UNA LETTERA DI STEFANO MASSARON

Stefano Massaron mi scrive una lunga e bella lettera, che trovate per intero sul suo blog (l’avrei postata anch’io integralmente, se il sistema di amministrazione non avesse cominciato ad impazzire). Ve ne riporto però almeno un passaggio:

“Mi domando, e non è la prima volta da quando ho iniziato a scrivere, quale sia il ruolo dello scrittore. In un mio mondo ideale, da sogno –il mio Regno di Utopia –il compito del narratore (sì, uso di proposito questa distinzione e di proposito tornerò a confonderla) dovrebbe considerarsi concluso, quasi per forza di cose, una volta dato il libro (la storia) alle stampe. Forzando leggermente la mano, arriverei persino a dire che, se uno scrittore viene chiamato a spiegarsi e a spiegare agli altri la propria opera di narrativa, ciò significa che, da qualche parte (forse in prima stesura, forse in correzione di bozze, forse in editing) ha sbagliato qualcosa. Se il libro non è capace di parlare da solo, deve avere un difetto in qualche suo elemento essenziale: nel motore del plot, nello stile, eccetera, a scelta il dove. Pensa che, quando faccio presentazioni in qualche luogo preposto, non riesco comunque a liberarmi di questa sensazione fastidiosa e insinuante di aver sbagliato qualcosa, visto che c’è lì tutta quella gente che vuole sentirmi parlare di qualcosa che ho scritto che, invece, dovrebbe reggersi sulle proprie gambe (di carta, ma pur sempre)”.

 


 

53 pensieri su “UNA LETTERA DI STEFANO MASSARON

  1. in effetti è di un’altra classe il buon Massaron, quella che discuteva di letteratura senza farsi troppi pipponi mentali. E la storia del suo mondo della letteratura ideale è assai condivisibile, tanto più alla luce dell’esperienza appena vissuta… non è vero Loredana?

  2. Ma certo, Stefano e Loredana, che i libri devono essere conclusi e parlare da se. E mi pare evidente che, nelle “presentazioni/incontro con l’autore” non si è lì a spiegare proprio niente di necessario, ma semmai a soddisfare quel po’ di morbosa curiosità che può avere il lettore e a fare della quasi obbligata promozione. Mi sembra semplice. Quanto a parlare dei libri degli altri… L’imbarazzo di fare lo scrittore/recensore in effetti c’è, lo provo profondamente, e non so spiegarmelo con esattezza. Però lo faccio. Ma infine vorrei sottrarmi a questo ruolo, a dire il vero. Ci sto provando. Vorrei spostarmi a lato. Trovo, infatti, invece sano e praticabile fare il “Bee-Jay” nella versione depurata dalle connotazioni negative. Trovo cioè bello e anche poetico agire come quei Dee-Jay super-specializzati, che trasmettono in programmi di nicchia, e che promuovono – anche un po’ ingenui ed entusiasti – quella musica per cui stravedono e che abbisogna – almeno ai loro occhi appunto entusiasti – promopzione più vasta diffusione. E quindi: recensire piccoli libri con dentro piccole belle cose (non necessariamente “capolavori nascosti”, perchè non è che ne esistano poi così tanti!)

  3. L’ottimo Stefano mette il dito nella piaga molto meglio di quanto abbia fatto io stesso su Nazione Indiana. A qualcuno frega, oltre che delle scaramucce fra Nove e Genna, anche dei lettori? Qualcuno sa cosa leggerebbero con diletto piuttosto che abbrutirsi con i non-libri dei comici? Stefano, ti prego scrivimi: spiegami come hai fatto a restare fuori dalla giostra per 5 anni (che immagino salutari). Sto cercando il modo ddi fernare il motore ma non lo trovo. Condivido tutto di quello che dici. Andare a presentare e questo dover “spiegare”. Non potersi permettere i libri. Eccolo qua un bell’argomento di discussione. La prof da 250euro al mese, può permettersi Piperno(o Nove o Scarpa o chicchessia)?E’ proprio necessario che debba permetterselo?Butto giù impressioni sparse.Può darsi mi venga in mente un pezzo più articolato. Ma, come già detto,fai bene a dar ragione alla Lipperini, con tutto quello che segue.Ragione tout court.Ché non s’è d’aria di dire cose più intelligenti e pregne al momento.

