TRE

Prima nota.
Gli “amici di Drive in” mandano via mail un lungo comunicato dove ricordano fra l’altro, unitamente a molti pareri favorevoli forniti all’epoca da Maurizio Cucchi, Omar Calabrese eccetera:

“Contro il Drive in si è mossa da mesi una vera e propria macchina del fango. Chi in mala fede, chi acriticamente, chi semplicemente non ricordando, confonde o accomuna il programma culto degli anni ’80 con “Colpo Grosso”. Drive in, trasmissione libera e libertaria, una parodia dell’Italia degli esagerati anni ’80, della Milano da bere, del riflusso, dell’edonismo reaganiano, era un programma comico e satirico. Le ragazze “fast food” erano iperboli: figure retoriche viventi, caricature al pari del paninaro, del bocconiano, del dott. Vermilione, della top model, della professoressa, della moglie dell’onorevole Coccovace”.

Seconda nota.
C’è una recensione da non perdere, con annessa discussione, su Il libro dei bambini di Antonia Byatt, fatta da Wu Ming 4.

Terza nota.
Che in realtà è una considerazione. Nessuno si è accorto che il 6 aprile, giorno in cui è stata fissata l’udienza per il premier, è anche il secondo anniversario del terremoto a L’Aquila?

155 pensieri su “TRE

  1. @Wu Ming 4
    Ti capisco perfettamente. E ti do anche ragione (e Boogie Nights e’ un film fantastico). Vado oltre: condivido totalmente la noia per Striscia e per i programmi di Ricci in generale, che ormai sono una stanca ripetizione di Drive in. Quando mi capita di essere in Italia e d’incrociarli li guardo affascinato, stupito di come non ci sia stata nessuna evoluzione (e mi pare anche triste che il genio che ci ha dato drive in si sia ridotto a fare ancora quella roba li’)
    Ma resto molto fermo nella mia difesa totale di Drive in. Certo che c’erano le tette grosse in bella mostra. Ma in molti lo si guardava per i comici. Era una sorta di Zelig ante litteram, con in piu’ le donnine nude. Uno degli autori era Max Greggio, che per ogni toscano cresciuto a pane, bestemmie e Vernacoliere era IL maestro della comicita’ irriverente.
    E ovviamente si’, probabilmente il mio immaginario erotico e’ stato in parte plasmato da Drive in, come il tuo. E personalmente non ci vedo niente di male, ma qui son gusti (dai, ora mi aspetto che qualche genio mi dica che anch’io in realta’ voglio otto Minetti e due Ruby a casa)
    E anche l’analisi che fai di Arbore mi pare giusta (il metterci la faccia). Ma ancora non spiega per quale motivo il corpo delle ragazze del cacao meravigliao non sollevi lo stesso ardore di lotta femminista delle donne del drive in. Questa differenza io me la spiego col voler ricondurre tutto a B: era B. responsabile? allora Drive in boia. B. non era responsabile? Allora lascia stare, dai, alla fine erano tette bonarie e ironiche. Magari sbaglio, magari no. (E non dico sia questo il tuo atteggiamento, anzi). Esisteranno altre teorie, senza dubbio. Boh.
    Mi piaceva Drive in. Trovo che B. sia un porco. Le due cose sono PERFETTAMENTE compatibili.

