, ecco il punto, non solo loro: perché la tutela dovrebbe diventare una rete che riguarda tutte le figure editoriali, i redattori, i traduttori, gli uffici stampa e, sì, i librai, ancora una volta.
Perché è vero che la materia prima viene fornita da chi scrive, ma senza tutto il resto svanisce come le parole degli Haida.
Ho amato la musica e ho anche lavorato nella musica, in anni lontani. L’ho amata tutta, da Francesco Geminiani ai Ramones (e anche più indietro e più avanti). Eppure adesso ho un problema serio con la musica. Non riesco più…