  4. @ Sifossifoco
    Mi chiedo, Sifossifoco, chi sei o pensi d’esser tu per “comandare” in casa d’altri, quando sei ospite come me. Allora, vedi di non puntarmi, né di darmi ordini: non ne prendo da te come da nessun altro. Tu tienti la tua di libertà che io mi tengo la mia. Spero d’esser stato chiaro. E il flame, se lo vuoi, fattelo fare, ma non da me: sono stato chiaro?
    Saludos
    Iannox

  5. Oh, bravino! Ora che m’hai dato codesta rispostina, sì che posso portar fuori la mi Milù tranquilla! Tranquillina!:-)

  6. Oh, bravino! Ora che m’hai dato codesta rispostina, sì che posso portar fuori la mi Milù tranquilla! Tranquillina!:-)

  7. Io la penso così, il pensiero non è mio, ma è come se lo fosse:
    “Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.” (Fabrizio De André)
    Poi, tutto il resto, se c’è, è una pippa mentale che non vale la pena d’esser presa in considerazione.
    Saludos
    Iannox

  8. “E mi domando (ancora): essere uno scrittore pubblicato fornisce automaticamente il diritto di parlare di ciò che intorno ci accade? E, nel caso lo scrittore pubblicato decida di parlare di libri (ovviamente, si spera, scritti da altri), qual è il ruolo del critico letterario? Esiste ancora? O bisogna invece parlare di “bee-jay” come fa Tiziano Scarpa?”
    “Sono un po’ vetero, mi rendo conto, quando ho la ragazza le apro la portiera della macchina (di solito la sua, visto che io non ce l’ho, ma gliela apro lo stesso) e tutte queste cose che fanno sorridere… e quindi, nella mia testolina conservatrice c’è sempre quest’immagine un po’ scolastica in cui gli scrittori scrivono i libri, i narratori raccontano le storie e i critici li criticano entrambi (forse più i primi dei secondi), li esaminano, li analizzano, insomma ci fanno un po’ quello che gli pare perché, che diamine, quello è il loro mestiere.
    Poi, però, mi rendo conto che questo è il mio Regno di Utopia, e che forse è anche una stronzata. Perché è vero che sono “stato via”, ma quando te l’ho scritto qualche riga fa non sono stato abbastanza chiaro: sono stato via da me stesso, dai libri, dal “mondo” della scrittura, dai blog (che ho scoperto solo da poco, pensa un po’ quanto sono stato avulso) e da tutto ciò che è accaduto nei blog in questi ultimi due-tre anni, ma non sono stato via dal mondo. Né dall’Italia, anche se in più di un’occasione avrei voluto.
    E mi rendo conto che la mia visione schematica dei ruoli narratore/scrittore/critico lascia il tempo che trova. Perché, nel momento sociale e culturale che stiamo vivendo, la domanda che mi si pone è un’altra e ben più inquietante: non è che magari, in pieno regno-Silvio, uno scrittore pubblicato ha il dovere di parlare? Altro che “arrogarsi il diritto”… non diventa quasi un imperativo morale intervenire e dire la propria?”
    Massaron scrive di essere vetero, ma io preferisco la sua vetustà ai più recenti abbaiamenti. Ha ragione sifossifoco.

  9. In effetti, Valerio, la penso
    come te, e ne ho scritto nei
    giorni scorsi: la questione
    fondamentale è l’onestà. Porsi
    agli altri con onestà morale e
    intellettuale. Qualità, ahimé,
    non più apprezzata come
    dovrebbe in un mondo che
    parla troppo, ma davvero
    troppo e senza alcuna
    riflessione (o si dovrebbe dire
    con spudoratezza?), solo di se
    stesso.

  10. La lettera di Massaron è bella e confusa, come è spesso un ragionamento che ti esce così, senza troppo andare giù di lima.
    Non ho ancora letto il suo nuovo romanzo ma, come dire: mi fido.
    Io sull’argomento ho scritto in questi giorni su N.I. fin troppo. Ma alla fine tutto torna allo stralcio fatto da Loredana: i libri, quando esistono, non hanno più bisogno dell’autore. Diventano maggiorenni.