  2. Tuscan intanto.
    1. Frequenti questo blog mi pare da un bel po’ per sapere che per Lipperini, le consoce di Lipperini i commentatori e le commentatrici della Lipperini il problema NON SONO LE DONNE NUDE. Siccome lo diciamo a ogni post non so come interpretare il fatto che tu ribatta che per me o altri il problema sia questo. Dove lo senti? Cita una fonte in questo dibattito che dica che è ostile al sesso. E’ stato detto – anche da Wuming1, 4, 15, 32, Paolo 1984, 1991, 1993, Lipperini Cosenza Sora Giovanna e via, io, Valeria, Fata, Strega, La Sora Lella …. che il problema è il fatto che nella televisione italiana gli uomini sono rappresentati in tutte le declinazioni identitarie – e anche presi per il culo in tutte le declinazioni identitarie. Le donne no. Il problema di trasmissioni come il drive In etc era che le donne erano solo nude e coglione. E l’unica ironia era sulla donna nuda e cogliona. Maschi poliziotti, maschi preti, maschi ventriloqui, maschi presentatori, maschi bruce sprengsteen e per il resto zoccolette. Questo vuol dire che per Ricci i maschi sono soggetti di scena e spettatori dello spettacolo, mentre le donne sono solo comodi complementi di argomento. E infatti a parità di generazione e ha parità di cultura e diciamo sviluppo futuro – uomini come Wuming 4 e te vi divertivate con entrambi gli spettacoli, le donne della vostra stessa generazione e che nel futuro avrebbero condiviso tante cose come: B è un porco – come io Fata e Marzipan si divertivano solo con Arbore. E le tette si diceva – c’erano. Come mai? Ce l’avemo co Ricci? Non capivamo delle cose? O semplicemente ci sentivamo un po’ offese? Era una cosa così plateale che davvero se eri ragazza ci facevi caso. Certo a meno che non sei come quella maestra ex ragazza del Drive In che a Lerner in perfetto candore ha detto: Ricci “era carinissimo con noi!” “ma vi considerava come oggetti'” e quella disarmantemente candida “noooo! come un buon piatto di pastasciutta”.
    2. Ora Tuscan io penso che quando tu dici che B è un porco penso che tu lo dici in assoluta buona fede e in onestà. E non credo affatto che tu sia una persona sessista, lo dico perchè so che può sembrare ci sia questa opinione implicita. Sei qui e so come sei qui di solito. E non trovo niente di male che da giovane ridessi a uno spettacolo come questo. Io ho amato le soap opera fino al tracollo e non per farci sociologia sopra ma proprio perchè mi piacciono – e di alcune sono stata disposta a difendere la dignità. Oppure – io per esempio amo San Remo, e ne difendo sempre la dignità. Quello che le donne chiedono soprattutto agli uomini come te – che sentono vicini in altri temi – non è di gettare un anatema su Drive In, e manco su Striscia. Ti chiedono di riconoscere solo un problema che è molto sottile e che riguarda la qualità del tuo sguardo di genere sulle rappresentazioni. Ti si chiede di far caso a questo – Berlusconi ce ne possiamo anche fregare. Se un programma anche ben fatto anche con dei pregi ha maschi differenziati e femmine indifferenziate – maschi che parlano e femmine sempre mute e col sorrisino, non ti diciamo mica di abiurare ti diciamo per favore facci caso. Cambia il tuo sguardo di genere. Fai ai programmi che ami una critica puntuale, perchè forse se la meritano. Riconoscere un difetto non vuol dire buttare tutto. Io trovavo la comicità del Drive In graffiante come un canarino – nel senso de acqua limone e zucchero – erano gli anni 80 e la sua totale leggerezza era totalmente calcolata. Ossia non era debolezza era una scelta coerente. Se per te ha dei meriti nessuno ti chiede di rinunciarci – ti si chiede di discriminare lo sguardo.
    3. Perchè alla fine capisco che nel discorso che si fa si pensa che si voglia gettare discredito su una certa trasmissione, su una certa campagna pubblicitaria etc. E mi sembra legittimo e naturale che gli autori di quella trasmissione o di quella campagna si difendano – è giusto. Ma le donne che si muovono in questo momento non è che come obbiettivo ultimo nella vita e interesse princeps abbiano la destrutturazione di una trasmissione di venti anni fa. Le donne usano quella trasmissione per parlare a loro a stesse e a voi di come vogliono che gli occhi e il mondo cambino. Berlusconi e chi dopo di lui sono solo le ultime conseguenze di cui potremo davvero godere chi sa quando.

  3. @ zauberei
    Se posso dire, credo che nei tre punti tu abbia esposto perfettamente la questione. E mi permetto anche e ancora di aggiungere che più ascoltiamo (voialtre) meglio ci fa (a noialtri).

  4. @ Tuscan
    In altre parole: certo che è compatibilissimo avere apprezzato Drive In e considerare oggi Berlusconi un porco. Tuttavia è un fatto che Drive In fosse un programma al maschile, fatto da e per i maschi, pensato per riproporre (“ironicamente”) stereotipi sessisti e in un certo senso rivendicarli anche (sempre con grande ironia, of course) dopo gli anni in cui erano stati pesantemente contestati. Ecco Berlusconi è o non è l’epitome di quell’immaginario sessista? Non il responsabile, non il grande regista, non l’unico utlizzatore finale, niente di tutto questo, ma l’affermazione finalmente liberata da ogni vincolo che così è bello? Che sono quelle le donne che vogliamo?

  5. Proporre un modello e riproporlo ironicamente non è esattamente la stessa cosa.
    Non si puo’ mettere quell’ “ironicamente” tra parentesi, è decisivo.
    Guzzanti non propone il modello del fascista virile per il fatto di riproporlo ironicamente.
    L’ “ambiguo” poi, è ancora più destabilizzante dell’ “ironico”, se possibile.

  6. @ Broncobilly
    Sono d’accordo, non è la stessa cosa, no. E’ uno stile completamente diverso. Ironizzare su uno stereotipo non è come contestarlo o destrutturarlo o proporne altri (che è quello che si era cercato di fare nel decennio precedente). E resta comunque il fatto che quell’ironia era al maschile e che quegli ironicissimi modelli femminili erano offerti a noi altri maschi.
    Credo per altro che Guzzanti conosca bene la differenza: il finale di “Fascisti su Marte” infatti ha assai poco di “ironico”.

