UN, DOS, TRES

Uno. L’appello di Emergency per la liberazione di
Rahmatullah Hanefi e Adjmal Nashkbandi: qui
il testo, qui per aderire.

Due.I rapporti fra Hegel e Dragon
Ball, presso Azioneparallela.

Tre. Riccardo Ferrazzi mi manda una sua riflessione su “Coscienza e
galera”. Non prendo posizione e ve la giro, pilatescamente.

Tempo fa
una sentenza della Cassazione ha riconosciuto le attenuanti generiche a un
assassino in considerazione delle sue disagiate condizioni sociali ed
economiche (si trattava di un migrante clandestino). Per qualche giorno la cosa
ha fatto discutere. Poi, come al solito, altre notizie l’hanno obliterata.
Eppure, qualche ulteriore considerazione sarebbe necessaria.

Per
entrare nel merito del fatto specifico bisognerebbe avere studiato
giurisprudenza, conoscere le carte processuali, aver letto almeno la sentenza
della Cassazione. Personalmente sono certo che i magistrati avranno giudicato
correttamente sulla base delle leggi vigenti. Però ho l’impressione che, da
quarant’anni a questa parte, sia in atto una deriva che porta a interpretare le
leggi in modo da stravolgerne l’impianto.

Intendiamoci:
è normale che, col trascorrere del tempo, le idee cambino e con loro l’idem
sentire
della pubblica opinione e, di conseguenza, anche la percezione
della gravità dei reati e delle pene. Però sarebbe bene che questi cambiamenti
venissero trasfusi nelle leggi dall’attività del Parlamento, non
dall’interpretazione (o dallo stravolgimento?) della legge.

In ultima
analisi, e prescindendo dal caso specifico che ha dato origine alla sentenza
della Cassazione, perché lo Stato mette in galera i responsabili di un reato?
Per dargli un brutto voto in condotta o per difendere la società?

Se si
concedono attenuanti a chi uccide in seguito a una provocazione è perché si
ritiene che non si tratti di una persona pericolosa: se non verrà provocato non
reagirà. Certo, deve capire che ha sbagliato a reagire in modo sproporzionato,
e la punizione lo convincerà (si spera) a starci attento. Ma la società può
sentirsi ragionevolmente al sicuro.

Invece
considerare attenuante per un assassino il fatto di trovarsi in una condizione
di disadattamento significa giudicare la sua coscienza, significa cioè
introdurre un criterio soggettivo, se non addirittura paternalistico, nella
valutazione del reato. A questa stregua, se Bill Gates attraversasse fuori
dalle strisce bisognerebbe condannarlo a qualche anno di galera. Non solo, ma
una volta imboccata questa strada, bisognerebbe considerare che le cause di
disadattamento non sono soltanto economiche. In fin dei conti, è disadattato
anche un trovatello, un orfano, un divorziato. E perché non un poeta, un
artista? E voi, e io, non abbiamo motivi per lamentarci del mondo crudele? Di
questo passo, disadattato è chiunque. Ma se interpretiamo la legge in modo da
autorizzare i disadattati a uccidere e cavarsela con poco, come può sentirsi
sicura la società?

Insomma:
questo modo di amministrare la giustizia sa un po’ di stato etico. Come se lo
scopo del codice penale fosse compilare pagelle. Come se i cittadini fossero
fanciulli da educare a forza di premi e punizioni, e ai quali si può perdonare
qualche scappatella a condizione che siano puri di cuore (a giudizio del papà o
di chi ne fa le veci). Ma così si comportano le Chiese e le teocrazie, che non
sono tanto interessate a giudicare i fatti quanto a formare le coscienze. Lo
stato non può e non deve mettersi su questo piano.

Lo stato
esiste per difendere la generalità dei suoi membri dalle violenze interne ed
esterne. Dalle violenze esterne con l’esercito. Dalle violenze interne con la
legge. E ciò che conta non è la disposizione d’animo di chi usa violenza. Ciò
che conta è il fatto in sé. Se Tizio commette un omicidio, la società non lo
mette in galera perché è brutto e cattivo, ma per difendersi da uno che
potrebbe uccidere ancora.