  11. Oh, scusate, sì, c’avrà pure ragione Massaron, visto che siete in tanti a dirlo – per me vale la regola che più teste pensano meglio di una – però, vorrei fare delle domande: a me – che mi ingarbuglio a parlare in pubblico, e comincio a sparare cazzate e adivnetare rossa, e mi ci vuole qualche istante per articolare bene un cacchio di “discorzo” non solo mi piace stare ad ascoltare 1. il perchè uno scrittore/ice ha scritto un determinato libro. 2. quali sono le sue ascendenze (padri madri letterari), 3. un po’ della sua vita (che ha fatto, che fa, quando non scrive libri), ma se qualcuno mi chiede, mi piace anche raccontare. Sarà perchè divento rossa? Quindi, domanda: perchè i libri devono parlare da soli? No. E’ bello essere una comunità di lettori, e parlare anche del resto. Non è un limite è una potenzialità in più. E non c’entra Berlusconi.E lo dico senza diventare rossa. 🙂 O no? Altro problema: i libri costano. Perchè non si cerca di portare avanti il progetto di Wu Ming sul copyleft? Invece se ne parla solo quando ne parla lui – loro – per un po’ e poi basta. Poi, le biblioteche. Poi, gli economici. Voglio dire le possibilità di leggere gratis ci sono abbastanza, e i besteseller dopo un po’ vanno in economica. I classici – non ce li dimentichiamo – costano 3 euro. Ultimo: a me uno che mi apre lo sportello mi fa diventare rossa, per lo stesso motivo per cui quando parlo in pubblico mi ingarbuglio. ma a me diventare rossa non è che mi faccia impazzire anche se qualcuno di quelli che apre lo sportello dice, “Ma come non ti piace? E’ una dote!” Una dote? Una dote che odio. Allora: se la vedo un po’ diversamente da tutti, stamattina, è perchè sono una che ancora diventa rossa e odia diventare rossa?

  12. Il discorso sul lettore è il più importante di tutti.
    Da lettore, ho seguito, faticosamente, le discussioni qui e su Nazione Indiana, finora senza intervenire.
    La sensazione che ho avuto non è stata bellissima, scusate se vado controcorrente. Mi è sembrato che se in apparenza si parlava del significato dello scrivere e di cosa è letteratura, nei fatti ci fosse una nuova possibile classe intellettuale che vuole sostituire l’attuale. Così ho recepito l’intervento di Moresco, e so che non vi troverò d’accordo.
    L’intervento di Massaron è il primo che suscita la mia totale adesione. E risponde a quello che io, che non scriverò mai, ma leggerò sempre, vorrei sentirmi dire da uno scrittore.
    Scusate.

  13. Ilposto, un t’arrabbiare, la mia
    gli era solo la richiesta d’un
    favore, e per un solo giorno…
    figurati se voglio censurare un
    tu’ divertimento.

  14. …e poi scusa, Sifossifoco, divento rossa, ma di rabbia, a chiederti questo, perchè Ienax deve stare zitto? A me diverte e interessa quello che dice.

  15. Però, scusate, restiamo sull’argomento, che merita.
    Massaron scrive che non venderebbe mai un Pahlaniuk: abbiamo provato ad usare il suo stesso metro per definire (mi pare che Lippa lo abbia chiesto) cosa è la letteratura?

  16. Mentre Milù la faceva gli animi si sono riscaldati. 🙂 Visto che La Lippa vorrebbe parlare di letteratura e visto che letteratura è (o dovrebbe essere) : “ciò che dà dell’ incantevole a chi davvero se lo merita”, parliamo di letteratura? Ienax, parla di letteratura…visto che riesci quasi sempre a rimanere tranquillo 🙂

  17. “ciò che dà dell’ incantevole a
    chi davvero se lo merita?”,
    ma no, Milù, ti sbagli, la
    letteratura è trasformare gli
    oggetti in soggetti!

  18. sifossifoco, non so a cosa mi servirà, ma so che ho voglia di capire.
    Massaron ha scritto un intervento esemplare: per la sua onestà, come dicevi giustamente tu, e perchè, dopo settimane, mi pare aver centrato il problema.
    Hai ragione, non serve definire cosa è letteratura e cosa no. Serve definire cosa vale la pena di leggere e cosa no. Serve capire chi scrive davvero perchè ci crede, e non per conquistare una fettuccia di potere.
    Non so cosa abbia scritto ora Massaron, so che me lo leggerò di corsa.