  7. @paolo1984
    .
    Bel tipo che sei… ammetti la tua ignoranza ma non riesci a trattenerti dal dire la tua. Ora, un consiglio: quasi tutte le fumetterie hanno un angolo in cui tengono qualche vecchio numero di serie come Terror, Oltretomba, Storie Blu, Goldrake, Isabella ecc. serie che, pur non essendo pornografiche (i generi di riferimento di quelle citate sono rispettivamente horror, fantascienza, spionaggio, romanzo “di cappa e spada”) sono infarcite di immaginario erotico estremo e/o pornografia. E si tratta di fumetti che venivano distribuiti in tutte le edicole e che vendevano pure… insomma, viene da chiedersi seriamente se, nel complesso, prodotti del genere non abbiano avuto un ruolo notevole nel plasmare l’immaginario di genere in Italia, accanto alla tv di Ricci e quant’altro.
    Di solito te li tirano dietro, nel senso che in media hanno scarso valore collezionistico e quindi costano poco. Vai, compratene un paio di numeri (ché basta e avanza) leggili e poi ne riparliamo. Fai attenzione alla data di pubblicazione: noterai che quelli usciti negli anni ottanta sono mooolto più pesanti di quelli degli anni settanta… a conferma che davvero quel decennio è stato, come dice WM4, un “decennio di merda”; pure per il fumetto trash.

  8. Zauberei, scrivi: “Le donne usano quella trasmissione per parlare a loro a stesse e a voi di come vogliono che gli occhi e il mondo cambino.”
    “Voi” chi?

  9. Su “Drive In” ho già detto. Trovo però davvero semplicistica la dinamica cui alcune/i di voi fanno appello in merito al rapporto tra produzione di immagini e costruzione dell’immaginario, o più precisamente tra immagini e costruzione del desiderio e, al limite, di azioni: si tratti di Ricci, della commedia erotica o del porno di cui parla Don Cave. Un limite, in questo caso, politico. Perché è chiaro che se si pensa al rapporto tra immagini e processi di soggettivazione in questi termini, il potere del soggetto di lavorare in termini attivi (le modalità sono diversissime) con la produzione di immagini viene ridotto a zero, e si tende a concepire il soggetto come vittima delle immagini, vittima da proteggere. A questo proposito trovo molto interessante queste cosiderazioni di Judith Butler su immagini, psiche e desiderio:
    “Credo di aver preso molto seriamente la critica femminista alla pornografia negli anni Ottanta, ma poi mi sono persuasa che era completamente sbagliata. Una cosa che mi allarmava era il modo in cui venivano descritte la fantasia e la psiche da femministe anti pornografia come Andrea Dworkin. Lei pensa che le immagini abbiano il potere di formare la psiche e i desideri, di produrre azioni in modo quasi meccanico. Mi ha colpito che lei volesse disciplinare non solo le rappresentazioni ma anche il modo il pensare della gente, i desideri e le fantasie; lei vuole cancellare la distinzione etica fra fantasia, rappresentazione e azione”.

  10. @Regazzoni
    Il solito vizio dei filosofi: s’inseriscono a metà discussione, cacciano giù due o tre paroloni (“processi di soggettivazione”, in questo caso) come per dire a tutti gli altri: guardate che siete dei poveri fessi, perché io con i miei superpoteri concettuali vedo cose che voi neppure vi sognate… squilli di tromba e rullo di tamburi… è arrivato il maschio alfa! 😛
    P.S.: chissà cosa avrebbe detto Derrida di Zora la Vampira…

  11. @ Simone Regazzoni
    E’ giusto fare tutte le distinzioni del caso tra etica, fantasia, rappresentazione e azione, altrimenti si rischia di diventare deterministi. Il fruitore reagisce al messaggio e lo riplasma sempre, certo. Se questo è vero, allora, significa anche che non basta conoscere l’intenzione dell’autore di un messaggio per determinarne l’impatto generale. L’intento ironico di Ricci & company – che ribadisco, era parte di una tendenza e di un discorso ampio di quegli anni – ci serve assai poco per capire come la riproposizione di certi stereotipi abbia impattato sull’immaginario collettivo. Per questo infatti io ad esempio proponevo un approccio storicistico e contestuale, cioè di inserire un certo modo di fare televisione nel generale rinculo della società durante gli anni Ottanta.

  12. @Regazzoni
    “Don Cave non è un problema mio se invece di leggere Judith Butler guardi Zora la Vampira.” Considerato che questa affermazione può essere tranquillamente parafrasata in “Don Cave non è un problema mio se io ce l’ho più lungo”, direi che stai disastrosamente confermando i miei sospetti sulla tua ambizione ad assurgere al ruolo di maschio alfa. 😀
    P.S.: Zora la Vampira il fumetto, non il film con Verdone.

