Certo che le parole sono importanti: ma non sempre nel senso in cui si intende questa frase.
Prendiamo quelle di Tom Joad in Furore di John Steinbeck. Un romanzo. Che tanto ha fatto e tanto fa esattamente nel costruire un immaginario di rivolta. Con le parole si costruisce un controimmaginario rispetto a quello dominante. Non lo dico io, lo diceva Valerio Evangelisti, quando scriveva che con le storie ci si riappropriava delle parole che ci vengono tolte.
Fin qui, suppongo, tutte e tutti d’accordo.
Ma c’è un’occasione in cui le parole diventano feticcio: ed è quando una frase considerata scorretta, magari perché inserisce il temutissimo schwa o, in caso di discorso orale, eccede in avverbi (“assolutamente”) o prende tempo per collegare le parti del discorso (“in qualche modo”, “come dire”), oscura il contenuto.
E’ capitato stamattina, sotto un post con le immagini della polizia che blinda il Teatro India, come aveva già fatto con il Teatro Argentina. Invece di preoccuparsi per quel che avviene, una signora ha strillato che all’assassinio dell’italiano.
Desolante.
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Nicolas Eymerich è una metafora impeccabile dei meccanismi del potere. Ma il potere mortale che rappresenta non è innocuo in quanto lontano nei secoli: pur accuratissimi nella ricostruzione storica, i romanzi di cui è protagonista mettono a confronto il crudele domenicano con avvenimenti misteriosi che quasi sempre aprono una o più dimensioni temporali parallele. Il che, di fatto, permette al lettore di capire che si sta parlando del presente. Se è fantascienza, è una fantascienza che conferisce al passato e al futuro ipotetico la stessa caratteristica di mondo alieno in grado di rispecchiare le inquietudini del nostro presente. E con un intento preciso: perché Evangelisti ha sempre sostenuto che la narrativa fantastica “con la sua natura di sogno consapevole, da cui si entra e si esce a volontà, costituisca un buon addestramento a evadere dai sogni imposti ed eterodiretti”.
Un anno fa è morto Valerio Evangelisti. Oggi ne parleremo a Fahrenheit. In realtà non si è mai smesso di parlarne, e grazie al cielo di leggerlo. La speranza è che sia così ancora e ancora e ancora. Un anno fa scrivevo questo, per La Stampa. Lo ripropongo, e lo riproporrò ancora e ancora e ancora.
Mentre scrivo, mi accorgo che qualcosa è cambiato in me: nel senso che se oscurità e paura rimangono, alla fine mi ritrovo a dare una possibilità ai miei personaggi. Almeno, è quel che avviene nei due racconti che ho scritto e in quello che sto scrivendo. Mi chiedo da dove venga questa speranza, in tempi nerissimi. Hope, come dice Sandman a Lucifero nell’ultima sfida del loro duello. Hope, anche all’inferno.
Non ho risposte. O forse è l’unica risposta possibile a un tempo avvelenato, dove quel che amavamo fare accelera e si confonde in una sola corsa continua, che non lascia la possibilità non dico di goderne, ma di pensare.
E’ una strana bibliografia disarmata, quella di oggi, ma spero sia utile. Nasce da un incontro di ieri pomeriggio, quando con Luca Cangianti, Alberto Sebastiani, Mazzino Montinari, e altri ci siamo ritrovati a parlare di Valerio Evangelisti. Dello scrittore e dell’uomo, naturalmente, e dell’attivista, ancor più naturalmente. Fra le varie cose dette, una è a parer mio centrale: Valerio Evangelisti ha provato in tutta la sua opera a ribaltare l’immaginario.
Bene, tutto questo avveniva da Scup, alla stazione Tuscolana. Cos’è Scup? Un luogo dove ci si incontra, dove si fa teatro, si ascolta, si fa persino fisioterapia, si fa musica, si fa sport, eccetera. Cultura popolare, in poche parole. E cosa sta per avvenire di Scup?
Verrà sgomberato a ottobre. Perché? Perché sta arrivando un progetto di, uhm, “rigenerazione urbana”. Per ribaltare quell’immaginario, appunto, la bibliografia di oggi vi invita a frequentare Scup, a informarvi e a sostenerli.
“Abituati al ghetto, esistono scrittori che lo scambiano per il mondo intero. Finiscono per adattarvisi e per ritenere ostile, in nome del loro comfort, tutto l’universo “esterno”, che li ignora. Li comprendo, li stimo, ma ho fatto una scelta diversa dalla loro.”
Un’intervista del 2009 a Valerio Evangelisti. Che non era il re del fantasy
Valerio Evangelisti, presentando l’ antologia di AA.VV. The Clash – Lo scontro. Storie di lotte e di conflitti, Lorusso editore: L’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali. Quando lo fa, è nel quadro dell’“accettabile”,…
Valerio Evangelisti recensisce “Seven” su Carmilla e fa una premessa. La premessa mi sembra molto interessante e la riposto. Esiste una solida narrativa italiana “di genere” che, senza essere in alcun modo egemonica nel mercato librario, come alcuni hanno preteso…
Il muro contro muro di qualche post fa (sì, ancora i monnezzoni) comporta dei rischi. Cerco di spiegarmi: nessuno, in ambito mainstream, si sognerebbe di difendere il “romanzo” a prescindere (e lasciamo perdere, per ora, le cicliche discussioni sulla fine…
Ammetto di nutrire non poche perplessità su quanto dichiara oggi Raul Montanari a Maurizio Bono. In sintesi, a fronte di una crescita dei libri pubblicati e venduti (riferisce Bono: “un noir italiano vende in media 10 mila copie, il triplo…
Notizie sparse. Valerio Evangelisti firma l’introduzione di Storia dei Vampiri di Matthew Beresford, Odoya editore, e scomoda Marx e il paganesimo. Quanto meno, un modo per orientarsi nella incessante invasione editoriale del momento: che, attenzione, conosce alcune varianti. Intanto, i…