Vorrei
citare un caso esemplare. Interpretando la legge con criteri sempre più
soggettivi, si è arrivati a considerare la pena in funzione della
riabilitazione come se quest’ultima fosse qualcosa di scontato (perché tutti
gli uomini sono buoni) e non un obbiettivo difficile e spesso impossibile da
conseguire (perché il male si può combattere ma non si può estirpare). Grazie
ai criteri sempre più soggettivi con cui si valuta la riabilitazione dei
delinquenti, un mostro come Izzo, il massacratore del Circeo, ha potuto uscire
di galera e uccidere ancora.

Si
risponde: statisticamente, fra tutti coloro che usufruiscono della semilibertà
sono relativamente pochi quelli che ne approfittano per commettere altri reati.
Sarà anche vero. Ma chi glielo spiega alle due donne uccise da Izzo?

Riabilitare
gli assassini è utile e desiderabile soltanto dopo che la società è stata messa
in condizioni di sicurezza. E questa è una condizione inderogabile che sta a
fondamento dell’esistenza stessa della legge. Che senso ha costituire uno
stato, promulgare leggi, mantenere polizia, magistratura e istituzioni
carcerarie, se poi si lascia che Izzo torni a uccidere? La costituzione impone
forse la riabilitazione del reo anche a costo della vita dei cittadini? Cos’è
prioritario, la vita degli innocenti o l’ipotetica riabilitazione dei
colpevoli?

19 pensieri su “UN, DOS, TRES

  1. La premessa di Ferrazzi è “Per entrare nel merito del fatto specifico bisognerebbe avere studiato giurisprudenza, conoscere le carte processuali, aver letto almeno la sentenza della Cassazione.”
    Premessa giustissima, che porterebbe ragionevolmente chi non è in quelle condizioni a non scrivere nessun pezzo. Infatti il pezzo nello specifico non entra, invece purtroppo entra nel generale, ed è pure pubblicato.
    Il pezzo comincia presupponendo che il giudice abbia applicato correttamente la legge. Ma continua inspiegabilmente con una tirata contro le “interpretazioni”.
    Ora, lo spazio interpretativo nella legge penale è ridottissimo: le norme devono essere tassative, c’è divieto di analogia.
    Se il giudice applica correttamente le leggi, non interpreta, e i gradi di giudizio tendono all’applicazione corretta della legge, non ad interpretare sempre più fumosamente. E chi fa le leggi?, il Parlamento.
    Casca tutto il ragionamento di Ferrazzi (per tacere della sua teoria sulla funzione della pena) dunque il problema non sono le interpetazioni della magistratura ma l’attività legislativa.
    Per essere operativi, quale sapere occorre per scrivere un pezzo di questo tipo?
    Basta leggere un buon libro sui principi generali del diritto penale. Un buon libro è lungo sulle 600 pagine. Nemmeno tante per un sapere così importante e affascinate.