  13. @ Wu Ming 4
    Sì, concordo, non basta: le auto-difese del tipo “ma non avete capito, io volevo ecc.” lasciano il tempo che trovano. Rispetto l’approccio storicistico e contestuale (potrei anche dire che lo trovo interessante in una certa msura), però a patto che non riduca il testo a “documento” o che ne esaurisca la testualità in termini di segno che esprime un certo spirito dei tempi: il testo per me conserva sempre un’autonomia dal contesto, autonomia che permette fruizioni decontestualizzate, risemantizzazioni, ecc. Pensate ad esempio in ambito cinematogrfico all'”uso” che Tarantino fa dei B movie.

  14. Forse la maggiore o minore importanza che, nell’analisi, viene data al contesto dipende dall’obiettivo che ci si propone di raggiungere con l’analisi.
    Se l’obiettivo è lo studio spassionato e disinteressato può essere sensato prescindere dal contesto e indagare le possibilità di risemantizzazione; ma se l’obiettivo è la critica – ossia l’indagine sulle reali o possibili conseguenze sociali, psicologiche ecc. di un dato testo – tagliar via il contesto è semplicemente sbagliato.
    Sarebbe magari il caso di decidere se, nel parlare di Drive-In e di cultura popolare, vogliamo condurre uno studio disinteressato e “accademico”, oppure lavorare criticamente su quei testi, magari con l’intenzione di promuovere diverse modalità di costruzione dell’immaginario e delle narrazioni sociali.
    Questa semplice decisione forse eviterebbe molti fraintendimenti…
    P.S.: mi scuso con tutti per i miei due precedenti commenti; ho fatto un po’ troppo l’asino.

  15. Don Cave, magari l’intervento di Regazzoni per altri è perfettamente comprensibile e prezioso. Non è detto che tu sia l’unità di misura assoluta, altrimenti di saresti chiamato chessò Don Metro.

  16. @ andrea barbieri
    Sì, ho esagerato, e mi scuso di nuovo… è solo che con la filosofia applicata ho un pessimo rapporto, e in precedenti discussioni i concetti filosofici sono stati usati come schermo per una opinabilissima difesa della peggior spazzatura mediatica, con ripetuti scadimenti della discussione; mi auguro solo che non si finisca così pure stavolta… e mi riprometto di starmene buonino e di non assecondare una china del genere.

  17. @ Don Cave:
    perfetto, grazie per la considerazione che mi pare importante. Ora quello che suggerisco è se non sia più interessante, invece di optare, come proponi tu, per una così netta separazione tra lettura interna e critica contestualizzante, metter in atto un approccio alla cultura di massa diverso, che sappia far propria anche la critica di genere e anche una analisi del tipo proposta da Wu Ming 4, senza con ciò disconere una dignità estetica al testo in questione (si tratti di Drive in o di altro) e le complesse dinamiche di relazione tra immagini, discorsi e processi di soggettivazione. Non si tratta di salvare capra e cavoli, ma di riconoscere che nessuno di questi approcci critici è quello che ci dice la “verità” sul testo, e che possono essere usati di volta in volta per interrogare da una certo punto di vista, sempre parziale, un testo. In questo modo anche un testo saturo di immaginario maschile come il porno è stato letto da alcune femministe in termini originali e non in chiave di semplice denuncia.

  18. @ Regazzoni:
    E’ proprio questo che critico… il fatto che il problema che ci si pone, sia pure solo in negativo, sia quello della “verità” del testo. Se l’esito dell’indagine è semplicemente l’ammissione che nel testo non c’è alcuna “verità”, sicché le analisi, le letture e gli usi possono essere pluralizzati “a uffa”, secondo me si è fatto ben poco.
    Non penso che qui si voglia ricercare la presunta “vera lettura” di un testo come Drive-In (… chissà, magari tra cinquecento post cambieremo esempio…). La questione è molto più “pragmatica” – e nel senso filosofico del termine. Senza ambizione di essere esaustivi o definitivi, mi sembra che qui si voglia solo mettere a nudo un certo modello di costruzione dell’immaginario (di genere e non solo), allo scopo di evidenziarne la pericolosità (nessuno è talmente obnubilato da credere in un determinismo delle immagini; ma negare la loro influenza sarebbe altrettanto sbagliato), e di proporre alternative.
    Una volta focalizzata la prospettiva, c’è il rischio che insistendo sui distinguo, sulle mille possibilità di lettura, sulle mille plausibili risemantizzazioni del testo, l’obiettivo specifico venga letteralmente “affogato” in una marea di considerazioni che, pur essendo legittime e corrette, portano fuori strada la discussione.

