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La lettura dei giornali di stamattina mi ha fatto soffermare su questo articolo di Dionne Searcey per il New York Times. Dove si prova a rispondere alla domanda che tutte e tutti ci siamo fatti: perché le donne hanno votato Trump? Non tutte, ovviamente, ma neanche poche. I sondaggi all’uscita dalle urne mostrano che il 45 % delle elettrici ha votato per  Trump, e molte più donne bianche hanno votato per Trump rispetto alle donne nere.
E veniamo alle votanti. E soprattutto a chi le incitate al voto.
Intanto, il gruppo di Moms for Liberty, organizzazione che fa di ProVita&Famiglia un covo di anarco-insurrezionalisti, al confronto (si scherza, buoni): nascono per contrastare la sessualità, i diritti LGBTI, ovviamente il fantomatico gender e quant’altro. Le mamme per la libertà sono associate ai Proud Boys, organizzazione neofascista di estremissima destra. Ma il loro mantra è “proteggiamo i bambini”. Funziona. Al New York Times, la cofondatrice Tiffany Justice dice che l’elezione di Trump rappresenta “la liberazione delle donne dai giorni bui del cosiddetto femminismo”.
Pensavamo che fosse cosa di ieri, e che Schlafly fosse ormai un nome da museo, o da bar delle Zie in Testamenti di Margaret Atwood. Invece no. 
Quello che è accaduto, dice Searcey, è che la popolarità del femminismo, e il femminismo pop del film Barbie, di Beyoncé e di Taylor Swift non si sono tradotti in cultura politica. E questo è un gigantesco problema.
E soprattutto, “molti storici dei movimenti per l’uguaglianza delle donne nel corso dei decenni affermano che i risultati ottenuti spesso non hanno beneficiato tutte le donne; piuttosto, hanno aiutato le donne privilegiate ad assicurarsi maggiori opportunità nella società. La lotta per l’uguaglianza legale ha permesso alle donne con i mezzi necessari di pagarsi l’università e trovare lavori con buoni stipendi, per esempio. Questo è uno dei motivi per cui le donne non sono state unite”.

Certo che conta la resistenza a votare per una donna (a meno che non sia “materna” come si è proposta da noi Giorgia Meloni). Certo che conta la paura e tutto quel che si sta dicendo.
Conta anche qualcos’altro: ovvero, combattere Sauron usando l’anello (e due).
Me lo ha ricordato ieri un caro amico, inviandomi questo reportage di Gary Younge di otto anni fa, quando Trump venne eletto per la prima volta: reportage usato da Mark Fisher nelle sue ultime lezioni. E che dovrebbe farci capire che abbiamo bisogno di reinventare (una politica diversa da questa) e reincantare (altre parole, altre narrazioni). E agire, ovvio.
“La gente ha maturato la convinzione di non avere voce in capitolo su ciò che sta accadendo alle loro vite. Ecco perché lo slogan “Take Back Control” ha avuto tanto successo durante il referendum sulla Brexit. Lo Stato nazionale è ancora la principale entità democratica, ma data la portata della globalizzazione non è più all’altezza del compito di soddisfare le esigenze dei suoi cittadini. Gli elettori vedono persone che attraversano confini che non possono chiudere, vedono perdere posti di lavoro che non difendere e si chiedono come possono farsi valere nel mondo.
Trump e i suoi omologhi sono spesso descritti in Europa come una minaccia alla democrazia. Ma in verità sarebbe meglio vederli come il prodotto di una democrazia già in crisi.”

“In fin dei conti il drago è un predatore di ricchezze altrui, orrendo straniero nelle parole del poema, e inoltre sappiamo bene che i legittimi custodi dei tesori medesimi possono a loro volta diventare draghi comunque, come ci insegna la parabola di Thorin Scudo di Quercia”.

Così Edoardo Rialti nel suo discorso di accettazione del Drago d’oro per la traduzione a Dozza, poche settimane fa. Mi rivolgo alle parole delle storie perché non ne ho altre, e troppe ne verranno dette e scritte in queste ore. Non sono un’americanista, non ho le giuste competenze, e dire la mia conta come uno starnuto in una tempesta.
Però qualche sensazione posso condividerla.
Davvero chi ha votato Trump, come chi ha votato Meloni in Italia, pensa di ottenere una vita migliore alzando muri contro l’immigrazione e illudendosi di pagare meno tasse e avendo certezza di maneggiare più armi?
Perché a me continua a sembrare questo il punto: che cosa vogliono i votanti di destra per le proprie vite?
Ripesco un vecchio intervento di Girolamo De Michele (era il 2007):
” la paura non è più la risposta politica alla domanda di sicurezza, ma la situazione entro la quale viene contrattato un nuovo scambio sociale”.
E poi bisognerebbe ripescare Nina Power quando diceva che dovremmo smettere di desiderare “un’esca democratica”, la donna-emblema nei luoghi di potere, ma agire sul piano della rappresentazione prima ancora che della rappresentanza. Rovesciare il tavolo, come diceva Ursula Le Guin, invece di twittare gioiose perché, guarda, al potere c’è una donna (poi ci sarebbe la faccenda dei poteri buoni che non esistono, come cantava Fabrizio De Andrè: ma arriviamoci per gradi). (se ci arriviamo).

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