  2. “l’universo è un sistema rigorosamente legato da leggi meccaniche;la conoscenza è il prodotto delle sensazioni;la moralità è una manifestazione dell’utilità”.Come scrive il Windelband,”l’uomo,secondo l’hobbes,non vuole in ultima analisi che la conservazione e lo sviluppo della propria esistenza:tutto ciò che egli vuole in particolare è soltanto un mezzo più o meno raffinato o mediato a quest’unico fine,per se pregevolissimo.Perciò anche le cosidette tendenze morali altruistiche,dirette cioè al bene dei simili,secondo l’hobbes,non sono originarie ma sono soltanto modi di manifestarsi dell’egoismo,prodotti dalla consuetudine.Nel meccanismo dei desideri,che l’hobbes espone come la teoria scientifica della morale,l’unica forza fondamentale è l’istinto di conservazione.Perciò dal punto di vista individuale non esistono differenze di valore tra singoli desideri:sono tutte ugualmente estrinsecazioni necessarie dell’egoismo…Da questo stato di natura,dalla lotta di tutti contro tutti,c’è una sola salvezza:lo stato.Anche questo è un meccanismo atomistico:i suoi elementi sono gli uomini,ciascuno dei quali cerca di far valere il buon diritto del suo egoismo,e lo stato medesimo non è che il sistema,in cui le forze dell’umano egoismo si sorreggono e sopportano ed anche reciprocamente si limitano per poter coesistere l’una accanto all’altra.I motivi del superamento dello stato naturale di lotta sono:il bisogno di pace e la paura.Da qui sorfe il contratto sociale,per il quale soltanto sarà costituita una razionale comunità di vita tra gli individui..Per amore della pace sociale temendo pericoli per la loro vita e la proprietà,gli individui hanno trasferito ogni loro potere e quindi ogni loro diritto nello stato:esso è il leviatano che tutto divora”(e adesso basta con le pagliacciate,giuro)

  3. In effetti la sentenza lascia perplesso anche me. Penso che la punizione penale per un reato dovrebbe essere interpretata non tanto come una punizione per quel che è stato fatto, ma come una misura cautelativa per quel che potrebbe rifare. All’atto pratico per la sicurezza sociale non cambia nulla, e nemmeno per il carcerato finché non si traggono le conseguenze di una concezione simile, e cioè che la rieducazione, come da norma costituzionale, deve essere uno dei fini del sistema carcerario, ma non può essere l’unico. Il reinserimento sociale è sicuramente difficile, pertanto è una questione che va trattata con grandissima prudenza e con moltissimi meccanismi intermedi per evitare che il principio giusto della reintegrazione dei detenuti porti ad un eccesso di lassismo che toglierebbe senso all’istituzione carceraria (e prima di ogni cosa occorrerebbe garantire la dignità umana nelle carceri, cosa che in Italia spesso non avviene).
    Tuttavia, dire che conta solo il fatto in sè e non la disposizione dell’animo è sì giusto in campo giuridico, ma non in campo politico: eppure oggi troppo spesso le questioni di ordine pubblico vengono viste solo dal punto di vista penale, e invece la politica dovrebbe preoccuparsi più di ciò che sta dietro a tali atti: lo Stato deve garantire la sicurezza, la politica deve (dovrebbe) cercare le condizioni per il miglioramento della società, e se abdica a questo compito poi non ci si può stupire se esso viene parzialmente ripreso dal potere giudiziario, che per tradizione tende a coprire le deficienze degli altri poteri

  4. Interpretando la legge con criteri sempre più soggettivi, si è arrivati a considerare la pena in funzione della riabilitazione come se quest’ultima fosse qualcosa di scontato (perché tutti gli uomini sono buoni) e non un obbiettivo difficile e spesso impossibile da conseguire (perché il male si può combattere ma non si può estirpare)
    Che la pena sia funzionale alla riabilitazione non è il risultato di un’interpretazione soggettiva, è scritto nella Costituzione, e più in generale nella storia del diritto. Il diritto non prevede, neanche implicitamente, che gli uomini siano buoni in natura: se così fosse, per inciso, sarebbe legittimo eliminare le “mele guaste” che infettano quelle buone. L’alternativa è la legge del taglione. Rovesciando la domanda: la pena come restituzione della sofferenza accresciuta di un surplus di dolore ha ottenuto, in passato, qualche risultato nell’estirpare il male?
    La costituzione impone forse la riabilitazione del reo anche a costo della vita dei cittadini? Cos’è prioritario, la vita degli innocenti o l’ipotetica riabilitazione dei colpevoli?
    Questa è una vera sciocchezza. L’eventuale danno per gli innocenti non è contemporaneo, ma successivo alla scarcerazione: dunque l’alternativa non sussiste, a meno che il giudice non possegga la sfera di cristallo. Izzo ha commesso un crimine efferato tanto quanto quello degli incensurati condomini di Erba, mentre efferati ex-assassini a distanza di vent’anni sono completamente diversi da quello che erano “allora”. Francamente il livello mi sembra quello del Sindacato Autonomo di Polizia che accusa “il killer” Sergio D’Elia (che non ha mai ucciso nessuno) di essere libero (perché ha scontato l’intera pena) e reinserito.
    Ma tutto questo è, scusate, mera accademia. Come se i lavori sul rapporto pena/giustizia di Pasukanis e Foucault non fossero mai stati scritti. Come se nulla fosse stato scritto sull’assoggettamento, sul potere produttivo e non repressivo, sulla difesa della società atraverso la creazione di soggetti/assoggettati, sul potere pastorale che disciplina il soggetto “per il suo bene”, sulle società disciplinari e sulle società di controllo. Come se, per fare un esempio, una coscienza di massa forcaiola come quella che ha sfilato ieri a Milano non sia l’esito di un processo di costruzione di una soggetività dominata da passioni tristi e rancorose, e per questo “spontaneamente” indirizzata e orientata: al cui orientamento contribuiscono anche vicende come quella di Izzo, dallo svolgesi dei fatti al battage giornalistico, ecc. ecc.

