Ieri sera ho visto la quinta stagione di The Expanse. Come credo di aver detto altre volte, è una delle serie più interessanti (e avvincenti) degli ultimi anni: non solo perché ha reinventato e rinnovato la space opera, ma perché ha tessuto contemporaneamente tanti e tali rimandi letterari (lo scienziato che si chiama Cortàzar è solo un esempio minimo) e al mondo reale da restare ammirati (per non parlare della creazione di una lingua, il Cinturiano, che è sapienza pura). The Expanse viene da una saga letteraria, ma non è neanche quello il punto. Guardando la prima stagione, mi sono chiesta all’inizio come mai l’episodio iniziale si chiamasse Dulcinea, visto che eravamo in piena galassia. Quando, più avanti, una nave spaziale viene ribattezzata Rocinante (“Così pensando, diresse verso il suo villaggio Ronzinante il quale, quasi sentisse il fiuto della sua stalla, cominciò a trottare di tanto buona voglia che pareva non toccasse la terra coi piedi”), ho pensato “eh no, non è una coincidenza”. Quando mi sono imbattuta nell’episodio che si chiama “Mulini a vento”, mi sono detta, “d’accordo, state riscrivendo Don Chisciotte, che la dea vi benedica, ora mi spiego tante cose”.
Ora, guardando il finale della penultima stagione, quel che salta agli occhi è una faccenda banalissima ma indispensabile, e non solo per narratori e per lettori: la fallibilità dei personaggi. Ognuno di loro compie errori, spesso fatali, spesso, per hybris, destinati a causare catastrofi. Ma li amiamo proprio per questo. Invece, quel che spesso si perde è esattamente la capacità di chiaroscuro: nella letteratura, e nel mondo reale. Mi chiedo, ogni tanto, perché.
“Ma gli elfi non sono completamente buoni o nel giusto. Non tanto perché hanno flirtato con Sauron; quanto perché con o senza il suo aiuto erano degli ‘imbalsamatori’. Volevano la botte piena e la moglie ubriaca: vivere nella Terra di Mezzo, nella storia e fra i mortali, perché ormai ci si erano affezionati (e forse lì avevano tutti i vantaggi di essere una casta superiore), e così tentare di fermare i cambiamenti e la storia, fermare la sua crescita, considerarla un luogo di delizie, anche se in gran parte deserta, dove loro potevano essere gli ‘artisti’ – e contemporaneamente essere pieni di tristezza e di rimpianto nostalgico. A modo loro gli uomini di Gondor erano uguali: un popolo in estinzione per il quale l’unica cosa sacra erano le tombe. Ma in ogni caso questa è anche la storia di una guerra: stabilito questo, non serve a niente lamentarsi che la gente schierata da una parte è contro quella schierata dall’altra. Non che abbia reso tutto semplice: ci sono Saruman, e Denethor, e Boromir; e ci son tradimenti e discordie persino in mezzo agli orchi”.
(J.R.R. Tolkien, Lettera 154, 25 settembre 1954)