Per uno di quei casi che non sono casi, ma che è giusto chiamare sincronicità, escono due articoli quasi contemporaneamente. Il primo è di Simonetta Sciandivasci su Specchio de La Stampa, e si intitola Diventiamo un villaggio capace e degno di crescere i figli di tutti. Il secondo è di Motoko Rich sul New York Times e si intitola I governi possono convincere le persone ad avere più figli? Entrambi dicono una cosa importante: gli incentivi non bastano. Non bastano gli asili nido e i congedi parentali e tutto quello che ancora non c’è e potrebbe esserci: ci vuole qualcos’altro, e quel qualcos’altro è nel nostro atteggiamento.
Sciandivasci scrive una cosa verissima, anche se fa male: il villaggio è ostile alle bambine e ai bambini (lei, giustamente, usa il femminile sovraesteso: io, che non voglio rotture di scatole nei commenti che parlano di questo invece che del contenuto, faccio l’ecumenica, per ora).
E’ vero. Rintanati nel mondo piccolo dove ci sentiamo onnipotenti, bravissimi, intelligentissimi e certamente poco compresi nel nostro fulgore, detestiamo persino le piccole persone, vedi mai ci rubassero aria e, crescendo, ottenessero più riconoscimenti di noi. O dei nostri figli e figlie, che spesso viviamo come nostra proiezione, come coloro che si faranno strada dove noi non siamo riusciti.
Insomma, in ballo c’è non solo il modo in cui vediamo il futuro, ma il modo in cui ci vediamo oggi. E se non riusciamo a vederci plurali, sarà un guaio: e dire che il mondo senza umanità starà meglio, perdonate, è una scusa.