  5. Girolamo, forse nello sviluppare il tuo ragionamento hai dimenticato parte di ciò che avevo scritto. Mi guardo bene dall’indicare la pena come restituzione della sofferenza: si tratta al contrario di una misura preventiva che la società adotta contro il rischio di reiterazione del reato (che poi venga commesso anche da incensurati non c’è dubbio, ma questo non significa che la società non debba prendere precauzioni).
    Quanto alla tua seconda osservazione, permettimi di rilevare che non dai una risposta alla mia domanda. Fino a che punto la società deve mettere a rischio la pelle dei cittadini onesti inseguendo lo scopo (o a volte il miraggio) della riabilitazione?
    Quanto al resto del tuo discorso, credimi: i paragoni con le marce e i pressapochismi lasciali perdere, sono proprio sballati.

  6. dalla lettura di “tornerò per farti fuori”,evinsi che le tribù che s’installarono in Oklahoma(choctaws,chickasaws,cherokees e seminola)isolavano,lasciandoli liberi di circolare,i membri che si rendevano colpevoli di reati infamanti per la loro morale extra-aristotelica

  7. No, Lucio, con la “mia sinistra” un’affermazione che mette in relazione certezza della pena e certezza dell’impunità non c’entra proprio niente. Il solo fatto di mettere in relazione i due termini comporta un’opzione politica chiara, di cui forse tu non ti rendo conto, e neanche Riccardo.
    Permettimi una premessa di carattere personale, tanto per capire che non sto parlando solo di libri: io in carcere ci ho insegnato, ho lavorato per due anni con una cooperativa che si occupava di creare posti di lavoro per il reinserimento dei detenuti. Io credo di avere una vaga idea di quel che sto dicendo: spero vivamente di non star discutendo, piuttosto, con gente che crede che le celle siiano monolocali con la televisione a colori, come una vulgata fascista ripete ossesivamente.
    Ciò premesso, il fine della pena è il recupero del reo, non la sua punizione. Ripeto, lo dice la Costituzione: puoi non essere d’accordo, in questo caso sposi un’altra idea di giustizia, che è un’idea di destra, che banalizzando (ma lo dice persino Hegel, che con la “mia sinistracertezza della pena è, nel migliore dei casi, un’illusione, e nel peggiore una stronzata ideologica, perché vent’anni piuttosto che due o dieci è una misura astratta tanto quanto il rapporto tra un salario e il valore reale di una prstazione lavorativa: la sua unica giustificazione è la calcolabilità. Diciamo che io tengo Tizio in galera sino a un massimo di vent’anni, perché penso che tanto serva per cambiare uno che ha fatto una certa cosa. Tutte le misure alternative alla detenzione hanno senso nel momento in cui il detenuto comincia a diventare diverso da quello che era: se non è più un pericolo per gli altri, che senso ha tenerlo dentro? È come credere nella legge del Karma ed imprigionare qualcuno per quello che ha fatto in una vita precedente. Se invece la vedi dal punto di vista della società che “dev’essere difesa” (bella frase fascista, scusami ma è così), allora, molto cinicamente e utilitaristicamente, sappi (sono dati ufficiali, ministeriali, e gli ultimi che ho consultato risalgono al ministero Castelli, quindi non c’è rischio che siano falsificati a favore della “mia parte”) dicono