Questo è uno di quei casi in cui confesso di essere stata divisa tra l’indignazione che porta a intervenire, e a farlo di getto (come è avvenuto ieri sera sui social network) o lasciare che l’autore della polemica, lo psichiatra e psicoanalista Sarantis Thanopulos, e il giornale che ospita la sua rubrica, Il Manifesto, non godano della visibilità da rimbalzo polemico.
Ma è difficile non intervenire. La visibilità dell’articolo di Thanopulos sarà anche circoscritta, ma la gravità delle sue affermazioni ha lasciato interdette e interdetti donne e uomini che da diversi giorni esprimono soprattutto stupore. Come è possibile, si sono chiesti, che un quotidiano come Il Manifesto, dove giornaliste come Luisa Betti intervengono con lucidità e passione sul tema della violenza contro le donne, ospiti un articolo come quello di Thanopulos? La risposta, via twitter, di chi cura l’account del quotidiano è stata a dir poco cafona: “le rubriche sono degli autori (che ne rispondono) e i pezzi sono del giornale. non è difficile”, e preceduta da un ancor più sprezzante riferimento all’intervento di un lettore con ulteriore risposta di Thanopulos: “la risposta è già uscita oggi! e sta anche su facebook. #sveglia”.
E sia, svegliamoci e partiamo dall’inizio.
Il 31 agosto, dunque, Il Manifesto ospita (senza dunque risponderne) questo articolo. “Non è violenza di genere” è il titolo. Vi invito a leggerlo nonostante l’oscurità del linguaggio, che viene probabilmente considerata pregio e non limite, come a volte accade in alcune, fortunatamente ristrette, nicchie intellettuali. La prima affermazione di Thanopulos dimostra che parte con il piede sbagliato: quello di chi non conosce e evidentemente non vuole conoscere le argomentazioni che intende contestare. Sostiene Thanopulos, infatti, che
“parlare di violenza di genere significa commettere due errori: concepire la donna e l’uomo in modo indipendente dalla loro complementarità e attribuire all’uomo una violenza nei confronti della donna connaturata al suo modo di essere (e risalente al suo patrimonio genetico)”.
Semmai si è sempre sostenuto il contrario. Si è parlato di cultura e non di natura, e dunque il patrimonio genetico non è mai stato tirato in ballo. Forse, però, usarlo come argomentazione da confutare (falsamente) significa che interrogarsi sulla cultura maschile è impresa che si ritiene troppo faticosa. Anche solo nel nominarla. Andiamo avanti. Sostiene Thanopulos che la violenza
“nella sostanza danneggia più l’uomo che la donna perché l’uomo violento perde il suo oggetto del desiderio e subisce una deprivazione psichica devastante. Una donna può essere sopraffatta dalla violenza ma restare internamente viva mentre l’uomo sopraffattore è già morto dentro”.
Ora, mentre riflettevo su queste parole, mi è venuta in mente una donna che ho conosciuto ieri. E’ Giacometta Limentani. Ha ottantatre anni. E’ stata stuprata da quattro fascisti quando ne aveva dodici. Ha raccontato la sua storia in un romanzo bellissimo, In contumacia, che ora Iacobelli ripropone insieme agli altri due nel volume Trilogia. Giacometta ha reincontrato uno dei suoi violentatori, e altro non vi dico. Vi dico solo che è una donna che emette luce, una traduttrice squista, una studiosa di Midrash. Sì, è viva e splendida.
Ma questo non può e non deve autorizzare chicchessia a pesare col bilancino di non so quale psicoanalisi (non entro nel merito, lo faranno altre e altri che sono più autorevoli di me) il grado di morte interiore all’interno di una violenza.
Senza considerare il fatto che la violenza non uccide solo “dentro”. Uccide. Punto. Ma sostiene Thanapulos:
“Il coinvolgimento fa paura perché comporta l’esposizione al desiderio dell’altro ma anche perché è intimamente connesso – sul versante maschile del desiderio – con la passione di appropriazione che rischia se non è adeguatamente modulata di distruggere ciò che ha tra le mani.”
Dunque è lui ad attribuire agli uomini una passione naturalmente distruttiva la cui teorizzazione attribuisce alle altre e agli altri . Ed è per questo che è un lettore uomo ad aver, giustamente, reagito. Sul Manifesto di ieri (ci siamo svegliati, abbiamo letto) appare questa lettera, a firma di Luca Oddone:
“Forse sarà stato letto da poche/i ma sono rimasto piuttosto basito dall’intervento di Sanopulos [mea culpa, autore a me ignoto] sulla “violenza di genere” [31 agosto].
Mi limito a poche suggestioni, dati i limiti di spazio della rubrica, sebben il tema sia per me cruciale, vitale e l’intervento – se l’ho compreso – mi abbia alquanto sorpreso.