  19. @ Don Cave:
    il fatto che non vi sia la verità di un testo è un presupposto (non sempre condiviso) di una certa lettura, non il risultato. E dovrai ammettere che una certa critica di Drive In qui e altrove faceva della propria critica pragmatica l’unica chiave di lettura possibile o degna di essere presa in considerazione. Se si fossero distinti i piani e si fosse detto, ad esempio: l’analisi di Grasso è interessante, coglie in effetti elementi presenti nel testo Drive In, ma qui vogliamo mettere in atto una critica di genere o altro, sarebbe stato diverso. Ma invece qui o là si è detto in sintesi: “è una cazzata, ma pericolosa”. Io credo sia importante insistere sui distinguo proprio per non crearsi falsi bersagli critici e provare a lavorare (perché da lavorare ce n’è) in modo attivo con le immagini e i discorsi della cultura di massa.

  20. Don Cave, anch’io ho un pessimo rapporto con la filosofia, però mi sembra di sentire nel lavoro della Butler il senso di proteggere la soggettività di ciascuna persona perché è misteriosa, irripetibile, e linguaggio e teorie tendono a cristallizzarla o addirittura a conculcarla. C’è un grande senso nelle sue parole della dignità umana.

  21. @ Regazzoni
    Di nuovo, penso sia tutta una questione di obiettivi e di priorità. Immagino che la deontologia del filosofo di professione ti farà inorridire di fronte a questa affermazione, ma penso con convinzione che il “tagliare con l’accetta” in alcune circostanze ci stia. Se il problema ha una certa urgenza, se la lotta è già ostacolata da mille fattori, secondo me non ci si può prendere il lusso di smarrirsi in elzeviri analitici che di fatto annacquano il nocciolo duro della lotta.
    Il rischio è sempre quello che l’analisi filosofica – pure, ripeto, legittima e magari corretta – divenga il peggior alleato dell’ideologia dominante.

  22. @ Don Cave e Simone Regazzoni
    Boh, capisco la polarizzazione, ma secondo me è leggermente fuori fuoco.
    Il punto non è o tagliare con l’accetta oppure soggettivizzare completamente un testo, essere apocalittici oppure integrati. Il punto è stabilire a cosa ci serve l’analisi filosofica della cultura di massa. Per me, ad esempio, tale analisi serve a individuarne i dispositivi, i meccanismi, le potenzialità di repressione o di liberazione, per poi “fare” qualcosa, per agire dentro la cultura di massa. Ma l’azione ovviamente presuppone una finalità. Quindi si ritorna sempre – piaccia o no – a una dimensione che è anche etica e politica. Se io negassi tale dimensione, allora resterei un osservatore critico – più o meno raffinato e intelligente – della realtà, ma impedirei a me stesso per primo di agire in essa. L’approccio empirico della “pop filosofia” (per dirla con Simone Regazzoni) per me serve a tentare di cambiare le cose.

  23. @ Regazzoni
    Assolutamente, rivendico in pieno la logica “militante”, soprattutto su questo tema. Non sono un accademico e non mi interessa diventarlo. Penso sinceramente che di un po’ di sana passione militante, ispirata ovviamente da letture e studio, oggi ci sia davvero bisogno.

  24. @ Wu Ming 4:
    anche per me l’obiettivo è trasformare il mondo, se vuoi. Però tenendo conto che il lavoro culturale ha un dimensione di complessità che non permette una sua riduzione meramente strumentale. Dunque: so che il mio testo, ad esmepio, produrrà degli effetti, e faccio in modo che vadano in una direzione piuttosto che in un’altra, ma so anche che la dimensione del mio intervento non può essere totalmente e razionalmente sorvegliata per massimimizzare l’effetto (lettura militante) perché così rischio solo di rendere meno efficace la mia arma. C’è dunque sì una finalità politica o al limite etico-politica (qui ho più resistenze), però aperta, non costretta nella logica del “starò facendo il gioco del nemico”?. Io non penso di poter scrivere ad esempio sorvegliando i miei fantasmi maschili e maschilisti semplicemente mettendo loro la sordina; piuttosto li faccio lavorare, provo a giocare con essi strategie che non siano il contenimento politicamente corretto o la semplice autocritica.