che non solo la quasi totalità dei detenuti in permesso rientrano tranquillamente all’ora prestabilita (ma tu hai mai sentito un telegiornale dirti che «anche oggi 9.999 detenuti sono rientrati in cella alle 20 di sera»? No, però se uno non rientra fa subito notizia), ma, soprattutto, che il numero di detenuti che attraverso un complesso di leggi (dal lavoro interno a quello esterno, dai corsi di studio in carcere ai permessi, ecc.) si reinseriscono e non delinquono più una volta scontata la pena è molto più alto di quelli che non delinquevano più quando c’era la certezza della pena. Come mai? Perché la galera senza alternative sarà certa, ma ti rilascia in uscita lo stesso delinquente che ha preso in consegna, ed anzi se qualcosa quel delinquo non sapeva, stai pur certo che lo imparava in galera. Inutile riempirsi la bocca con Izzo: senza la legge-Gozzini di Izzo che, scontata la pena per intero andava a stuprare ed uccidere ce ne sarebbero molti di più.
    E tanto per concludere: perché si parla sempre di un ex-detenuto come Sergio D’Elia per dire “che vergogna che sia deputato”, e non si fa mai notare che, a partire da un percorso iniziato all’interno della pena (che ha scontato per intero), è diventato, negli ultimi 15 anni, uno degli italiani che più ha fatto contro la pena di morte con l’associazione (conosciuta in tutto il mondo) “Nessuno tocchi Caino”? Cosa tutela più la società, un regime carcerario che permette una simile tasformazione, o uno che lo getta in cella e caccia via la chiave, per restituircelo pari pari come era entrato, magari pronto a fare una rapina in banca non avendo alcuna possibilità di trovare un lavoro ed avendo come unica competenza l’uso delle armi? Eppure di fascisti, dichiarati e mascherati, che urlano al killer all’interno delle istituzioni ce ne sono sin troppi, non ti pare? Non è certo il caso di aggiungere alle affermazioni consapevolmente fasciste anche quelle poco avvedute o dette con poca riflessione.

  8. Girolamo. D’accordissimo sul concetto di riabilitazione, ma se qualcuno uccide, stupra, organizza la tratta delle bianche e delle nere, magari minorenni, è bene che abbia modo di riflettere ***almeno per un po’*** sul proprio operato in condizioni di restrizione della libertà, anziché sul divano di casa sua. Tempo fa il Gazzettino intervistò uno dei borseggiatori abituali di piazza San Marco che dichiarò testualmente: “Italiani stupidi, ti prendono e ti rilasciano immediatamente. Con le carte da credito rubate noi mettiamo insieme circa cinquecentomila euro l’anno”. Non trovi sarebbe il caso che questi giovanotti, almeno quando recidivi, stessero qualche mese in galera? Se si sa in partenza che, anche quando colti in flagrante, vi è l’immediato rilascio dopo le solite formalità in questura, è ovvio che la tentazione di approfittare di tanta larghezza di vedute si fa cogente. Detto ciò, va benissimo ogni discorso sulla finalità ANCHE rieducativa, anziché solo afflittiva, del carcere, senza però dimenticare che, come per l’opera educativa, anche quella rieducativa ha bisogno di tempi lenti, per essere efficace. Ammetterai che il pentitismo del giorno dopo è un’autentica presa per i fondelli di chi nutre le più vive speranze nella costante migliorabilità dell’uomo.