Partendo dal presupposto che tutte le parole che utilizziamo sono umani artifici con cui facciamo violenza alle cose, il ragionamento alla base del suo intervento [“Parlare di violenza di genere significa commettere due errori: concepire la donna e l’uomo in modo indipendente dalla loro complementarità e attribuire all’uomo una violenza nei confronti della donna connaturata al suo modo di essere (e risalente al suo patrimonio genetico)”] parrebbe aver inteso assai poco del dibattito e delle riflessioni attorno al tema.
In tutto l’articolo infatti viene – volutamente o meno – ignorato come il concetto di genere sia dinamico, dialettico, sociale, simbolico e, ancora, inserito in una cornice di rapporto di potere e di dominio.
Banalmente, l’autore confonde genere con sesso.
Tralasciando poi la “provocazione” (!!!) sull’uomo come vittima principale della violenza sulla donna [seguendo il nostro, però, non si dovrebbe parlare nemmeno di “violenza sulla donna”, sostituendolo a “violenza di genere” infatti non muta il senso di quanto afferma: se non esiste per le ragioni di cui sopra la “violenza di genere” ancoira di più non esiste quella “sulla donna”] c’è assolutamente nulla di attribuito in modo “innato” al “maschio”parlando di violenza di genere, come è banale comprendere se minimamente sfiorati dalle riflessioni attorno alla questione.
E’ semmai la complementarietà di cui parla Thanopulos [la stessa di scriveva ai vescovi Ratzinger nel 2004?] ad alludere un qualche essenzialismo innatista [non a caso la chiosa paventa l’indifferenziazione].
Nella bella forma del linguaggio accademico, a me pare la maschia presa di posizione di un uomo minacciato dall’interrogarsi sul problema..”
E cosa risponde Thanopulos? Sostiene, prevedibilmente, di essere stato frainteso:
“Caro Luca, se un concetto nasce statico si può cercare di renderlo dinamico (sociale, simbolico ecc.) ma la fatica è sprecata. Credo che tu abbia frainteso il significato che attribuisco alla «complementarità»: né l’uomo né la donna esistono come tali al di fuori della loro relazione di desiderio (della sua possibilità nel loro mondo interno). Nella prospettiva dei «generi» la donna e l’uomo possono essere concepiti ognuno per conto suo. A dire il vero il concetto di «sesso» va meglio di quello di «genere» perché implica la sessualità (che perfino nelle sue dimensioni più autoerotiche riconosce la presenza dell’altro). Che senso avrebbe parlare della «presa» e della «spina» come «generi»? Sono fatti l’una per l’altra.
Se poi teniamo conto dell’intreccio della femminilità e della mascolinità nella donna come nell’uomo e delle identificazioni reciproche tra gli amanti nell’amplesso amoroso, restituendo all’incontro erotico tutta la sua complessità, diventa ancora più chiaro perché il concetto di «genere» è fuorviante. Indipendentemente dalle intenzioni, esso inevitabilmente rimanda a entità a sé stanti che hanno il loro fondamento ultimo in un funzionamento separato innato.
La complementarità non è innata (spesso non funziona con conseguenze penose) e neppure la soddisfazione del desiderio (la frustrazione è sempre in agguato). Innato è il collegamento tra la soddisfazione del desiderio e la complementarità dei sessi. Ciò assegna alla relazione con l’altro e alla socializzazione della nostra esperienza un’importanza fondamentale.
Psichicamente non si nasce uomo o donna (lo si è soltanto da un punto di vista biologico) ma con una predisposizione bi-sessuale (che sorregge inconsciamente la nostra sessualità tutta la vita). Uomo o donna lo si diventa in seguito (è un processo che a volte produce dolorose discordanze tra corpo e psiche) e mai al di fuori della complementarità con l’oggetto desiderato (che sostituisce l’iniziale bi-sessualità trascrivendola come possibilità di incontro). Se costruiamo due oggetti distinti e separati e li chiamiamo «donna» e « uomo» e cerchiamo poi di farli relazionare tra di loro non ci capiamo più niente. Lo stesso accade quando parliamo del padre fuori dalla sua collocazione nel letto coniugale. Più in generale, non sono le relazioni di potere o di dominio che spiegano la relazione di desiderio: è la prospettiva opposta quella più funzionale.
Come fai a esprimere il tuo parere su quanto ho scritto se trascuri totalmente il mio riferimento al coinvolgimento (che non può proprio esistere al di fuori di una relazione complementare)? La violenza nei confronti della donna è difesa dal coinvolgimento, dall’elemento femminile del desiderio, dall’apertura al mondo. Non è l’unica forma di violenza che esiste nella società (della violenza ne muoiono più gli uomini a dire il vero) ma è la più allarmante perché è la più pericolosa sul piano della nostra sanità psichica e della sopravvivenza della nostra civiltà. Inoltre è all’origine di ogni violenza.
