Parto da una piccola storia (un po’ ignobile) personale, di quelle che capitano spesso sui social. Mi scrive un mio contatto, con molta cortesia e anche sgomento per l’infantilismo della vicenda. Succede che sulla bacheca facebook della rivista Focus il social media manager faccia una domanda (fessa): “Qual è la puzza più puzzolente al mondo?”. Posso lasciarvi immaginare il tenore dei commenti: razzismo a valanghe, un po’ di goliardia di bassa caratura. Poi però c’è questa signora che si chiama Sara Ferrero (sì, certo, nomi e cognomi), di Torino. Una signora elegante, da quanto si intravede dall’acconciatura dotata di un bel fiocco nero sulla nuca, e non giovane, immagino della mia età. La signora posta direttamente una mia foto, ingrandita sul sorriso. Insomma, io puzzo, solo perché in quella foto si vede la mia imperfetta dentatura.
Naturalmente il commento sparisce quando le chiedo il perché. E fin qui, fine della storia o quasi.
Perché non la racconto per lamentarmi, ma per l’ennesima considerazione sui social a cui facevo già riferimento un paio di giorni fa. Non solo abbiamo un problema di parole, come detto: ma di autoinganno. Pensiamo, cioé, di poter scrivere qualsiasi cosa contando sulla nostra invisibilità. Immagino che la signora Sara si sia detta: figurati se la diretta interessata lo viene a sapere. E’ avvenuto nel giro di pochissime ore, se non minuti. E questo accade continuamente.
Facebook è arrivato in Italia grosso modo nel 2008. Sono passati quindici anni: un tempo in cui dovremmo esserci autoeducati all’uso, in cui dovremmo aver capito che no, non si è mai invisibili e no, non c’è nulla di davvero privato in una piattaforma di enorme utilizzo. Dovremmo aver capito che ad azione corrisponde reazione, a volte garbata e a volte no. Dovremmo aver capito che le parole, specie scritte, hanno un peso e una permanenza.
Ovviamente non è così e ovviamente continuo a stupirmi, e a preoccuparmi: perché gran parte dei comportamenti tossici in cui nuotiamo trovano un radicamento nel nostro io virtuale e nelle interazioni che compie.
Dove voglio arrivare? A ribadire che non sono i ragazzi e le ragazze a dover essere educati alla rete ma i loro genitori e persino nonni. E che ancora non avviene, o non abbastanza.
Quanto alla signora Sara, posso dirle che dopodomani, sabato 15 aprile, sarò alla Rocca di Arignano (non lontano da Torino) per Castelli in giallo, e che alle 18.30 leggerò La lotteria di Shirley Jackson. Sarà l’occasione per conoscerci, parlarci, e magari pure per mostrarle la mia dentatura nuova, a cui finalmente sto lavorando. La aspetto.