  25. @ WM4
    La polarizzazione, secondo me, è determinata non tanto dalla divergenza di prospettive in sé – che in linea di principio sarebbe perfettamente componibile nell’ottica di “studio impegnato” alla quale fai riferimento in conclusione – quanto semmai dalle inevitabili resistenze create dall’esistenza di “istituzioni” deputate alla tutela e alla promozione del sapere.
    Non ho la pretesa che un critico giornalista o un docente universitario adottino una prospettiva “militante”. Capisco la loro posizione. La loro funzione istituzionale impone dei limiti di fatto alla loro attività, e non ho nulla da eccepire su questo.
    Però, esattamente come trovo ipocrita nascondere la mia prospettiva militante, analogamente mi sembra un po’ rischioso attribuire alla pop-filosofia un ruolo così centrale nell’ottica del cambiamento sociale e della lotta simbolica. Dopo tutto, abbiamo a che fare con una “corrente” filosofica che cerca spazio in ambito accademico e che, per farlo, anziché puntare sulle forme di legittimazione più “classiche”, si fa forte del suo carattere pop e divulgativo.
    In definitiva: ben vengano gli spunti di riflessione e il “prestito” di strumenti di analisi – in un’ottica militante la conoscenza e lo studio restano fondamentali; ma facciamo chiarezza sui rispettivi obiettivi, per non confondere il mezzo con il fine.

  26. @ Regazzoni
    Questione di prospettive, di nuovo…
    Giudicando quella che è stata la mia esperienza nel mondo filosofico universitario – senza alcuna pretesa di generalizzazione, per carità – sarei portato a ribaltare la tua affermazione: divento insofferente quando l’ipoteca accademia soffoca le potenzialità insite nella liberazione in chiave politica dell’azione intellettuale.

  27. @ Simone Regazzoni
    Dici: “Io non penso di poter scrivere ad esempio sorvegliando i miei fantasmi maschili e maschilisti semplicemente mettendo loro la sordina; piuttosto li faccio lavorare, provo a giocare con essi strategie che non siano il contenimento politicamente corretto o la semplice autocritica.”
    Io ho il presentimento che sia tutto piuttosto insufficiente: contenimento politicamente corretto, semplice autocritica, ma anche gioco sui propri fantasmi. Tutte e tre queste modalità, repressive o fantasiose che siano, non mi paiono particolarmente incisive, né creative. Il rischio, in senso lato, è di rimanere comunque – felicemente o con i sensi di colpa – a farsi le seghe.

  28. Per chiarire: tu l’ipoteca la vedi nella dimensione etico-politica, dove io vedo enormi potenzialità di liberazione (evidentemente abbiamo idee molto diverse su cosa sia “politica”); tu invece trovi la libertà in una tutela accademica dell’azione intellettuale, che secondo me è la peggiore delle catene.
    Scoprirsi agli antipodi da’ sempre un certo senso di vertigine… 😀

  29. @ Wu Ming 4:
    a priori chi può escluderlo, il “logos spermatikos” è anche questo; e la srittura per me ha in primo luogo, prima ancora di qualsiasi buona ragione etico-politica, a che fare con una pulsione. A partire da qui si lavora, ciascuno con i propri fantasmi, che sono davvero una legione. E questo per me fa corpo con una prassi politica, è già prassi politica.

  30. Io credo sia sano riuscire a conservare un po’ di diffidenza nei confronti di chi tenta di catturare la mia attenzione facendo leva più sui miei istinti che sulla mia intelligenza.

  31. Mi pare fosse Tuscan a mettere sullo stesso piano Zelig e Drive In..bè io starei attento: Zelig mi sembra migliore come qualità dei comici e delle comiche, in più quest’anno c’è anche l’ottima Paola Cortellesi.
    @Don Cave, se capito in una fumetteria farò tesoro dei tuoi suggerimenti, ma conoscendomi è difficile che io riesca a considerare “malsano” un fumetto fosse anche il più trash.
    Piuttosto ti faccio una proposta: ti piace Vecchioni? A me sì, lo considero uno dei più grandi cantautori viventi eppure trovo il testo di “Voglio una donna” (che esteticamente è una bella canzone, anche se non delle migliori) fortemente maschilista quando dice “prendila te quella
    col cervello” oppure “abbiamo un mate di figli da pulirgli il culo, che la piantasse un po’ di andarsene in giro” e considero un po’ triste il suo tentativo di salvarsi in corner criticando il carrierismo femminile con lei “che viene via dal meeting stronza come un uomo”…tu che ne pensi?
    http://www.youtube.com/watch?v=hi8oKoya0SE
    Per contro di Vecchioni trovo molto meglio queste anche come testo:
    http://www.youtube.com/watch?v=pA7JVcDRf3Q&feature=related
    E questa vorrei dedicarla alla mia ragazza, se l’avessi:
    http://www.youtube.com/watch?v=FxDclkORgI0

