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STORIE DI PIU’ LIBRI

Da quindici anni a questa parte, la fiera della piccola e media editoria è stata un appuntamento fisso del mio dicembre: fisso e convulso, perché condurre la diretta di Fahrenheit significava arrivare prima al Palazzo dei Congressi e poi alla Nuvola alle dieci di mattina, carica di libri e appunti, e di insalate fatte in casa nel contenitore per evitare la coda al bar, ché non c’era tempo, e  passare le ore prima della diretta chiusa nella stanzetta della redazione, dove arrivava sempre qualcuno non della redazione a posare cappotto e borsa (con relativo crollo dell’attaccapanni) o qualcun altro a chiedere di presentare il proprio libro, ma anche qualcun altro ancora a portare generi di conforto (le sfogliatelle restano indimenticabili). 
Questa volta sarà diverso, per molti motivi.
Il più ovvio è che sarò presente come ospite o presentatrice, e non come conduttrice, ma questo va bene, perché i cicli devono essere chiusi per essere sani, e prometto solennemente alla redazione di Fahrenheit che andrò a posare il mio cappotto da qualche altra parte, per non affaticare l’attaccapanni.
Il più evidente è che a Più Libri ci si arriva con la sofferenza di quanto è avvenuto, e che comunque inciderà molto sul rapporto con tutto il mondo intellettuale, e non solo con chi ha preso la decisione, da cui moltissime si sentono tradite. L’auspicio è che la rabbia venga capita e soprattutto accolta e che si riparta, senza per forza ricucire, ma con la coscienza piena di quanto è avvenuto.
Detto questo, a Più Libri ci sarò, per onorare gli impegni presi con diverse persone, e per prendere spunto per discutere di quanto è avvenuto, come avverrà, tra l’altro, insieme a Mariano Tomatis.
Detto ancora questo, nel post c’è il calendario dei miei incontri per chi volesse.

Qualcosa sta cambiando. Nella finale del libro dell’anno di Fahrenheit c’erano diversi libri “di confine”, ovvero che hanno scelto di non seguire la via del realismo stretto addentrandosi in quelli che abbiamo chiamato “mondi sottili”, e che tecnicamente avrebbe il nome di perturbante.
Qualcosa potrebbe cambiare. Il fatto che Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi sia il libro dell’anno di Fahrenheit e abbia vinto il Premio Mastercard ha qualcosa da dirci sull’editoria.
Qualcosa in cui sperare. Lo insegna Astrid Hoem, sopravvissuta a Utøya, con cui ho dialogato venerdì scorso.

APPUNTI

Le prime due giornate di Più libri più liberi, da dove Fahrenheit trasmette  in diretta fino a martedì, sono state le tipiche giornate da Fiera: incontri, discorsi, riconoscimenti (mancati: almeno quattro persone mi hanno rimproverata per lo sguardo vacuo, ma…

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