  19. Sifossifoco, metti un po’ la testa sotto l’acqua calda, stamattina, che mi pare che la ti ribolle un po’ettino! Passi il tempo a sfottere, e parli di onestà? O una o l’altra. Per me si può anche sfottere! 🙂 Ma mi pare che ‘con ‘codesto nome te ti sia andato un po’co in ‘onfusione! 🙂

  20. @ SISSI ecc. ecc.
    Senti, ti sta a cuore ‘sto post, e c’hai pure una prosopopea che la metà basterebbe pure ad Annibale. Allor sai che faccio? Ti lascio a farti le tue parti visto che così grande è il tuo amore per questo post. Ovviamente sei qui con animo disenteressato.
    Ienax e Iannox sono la stessa persona e non c’è differenza quasi mai giacchè vivono in un’unica soluzione.
    Tienti la ragione, per quel che ti vale.
    Alla prossima… Passo e chiudo.
    Ienax

  21. …e tornando alle biblioteche e ai lettori. Mi parrebbe utile anzi che anche dove ci non ci fossero, se ne creassero di circoli di lettori, no? Come d’altra parte in tanti paesi già esistono. Non è che non mi convinca quello che dice Massaron, e capisco il suo disagio, il disagio del “dover spiegare” , “dover giustificare il proprio ruolo”….

  22. Ah, avevo capito bene allora io! Mi chiedevo “Come fa a saperlo che mi fa un complimento se mi chiama Milù? Allora è intelligente!” Invece ho capito. A lui se lo chiamano come l’Anonimo ha fatto – che non è una gentilezza – dice, “Mi hanno fatto un complimento!”- bah. Siamo tutti strani, su questo blog! 🙂

  23. Massaron è una lettura
    divertente sul serio, Carlo. Lo
    è perché scrive molto bene, e
    perché possiede questa
    qualità interiore dell’onestà (il
    vendersi i libri per fumare,
    mangiare e lavorare, ne è solo
    un aspetto).
    Riguardo a cosa leggere e
    cosa no, son cose
    soggettive… pensa te che la
    più piccola bi biblioteca di
    paese contiene più libri di
    quanti se ne possano leggere
    in una vita. Forse anche
    questo non trascurabile
    aspetto del tempo che
    abbiamo, dimostra
    l’impossibilità del pippone
    mentale su cosa è la
    letteratura.

  24. Cristallino Iannox, il mio non
    voleva essere un tentativo di
    toglierti libertà, quanto
    prendermi (per una volta) un
    po’ della mia di non dovermi
    consumare le dita per saltare a
    pie’ pari i tuoi pensierini.
    Perché di pensierini si tratta, e
    lo sai.

  25. Massaron mette sul piatto (lo preferisco al tappeto…) tante cose interessanti, “sviscera” il suo discorso partendo e rimanendo nell’autobiografico, parla di se stesso, dei suoi dubbi,delle sue perplessità, senza chiasso, senza clamori, senza risposte certe. Ottimo, dico io. Devo dire che anch’io sono preso da dubbi simili: parlare e riparlare di ciò che uno ha scritto (il suo libro) cosa significa? Piersandro Pallavicini dice giustamente che si tratta di un rito, si tratta di promozione ma anche dell’incontro fisico con i lettori. Quello che un libro ha veramente da dire lo dice il libro stesso, a mio parere, difetti compresi. “Parla l’opera!”, così si è sempre detto. Ma ci sono le interviste, nelle quali è sacrosanto che l’autore racconti qualcosa che puo’ interessare, ad esempio il processo creativo, come è nato il libro, qual’è stata l’idea di partenza, se un’idea di partenza c’è stata, ecc. Il resto è questo “incontro fisico” con i destinatari delle nostre fantasie, i lettori. Che, io credo (e spero di non apparire retorico) in certo qual senso sono sacri. Io scrivo per me stesso, sarò sincero: ma poi, quando ti accorgi che questo è vero fino ad un certo punto perchè hai comunicato te stesso attraverso ciò che hai scritto, lo hai indirizzato proprio compiendo il gesto enormemente comunicativo dello scrivere, allora ti accorgi che, senza proprio saperlo nell’atto della stesura- perchè in quell’atto eri completamente preso propro da te stesso- hai voluto parlare, e anche a lungo, con gli altri. Lo scrittore è spessissimo un timidone che cerca le “parole per dirlo” e quando va bene le trova, io credo.
    Faccio un grande in bocca al lupo a Stefano , che ho conosciuto abbastanza di sfuggita ormai parecchi anni fa, per il suo nuovo libro.

