Ho alcune cose da dire su Graziella De Palo.
Intanto, questo pomeriggio, dalle 14.30, c’è un convegno presso la Biblioteca Casanatense a Roma. Ci saranno molti interventi, tra cui quelli dei familiari: il cugino di Graziella, Nicola, e il fratello di Italo, Aldo. Chi può, venga.
Poi, come si sarà notato, da domenica scorsa improvvisamente alcuni organi di stampa hanno riscoperto il caso in virtù di un’intervista a Renata De Palo, la mamma di Graziella, 99 anni, che ha lanciato un appello alla presidente del consiglio Giorgia Meloni. La quale ha risposto, promettendo la desecretazione degli atti che riguardano la scomparsa di Italo e Graziella, il 2 settembre 1980.
La prima cosa che ho da dire è “magari”. Ma mi occupo di questa storia da così tanti anni da ricordare molte promesse in proposito, tutte disattese, da qualsiasi governo siano venute. Peraltro, da quanto è dato sapere, il segreto di Stato su tutte le vicende connesse al lodo Moro sono state prorogate fino al 2030. E questo avveniva a fine agosto. Se la presidente manterrà il proprio impegno, sarebbe la prima volta. Quindi, ripeto, magari.
La seconda cosa è personale. Mentre scrivevo L’arrivo di Saturno sono andata a parlare con Renata, e Renata ha letto il libro, mi ha regalato la poesia della Graziella quattordicenne (l’ho trascritta da un quadernetto con la copertina verde, di quelli che usavamo in abbondanza, all’epoca), ha confidato le sue speranze, che sono quelle che si può immaginare.
Ma durante la realizzazione di Omissis, il podcast di Radio3, ho deciso di non tornare da Renata, e di usare una sua dichiarazione di repertorio, tratta da La storia siamo noi.
L’ho fatto per rispetto nei confronti della sua fragilità e del suo dolore. Per anni questa coraggiosissima donna ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità, ed è stata praticamente ignorata. Tutta la documentazione su Graziella era a disposizione già da prima del mio romanzo e del mio podcast: io mi sono limitata a metterla in forma narrativa, ma già il libro di Nicola De Palo era leggibile da anni, e lo abbiamo presentato a Fahrenheit quando uscì infatti, e a nulla è servito.
Si dirà che ci vuole il caso, che ci vogliono le trippe e le lacrime per riuscire a ottenere attenzione. E’ naturalmente vero. Ma io ho la presunzione di poter dire che questa non era l’etica di quella ragazza che voleva fare la giornalista da quando era una bambina, e che infine l’ha fatto, e che per questo è morta.
Se un giorno questo dolore sarà utile, è cosa che non possiamo dire ora. Ora, registriamo la promessa.