Sette Saloni dopo, domani torno al Salone del libro di Torino. Ci torno con uno stato d’animo strano: perché è il primo Salone da ospite e l’ultimo da conduttrice di Fahrenheit, ma ci torno comunque con la gioia che mi ha accompagnato in questi sette anni e con cui ho attraversato un’esperienza non dimenticabile.
Oggi c’è un nuovo gruppo di lavoro, di cui fanno ancora parte vecchi compagni di strada, a cui vanno gli auguri miei e, spero, di tutti. Sul Corriere della Sera Paolo Di Stefano ricorda stamattina una frase di Ernesto Ferrero: “Questa voglia di essere presenti ai grandi eventi culturali rivela una passione politica non soddisfatta da nessuno. È come un’offerta di disponibilità, un’esigenza di impegno che non trova ascolto altrove”.
Non so se sia ancora così. Sicuramente c’è voglia di stare insieme al di là dell’occasione, al di là del “vado e saluto tutti” e del “vado a presentare il mio libro”. Di questo occorre tener conto. Per il resto, ci vediamo a Torino.
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Immagino che chi legge abbia seguito, nelle ultime settimane, le vicende che riguardano il Salone del Libro di Torino. Le ho seguite anche io, molto da vicino, dal momento che sono coinvolta in due modi. Come consulente editoriale del Salone stesso dal 2017, e dunque impegnata a maggio nell’ultima edizione che sarà diretta da Nicola Lagioia. E come candidata alla direzione successiva, già proposta nel novembre 2021 dal gruppo dei consulenti editoriali: dunque, sì, a tempo debito, ho inviato anche io candidatura e curriculum.
La ricostruzione qui sopra si deve alla chiarezza e alla trasparenza del mio rapporto con chi mi legge qui e altrove e che della vicenda Salone ha seguito solo l’aspetto più clamoroso.
Dunque, le cose più importanti sono, per me, due: la prima è lavorare, insieme al gruppo editoriale, alla miglior riuscita possibile dell’edizione 2023. La seconda, parlare dell’elefante nella stanza, fin qui fuori dalla discussione, mentre dovrebbe esserne il punto centrale. Il lavoro culturale.