  26. @ Sifossifoco
    Come i tuoi, del resto. O hai pure l’assurda presunzione di crederli grandi i tuoi pensieri? Mi sa di sì.
    Divertiti tra le fila dei tuoi pensierini e magari pensaci su due volte, se non tre, prima d’aprire la bocca per sparare immani cazzate pregiudiziali. Giusto un consiglio.
    Ienax

  27. Iannox o Ienax? (perché ci
    trovo una certa differenza
    sai?). Se non vuoi farmelo il
    favore, scrivi pure tutti i
    commenti che vuoi, nella
    tastiera hanno fatto il
    pagedown apposta! Riguardo
    ai miei pensierini, non li
    esprimo ad ogni post della
    lipperini, ma solo in questo
    sai?

  28. Che qualcuno mi chiami Milù? Speriamo. Non credo, ma lo spero. 🙂 E piuttosto, a proposito di presentazioni, e gruppi di discussione, non si dipende un po’ troppo dagli editori, dal caso, dalle “iniziative comunali”? Non sarebbe un po’ “il caso”, ma la butto lì che ci fossero – il blog è secondo me un’ottima opportunità – occasioni d’incontro “dal basso”, non solo legate alle ultime uscite, a “chiamate” da parte dell’istituzione?
    Ah, scusa Sifossifoco, non vivo nè a Cologno Monzese, nè a Cervia, come dici nel post sopra, ma anche se fosse 1. non mi vergognerei 2.credo che delle buone biblioteche e dei buoni lettori ci siano anche lì.

  29. M’ero ritirato, ma di fronte a questo non posso tacere, e spero che QUALCUNO ne prenda atto e faccia qualcosa di concreto e non vili inutili stupide vuote chiacchiere.

  30. Per te Elio è importante sapere ciò che io sono, per confutare o approvare il mio pensiero? Una scissione non nevrotica forse è un passo eccessivo, ma è bene, poiché ti senti chiamato in causa e mi fai una domanda, che tu abbia una risposta.
    Sono borghese nella misura in cui appartengo ad una società di cui non auspico per principio la distruzione. Ma non lo sono nella misura in cui dall’interno di tale contesto non aderisco. Abiuro.
    Non lo sono, pur nell’impossibilità della rivoluzione – a cui non credo per temperamento, indole e cultura – poiché aderisco alla rivolta. Piccola, quotidiana. Una messe di no da opporre ai ricatti della diversa sensibilità (per essere leggero).
    Perché credo nella Nemesi, dea della misura in Grecia quanto della vendetta. E ad ogni atto (per me di vendetta) so che corrisponde una misura di rivolta.

  31. Una battuta per Biondillo (perché per Biondillo? Perché non mi pare fesso): come fai a fidarti? Fai come me, ti fidi per principio e per dovere intellettuale? Dopo aver letto la versione integrale della lettera non mi fido per nulla dell’autore (che, preciso, non ho mai letto): non delle sue intenzioni, non della sua limpidezza, non della sua moralità, non della sua “fenomenologia”. Non so poi, se questi siano dei valori, o se io sia bigotto, addirittura. Ma si può dir di tutto, certo. Si può volare, avendo le ali.

  32. Tantissimi commenti. Ho la connessione internet solo dalle 8 alle 20, è stata una sorpresa. Ci sono tantissimi spunti interessanti, critiche, ipotesi di riflessione. Comporrò una risposta al più presto (stanotte): se riesco a venire a capo di tutto, domattina la trovate sul mio blog. Grazie, davvero davvero.

  33. Hai ragione Elio, però ti dirò che ho usato quella frase di Pasolini solo per complicità sentimentale. Cioé mi è parso che in quella provocazione ci fosse un’idea di fondo condivisibile. Mentre è sull’assetto generale della società che non sono più d’accordo. Non credo che sia più possibile utilizzare il termine borghesia. Viviamo in una fase accelerata che non lascia ‘residuare’ nulla. Il post-moderno tra le varie cose ha dato anche un colpo di vernice alla vecchia divisione classista della società. E non credo che esista la borghesia perché non esiste il proletariato, cioé quella categoria altra che con la sua alterità connotava anche l’identità borghese.
    Ripeto: ho preso da Pasolini il senso emotivo della sua citazione.
    Se uno si chiedesse allora cosa ha soppiantato quella dicotomia allora direi…