  32. laura ti quoto!
    @simone e don cave:
    il punto l’ha centrato perfettamente zauberei un po’ più su rispondendo a tuscan foodie: “Quello che le donne chiedono soprattutto agli uomini come te – che sentono vicini in altri temi – non è di gettare un anatema su Drive In, e manco su Striscia. Ti chiedono di riconoscere solo un problema che è molto sottile e che riguarda la qualità del tuo sguardo di genere sulle rappresentazioni. Ti si chiede di far caso a questo”.
    e per uscire fuori dallo schema Drive in si/Drive in no, diciamo che Drive in è in questo caso sineddoche, parte per il tutto, dove il tutto è diventata la rappresentazione quasi unica delle femmine tv. Ora, Simone – a volte sono d’accordo con te e hai il pregio di farmi riflettere da punti di vista che non sono i miei soliti, perchè non ho la strumentazione filosofica nella mia cassetta degli attrezzi, ma certe volte mi fai anche incazzare (e pure questa è reazione sana, comunque) – non ti lanciare nella descrizione di quanti e quali modelli alternativi la tv generalista via cavo via satellite gratis a pagamento ha proposto, le serie americane e le nicchie di programmi altri; credo che tutt* riconosciamo anche questi aspetti non omologati. Ma ti si chiede, proprio perchè offri spunti e sguardi interessanti, di guardare a quel genere di televisione che identifichiamo con Drive in, anche con un’occhio femminile: è uno sforzo che puoi fare – pur mantenendo la tua specificità maschile; non ti si chiede di essere politicamente corretto, ma di provare a immaginare come ti sentiresti se, puntata dopo puntata, l’unico uomo rappresentato fosse un coglione messo lì per fare contorno. E quanto questa estrema semplificazione del tuo essere maschio, ripetuta e accentuata e fatta oggetto di commenti cretini pseudo-ironici, reiterata senza contraddittorio ti farebbe sentire orgoglioso. E, alla fine, quanto di questa rappresentazione inciderebbe su maschi – giovani vecchi bambini – piazzati davanti alla tv senza gli strumenti culturali di cui tu – e noi, in genere, qui – disponiamo. mi sembra che l’invito sia a riflettere su questi aspetti. Mi sa che le pur giuste distinzioni tra “filosofia” e “prassi” alla fine vi hanno fatto perdere di vista l’oggetto delle vostre interessanti riflessioni.

  33. @ laura a. e @ paola signorino
    Grazie del richiamo all’ordine. Abbiate pazienza, nel nostro encefalo ci sono decine di migliaia di anni di coazione a ripetere da disinstallare. E grazie di rimettere sempre al centro la questione concreta.

  34. Sì, Laura, l’ho notato anch’io, tanto che il mio applauso va, in ritardo, a Zaub di cui condivido in pieno il commento dei tre punti.
    Poi la frase di Simone Regazzoni “il testo per me conserva sempre un’autonomia dal contesto, autonomia che permette fruizioni decontestualizzate, risemantizzazioni, ecc. Pensate ad esempio in ambito cinematogrfico all’”uso” che Tarantino fa dei B movie” la condivido nel senso che si può applicare a qualsiasi testo, qualsiasi cosa permette fruizioni decontestualizzate o, addirittura, più contestualizzate se a fruirlo è uno specialista. Mi viene in mente, per esempio, un quadro di Rembrandt ‘letto’ da Van Gogh nelle lettere al fratello. Manco con mille occhi avrei visto quello che ha visto lui.
    E allora mi chiedo perché uno sguardo femminile debba essere considerato non competente o meno competente o strumentalizzato o di parte ecc. ecc. ecc. quando guarda ‘drive in’ e lo critica, soprattutto come ha fatto Zaub, in modo non ideologico ma fenomenologico: gli uomini fanno questo questo questo e le donne una cosa sola.
    Hai voglia a decontestualizzare (legittissimamente), ma il dato di partenza è quello, lo puoi fruire in mille modi, ma non lo puoi annullare.

  35. @ paola signorino
    Non penso che il “mettersi nei panni” sia l’unica strategia percorribile. E’ un esercizio che va fatto, ovviamente, e che risulta sempre molto istruttivo. Però non è il solo modo per affrontare la questione da un punto di vista “diverso”.
    La questione di genere tende a scavallare rispetto alla riflessione sui modelli femminili proposti dalla cultura di massa o rispetto alla lotta alla discriminazione di genere, perché esprime un elemento di universalità che si sta facendo sempre più marcato – e che è diventato evidente, secondo me, dopo la manifestazione di domenica scorsa.
    Drive-In può essere visto, per sineddoche, come rappresentazione esemplare di certa cultura sessista; analogamente, mi sembra che la questione di genere possa fungere da sineddoche per una miriade di questioni che hanno dei precisi denominatori comuni: l’oppressione, la discriminazione, lo sfruttamento, la disumanizzazione.
    Può rivestire questo ruolo perché, considerata la gravità e la pervasività delle dinamiche che mette allo scoperto (dal femminicidio alla rappresentazione degradante del corpo femminile), ti spiattella davanti agli occhi la forza di un certo tipo di narrativa e l’influenza nefasta che ha sulla società.
    Per questo, secondo me, le riflessioni sul tema possono/devono andare oltre l’empatia – che pure ne è la base necessaria – fino a coinvolgere una critica a 360° dei modelli sociali e culturali dominanti. Il tutto, ovviamente, senza togliere specificità a quella lotta, ma universalizzandone le modalità e il messaggio di fondo.