  9. Innanzitutto un grazie a Girolamo. Non dirò cose altrettanto intelligenti, scusatemi.
    Avevo in mente una polemica che non farò. Mi limiterò a qualche considerazione da analfatbeta (o quasi) del dritto. Due o tre cosette da quell’angolo di umano che coltivo (penso di coltivare).
    Ho pensato a questa sentenza che non conosco e, in astratto, la prima cosa che mi viene da pensare è che se i giudici (tenuti alle leggi) hanno dato quel tipo di attenuanti vuol dire che saltavano senz’altro agli occhi (erano in primo piano rispetto al delitto commesso) e che non ci si poteva passare sopra. Dovrei leggere la storia e la sentenza (mi sarebbe piaciuto che fosse presente un link nel commento di cui sopra). Non conoscendo il caso provo a immaginare dove io, da giudice dilettante, avrei potuto fare considerazioni simili. Cerco nella memoria qualcosa di orecchiato. Mi viene in mente un vecchio sfrattato e senza speranze di trovare alloggio (non so se avete presenti le pensioni anche non minime e i costi di alloggio e beni nelle grandi città) che più volte minacciò e aggredì il padrone di casa e poi decise di dare fuoco all’appartamento e di morire tra le fiamme. Non ricordo se vi furono vittime collaterali, se non ricordo male si, ma, ripeto, è solo un vago ricordo.
    Non ci fu nessuno da processare, ma se fosse vissuto si sarebbe condannato alla galera (i cinici penseranno che avrebbe risolto il problema casa) sia per i danni materiali che per le eventuali vittime. Non c’è dubbio che il reato era intenzionale e i crimini gravi. Non c’è dubbio che se il vecchio si fosse trovato in una nazione decente e con una politica della casa (una a caso visto che adesso c’è il deserto) il vecchio sarebbe morto di vecchiaia.
    A quelli che obieteranno che se era povero e in difficoltà era colpa sua ricordo che nessuno di noi può sapere come sarà la sua vita domani. Senza andare a pensare che potrebbe collassare l’economia USA con annessi e connessi, basta mettersi nei panni di quei taglialegna americani i cui fondi pensione erano basati sulle splendenti azioni parmalat. Un giorno potevano pagare la pigione, il giorno dopo no. Magari qualcuno si è lasciato morire o ha beccato l’infarto, nessuno farà mai una colpa di questo e di altri fallimenti di una vita intera a un signore che oggi è di nuovo in villa e può tranquillamente dichiarare che intende creare altre ‘aziende’.
    Ma non scadiamo nel banale ‘tutti uguali davanti alla legge, ma alcuni più uguali di altri’. Banale, appunto, anche sottolineare la differente pena tra uno che ruba per mangiare e l’altro che ha rubato a piene mani (e non abbiamo riscontri sulle ripercussioni su eventuali boscaioli dell’alaska), ha fatto fare leggi per autoassolversi e magari finisce ai servizi sociali mantenendo posizione parlamentare e beni.
    Usciamo dalla banalità, l’Italia è un fulgido esempio di giustizia e sono la solita ingrata che tira fuori stupide eccezioni.
    Torniamo a chi vive situazioni limite che io propongo, umanamente, di non considerare eccezioni, ma possibili stati di vita in cui ciascuno potrebbe trovarsi nel corso della propria esistenza (statisticamente è molto più probabile finire poveri che in villa). Per questo motivo (perchè nessuno può dirsi immune da tutte le disgrazie del genere umano) pensavo che gli stati moderni avessero deciso di dotarsi anche di politiche ‘sociali’. Non solo per questo in verità, anche per prevenire quelle rabbie e quegli scompensi che la miseria e il disadattamento di portano appresso.