  34. No Luigi, tale interesse non aveva nulla di strumentale o di personale (per me sei “Luigi” – ovvero qualcosa di molto “indeterminato” che non ho proprio alcun motivo di “delegittimare”) ma era abbastanza intrinseco. Concordo sul fatto che si possa essere “intrappolati” in una certa “classe” senza per questo esserne “complici” (cioé senza aderire alle sue ideologie ed autorappresentazioni) né “alienati” (cioé desiderare spasmodicamente di essere “altro”). Ma di fronte all’evidenza che, da un punto di vista crudamente materialistico e comportamentale, siamo in buona sostanza “tutti borghesi”, mi incuriosiscono molto le singole strategie di “distinzione”, ovvero il come “tirarsi fuori” dalla “abominevole” folla attraverso la differenziazione di alcuni comportamenti marginali, quali possono essere uno stile di consumo leggermente più “ecologico”, determinate “pratiche” culturali, l’espressione pubblica di certi sentimenti ecc.

  35. Uno fa un quadro, putacaso astratto, non dice niente.
    Poi si trova attorno settecento persone o meno a dirgli:
    Checcazzo significa?
    Cheddevefare, lui?
    Poi settecento o dieci critici o storici, dopo che lui è morto, parlano di lui ed interpretano, e blaterano e scrivono e dicono o sbruffano o, forse, insegnano o forse scrivono di cose che nemmeno il pittore aveva capito, si sognava, mentre feceva, dipingeva, si dimenava.
    Il mondo è così: tutti dicono.

  36. Ti dirò, Roquentin… forse proprio perché un po’ sono un fesso.
    Nel senso che io tendo a fidarmi delle persone. Non conosco di persona Massaron (ma mi capiterà presto, in una biblioteca comunale in provincia di Milano il mese prossimo), ma ho come la sensazione che in lui ci sia un travaglio autentico, non furbo.
    Ovviamente poi alla lettura tutto può succedere. Come già detto i libri, quando sono “fatti”, sono, devono essere, autonomi dai loro autori.
    Ci possono essere scrittori umanamente splendidi ma orribili scribacchini. E splendidi scrittori pessime persone. E’ tutto così ovvio che quasi mi vergogno a dirlo.
    Ma io coltivo sempre la speranza nell’altro. Ed evito di essere pregiudiziale (fin che posso). Chi decide di dedicarsi a questa attività o è un egocentrico o sente una urgenza insopprimibile, che è forse proprio il talento, non so… (perdonami, torno orora da Salice Terme per una presentazione, sono distrutto e sto un po’ sragionando, magari domani, rileggendomi mi verrà da vomitare).
    A Piersandro: c’è una signora che ogni giorno in pausa pranzo alla Fnac di Milano legge per un’ora il mio libro. Ogni giorno. (la guardo di nascosto). Lo sta quasi finendo. Sono persino contento che non lo compri, ma che lo legga con quella avidità.
    La tua idea sarebbe da strutturare, non so, pensiamoci.

  37. Apriamo un “posto della letteratura contemporanea” utilizzando qualche spazio amico, riunendo lì tutti i libri di cui ci si deve volenti o nolenti sbarazzare e organizzandolo come “biblioteca dei contemporanei” 🙂
    Spazio amico=eh, trovarlo!
    Magari a Milano il Conchetta…

  38. Anonimo…Dare il sovrappiù di libri alla locale biblioteca può in effetti essere una soluzione ragionevole. Non ci avevo pensato. Ma ritorna la questione: in biblioteca ci si va veramente per leggere narrativa fresca d’uscita? Non è una domanda retorica, non so davvero cosa rispondere (chiederò ai bibliotecari, alla prima occasione).
    Rileggendo la cosa che ho scritto ieri sul “blog ridistributivo” ho avuto l’impressione di non aver scritto proprio una sciocchezza. Insomma, ho l’impressione che se una cosa del genere esistesse, sarei felice di parteciparvi (mettere a disposizione libri). Vedo che anche “il posto…” mi sembrava dell’idea. E pure il caro Biondillo… Loredana, tu che avrai una circolazione di libri probabilmente 10 volte più grande della mia, che ne dici? (ehm, e grazie per il commento sul mio romanzo!).
    A me, più che altro spaventa “lo sbatti” per preparare un blog di quel tipo, o insomma per inventarsi qualche sana autoregolamentazione per tenerlo sui binari di una democratica e non lucrativa ridistribuzione. Ma è solo uno “sbatti”, niente di più: mettendosi lì un pomeriggio a pensarci si potrebbe tirar fuori qualcosa di funzionale…

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