  36. @ Paola,
    ti assicuro che è uno sforzo che provo a fare (con tutti i miei limiti di maschio con tendenze machiste) e riconosco che, se non un modello unico (questo *non riesco* a vederlo), ci sia un problema da parte di certi format di rappresentazione della donna. Ho anche provato, guida tv alla mano, a segnare i programmi peggiori (sono tutti talk). Continuerò a lavorarci. Sull’incazzare… sì anch’io credo sia sano, ogni tanto. Spero di non esagerare nell’indurre tali reazioni.

  37. Una rapidissima chiosa al mio intervento precedente: che il riconoscimento di un valore “sineddochico” alla questione di genere potrebbe scardinare molte narrative di dominio, secondo me è dimostrato dalla forza con cui la sua centralità viene costantemente negata… per questo può avere senso, oggi, proporre la questione di genere come LA questione; non si tratta del riconoscimento di una priorità di principio, ma dell’instaurazione di una priorità di fatto.

  38. @Wu Ming 4: prego 🙂
    @Don Cave: quarta ginnasio, anno 1979: l’intervento in un’assemblea (una delle ultime con un certo clima) di un compagno che diceva che l’emancipazione della donna non poteva essere scissa da quella della classe operaia. Lui sicuramente era in buona fede, io però nel corso del tempo ci ho ripensato spesso a quell’affermazione, e non ne condivido la granitica certezza. Vedo però (anche da altri) riaffiorarne il concetto in momenti come questi, e mi chiedo se questa ansia di “universalizzare” la lotta femminista non nasconda ansie o paure di altro tipo.
    Io comunque l’empatia non la sottovaluterei. Ho potuto osservare le reazioni di amici uomini riguardo ad una versione al maschile del famoso calendario di toscani e a certi nudi maschili esibiti alla stregua di oggetti sessuali sulle copertine di libri fotografici, e da questi sporadicissimi esempi ho l’impressione che se media e muri fossero disseminati da foto simili in quantità massiccia avremmo commentatori molto meno filosofici e molto più incazzati.

  39. Ho letto a volo d’angelo infastidita dal picco gallesco che meno male ha sottolineato Laura a. e ringrazio Wuming4 per aver accettato la critica. Infastidita anche dallo squisito scivolamento alle seghe alle code dei gatti, soprattutto sempre li stessi gatti. E io Regazzoni ho i tuoi stessi strumenti teorici – su cui lavoro e scrivo. Ma con cui non ho obblighi di fedeltà neanche con l’ottima Butler. Alla fine nei post della Lipperini si co,mincia a discutere civilmente tra tanti, e si finisce sempre a parlà co Regazzoni. Pe le stesse cose che Regazzoni ha s
    critto tipo qui due mesi fa. Scemi l’altri che ce cascano io mi sono stufata. Mi manca Tuscan – Tuscan torna vojo parlare con te, e quotare Valeria.

  40. @ Zauberei: di gallesco c’è stata solo una breve parentesi, confinata a pochissimi commenti, della quale mi assumo la piena responsabilità. Poi, è vero, si è discusso fra pochi (3) e per giunta tutti maschi, ma non mi pare il caso di ingigantire così l’accaduto… anche perché la discussione ha ripreso respiro, e per fortuna non si è arenata sulle “seghe alle code dei gatti”.
    .
    @laura a.:
    Non ho detto che la questione di genere “non deve essere scissa” da altre questioni; la proposta che ho fatto è molto più radicale: la questione di genere deve fungere da propulsore e fonte d’ispirazione per altre lotte, ovviamente mantenendo la sua specificità.
    Il modo migliore per assecondare ansie e paure a sfondo reazionario, è invece proprio quello di “ghettizzare” il conflitto sulla questione di genere, scaricandone tutto il peso sulle spalle delle donne e facendo di discriminazione e disumanizzazione dei problemi “loro”.
    Invece no: la questione di genere evidenzia dei nervi scoperti della società che ci riguardano TUTT*; sciogliere certi nodi “di genere” significa fare un passo importante verso una società più giusta da tutti i punti di vista. In questo senso intendevo l’universalità della questione di genere.
    .
    Non ho mai negato, poi l’importanza dell’empatia indotta dal “rispecchiamento” dei ruoli e delle immagini… ma anche quella, se ci fai caso è un’arma a doppio taglio: un uomo potrebbe tranquillamente sentirsi offeso da una certa rappresentazione del corpo maschile, ma non essere minimamente in grado di mettere questo suo disagio in relazione con il disagio femminile, e continuare a ritenere l’attuale immagine della donna assolutamente “normale”.

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