    Anche quelli ‘tutelati’ (i ricchi di ogni dove) dovrebbero essere felici di mettere a disposizione (del fisco per esempio) un bel pò delle loro sostanze per evitare che un giorno qualcuno meno fortunato e disperato decida di ‘livellare’ il divario a modo suo.
    Non essendo ricca pago volentieri le mie tasse per il primo obiettivo: un minimo di solidarietà con gli altri che stanno peggio oggi per riceverne io nel momento in cui dovessi averne (eventalmente) bisogno. Se il sistema funzionasse probabilmente non ci sarebbero casi di crimini commessi in stato di degrado e di estrema miseria. Certo, uno può anche ‘scegliere’ (vorrei però sentirmelo dire e vederlo firmato dal notaio) di finire nella merda, solo in questo caso mi sentirei di rimproverare i giudici per usare lo stato di vita come attenuante. Il sistema di supporto e aiuto dovrebbe però essere cosa esistente, viva e attiva (non coercitiva).
    Invece, pensate un pò, quello che viene quotidianamente segato a politiche sociali (casa, istruzione, asili, assistenza medica, ecc..)lo ritroviamo speso in missioni di guerra (in maschera di pace), in basi militari, in nuovi e fiammanti aerei per le guerre umanitarie e, infine, in contractors che, seppur in odore di crimini contro l’umanità, proteggeranno i nostri civili in missioni di aiuto coatto.
    qualche link?
    http://www.peacereporter.net/dettaglio
    _articolo.php?idpa=&idc=2&ida=
    &idt=&idart=7336
    http://www.osservatorioiraq.it
    /modules/wfsection/article.
    php?articleid=4382
    http://www.informationguerrilla.org
    /rd.php/www.peacereporter.net/
    dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=7524
    http://www.zmag.org/
    Italy/rame_fo-nuoviaerei.htm
    Mi sono persa, sì, mi sono persa, si parlava di principi, di certezza delle pene, di politiche per la ‘non reiterazione’ del reato.
    Scusate, dove sta il problema? il mitico presidente vaccaro dell’universo mondo ha inventato la formula che fa per voi a livello globale, non dovete che introdurla nella nostra legislazione (a meno che non faccia a pugni con qualche principio di base, ma non sono mai cose insuperabili sia per la destra che per la sinistra, suvvia) ha un bel nome, intrigante, suadente, si chiama: guerra preventiva. Non avete che da adattare la sua formula a tutti i tipi di reato…..solo che ….come si fa a distinguere chi commetterà un reato e chi no? chi garantisce? chi decide? il chiromante? Giorgio?
    per quanto mi riguarda non so cosa e chi sarò domani, mi candido da sola alle grate. Voi, siete così sicuri di voi stessi? in qualsiasi circostanza?
    Per favore non costringete una non cristiana come me alla solita citazione: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Anzi: chi è senza peccato e sa che mai peccherà (neanche sotto tortura, miseria, perdita della ragione, persecuzione, ecc….) si prenda la responsabilità di proporre pene preventive per una qualsiasi ragione e per chiunque (fosse pure un ex ergastolano). Fate vobis, io mi batterei per altre cause e forse anche per una giustizia che con i principi della guerra preventiva non ha niente a che fare.
    besos
    Ho fatto una fatica boia a scrivere e intervenire (la scrittura è pessima, mi spiace), ma non è un bel momento. Non credo che riuscirò a rispondere a eventuali osservazioni, mi scuso in anticipo.

  10. *non c´era boccone filosofico che egli non afferrasse per poi portarlo all´altezza del naso. Lo scrutava, lo annusava e in pochi istanti decideva se inghiottirlo o gettarlo come un rifiuto nella spazzatura*
    Così fa casomai un gestore di blog: il forte di Hegel era invece lo stomaco, tanto che Stirner lo chiamò “il digestore” (sulla digestione in genere cfr. R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino 1976).

  11. Lucio, non ti viene in mente che uno dei discrimini del diritto è: o è meglio un innocente dentro piuttosto che un colpevole fuori, o è meglio un colpevole fuori piuttosto che un innocente dentro? Nel primo caso il diritto si basa sulla presunzione di colpevolezza (io ti accuso, se non puoi dimostrare il contrario resti dentro), nel secondo sulla presunzione di innocenza (sta a me dimostrare che sei colpevole esibendo una prova). Sono discorsi generali, ma il diritto è generale o non è. Che poi ci siano casi particolari che aggirano la norma è un fatto inevitabile: talmente inevitabile che (scusa se ripeto l’ennesima banalità) la vera causa del progresso del diritto è il crimine. Però, tanto per scendere dalle stelle alle strade: perché certi reati creano allarme? Una banda di tagliagole è infinitamente meno pericolosa per la mia vita delle polveri non dico sottili, ma ultasottili che respiro, perché non esiste neanche una norma che imponga non dico di filtrarle, ma addirittura di monitorarle. Un rapinatore a mano armata è molto meno pericoloso di determinati posti di lavoro, ad esempio un cantiere edile: quanti muoiono perché si trovano nel mezzo di una rapina, e quanti muoiono cadendo da un’impalcatura? Eppure il tagliagole e il rapinatore creano allarme. Lo stupro crea panico, e la visione di un extracomunitario viene immediatamente associata alla possibilità di uno stupro; eppure il 90% degli stupratori sono italiani, e il 75% delle donne stuprate sono extracomunitarie: perché le donne italiane non si sentono rassicurate dall’aumento degli extracomunitari, dal momento che vengono sospinte sempre più ai margini dell’area di rischio-stupro, focalizzandosi la violenza maschile sulle donne straniere? Non ti viene in mente che ci sia una palese forbice fra lo stato reale – ma non visibile – delle cose e la capacità di indurre panico sociale? E non sarebbe meglio (come fa Bifo da vent’anni) concentrare le nostre energie sulla produzione di allarme, di panico sociale, di passioni tristi, piuttosto che prendere per oro colato la descrizione mediatica del mondo?

  12. Girolamo. Stavolta sei tu a menare il can per l’aia. E’ vero che non esistono i Buoni e i Cattivi in assoluto, che Nessun Uomo è un rottame eccetera, in compenso esistono fior di mascalzoni pronti a commettere ogni tipo di reato pur di aumentare la propria libertà a spese di quella degli altri. Tali individui vanno puniti con appropriate pene detentive, associate fin che vuoi a programmi di recupero. Il che non significa affatto che auspico attutire l’allarme sulle polveri sottili e sulle morti bianche. Anzi, auspico il contrario.

  13. Non è bello ripetere il già detto, ma a volte non si può farne a meno. Il post parte dalla constatazione degli elementi soggettivi via via introdotti nell’interpretazione della legge e mette in guardia dal possibile stravolgimento degli obbiettivi stessi del contratto sociale. E conclude con una domanda alla quale non so dare una risposta (non l’ho trovata neanche nei commenti): se lo scopo dello stato è la sicurezza dei cittadini, fino a che punto lo stato può mettere a rischio la loro vita? Il doveroso tentativo di rieducare i rei può essere considerato prevalente sulla tutela dell’incolumità dei cittadini? E se sì, perché?
    La risposta, trattandosi di un principio, addirittura un principio fondativo dello stato, non può venire dalle statistiche (anche questo era già detto nel post).
    La giusta osservazione che è meglio un delinquente in libertà che un innocente in galera si riferisce a come deve comportarsi il giudice in presenza non di valutazioni soggettive, ma di dubbi fattuali. In dubio pro reo. Ma non stiamo parlando di questo.
    Hegel lo lascerei stare. Visto come la pensava sullo Stato, temo che risponderebbe alla mia domanda qualcosa del tipo: lo stato può pretendere la vita dei cittadini solo per difendere se stesso.
    In conclusione, non ho risposte. Ma resto del parere che l’esistenza stessa dello stato richieda la certezza del diritto, e che la certezza del diritto debba essere fondata su elementi oggettivi.

  14. e vi dirò di più.Se per caso WM2 ci confermasse l’autenticità del detto taoista:”annientate i santi,liberate i briganti e il mondo ritrovera l’ordine” le aspettative della giustizia subirebbero una rivoluzione(e che San Disma ci protegga)

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