I motivi per cui il rigetto del coinvolgimento erotico assegna all’uomo il ruolo del carnefice e alla donna quello della vittima sono complessi (e in altre occasioni ho cercato di parlarne). La cosa importante è che la giusta difesa delle donne (che è la condizione sine qua non di ogni soluzione dell’enorme problema) non resti nel campo del «politically correct», e quindi della sola forma, ma diventi sostanza di un rivoluzionamento del nostro modo di concepire la relazione di desiderio, che è il fondamento della nostra esistenza. Essere morti viventi che uccidono è cosa ben più grave di essere uccisi ed essendo un uomo (maschio, come tu sottolinei), incapace di concepirmi indipendentemente dalla donna, ne sono molto preoccupato. Insomma non parlo come amico o fratello della donna ma come soggetto desiderante. L’amicizia o la fraternità prive del desiderio sono poca cosa. “
Prevedibilmente, è una faccenda di politicamente corretto. Ora. Che sul femminicidio e sulla violenza contro le donne siano state commesse enormi semplificazioni, mediatiche e non, è cosa che qui è stata ribadita fino alla nausea. Che il femminicidio sia stato cavalcato politicamente in chiave securitaria (si veda quanto detto sul famigerato DL), anche. Ma semplificare ulteriormente una problematica che rimanda alla formazione culturale degli individui, qualunque sia il loro sesso o genere o come si voglia chiamare, facendo polvere delle reali argomentazioni è inammissibile.
Quanto alla responsabilità del quotidiano. Mi chiedo se la difesa via twitter (non ne rispondiamo) sarebbe stata identica se la rubrica avesse riguardato il razzismo. La sostituzione della questione femminile con la questione razzista è sempre, come dice da anni Giovanna Cosenza, un ottima cartina di tornasole. Se lo chiedano e, se non costa fatica, rispondano.
Ecco. Meno male. Grazie Loredana.
Essere morti viventi che uccidono è cosa ben più grave di essere uccisi.
Mi sembra una frase chiave.
Io sarò sincera, probabilmente non ho capito niente di quanto sostenuto dal signor thanopulos.
Non ho studiato abbastanza e non riesco a superare tutti i livelli di lettura dell’articolo, sono gravemente ostacolata dal suo linguaggio.
Magari qualcuno vorrà spiegarmi la teoria della complementarietà legata al desiderio in una lingua accessibile a una semplice ragioniera. Non chiedo un parere, solo una traduzione, se possibile.
E’ difficile per me individuare e mettere a fuoco la “questione di genere”, perchè ho aperto gli occhi sulla cosa da poco tempo…quindi ammetto di considerare questo blog come un piccolo faro che mi indica la via.
A volte mi perdo lo stesso, sbaglio strada e mi schianto.
non infastidite il manifesto con domande pleonastiche, eddai.
Da che mondo è mondo, ne rispondono solo gli autori, degli articoli pubblicati. Quando mai la testata? A che serve una ‘linea editoriale’? Un direttore. Un caporedattore. L’articolo (per me indecente) l’ha commentato benissimo Loredana. Io mi scuso, mi fermo a ‘sono stato frainteso’. Sono giochini tristi, di scuola silviesca, che han stancato. Innescano una serie di rettifiche infinita, che sembrano (per me, sono) fatte apposta per far parlare di sè e del giornale.
Dopodiché, l’autore pubblica per Boria editore.
E per chi, sennò?
Patty
Patty@pensieroETICO
Posto qui quanto di getto ieri sera ho scritto su FB rivolgendomi all’autore perché sono più impulsiva di te e oggi leggendoti aggiungerei anche due righe su Il Manifesto: “pubblicare un contenuto, così come non pubblicare, non è un atto neutro… una volta si chiamava “linea editoriale”, era il frutto di una discussione collettiva e l’assunzione di un punto di vista responsabile… una volta si pubblicavano anche articoli non in linea con le idee del contenitore ma lo si “dichiarava” per aprire un dibattito o sollevare una questione… questa scelta di rimandare a chi scrive il peso di ciò che scrive facendo del contenitore un guscio vuoto… è una falsa libertà, direi di più “un vizio” appreso e ormai diffuso.
Maleparole di Sarantis Thanopulos
(grazie a Loredana Lipperini che ha diffuso)
Non c’è nulla da capire nella brodaglia.
Il mondo per questo signore si regge tutto sulla “complementarità tra i sessi”, necessaria e fatale come la forza di gravità terrestre e sul desiderio, tra uomo e donna ovviamente, che di quella complementarità è artefice e risultato insieme.
Oh non è un brodo qualunque questo pensiero che moltiplica le parole ribadendo il medesimo concetto; è che nel brodo annega il senso stesso: storico, civico, sociale e alla fine anche umano, dell’essere “persona”, ridotti tutti, uomini e donne, a sessi con pulsioni necessarie intorno alle quali tutto ruota: il cosmo e la storia.
E mentre le parole si gonfiano a costruire quest’impalcatura enfatica a me sembra di sentire mia nonna quando diceva a noi nipoti che la donna è la metà dell’uomo, così volle iddio, e pace sia. Ma mentre lo diceva, grande donna, lei rideva.
Se “l’intero edificio sociale si basa sulla complementarità dei sessi” che dire signor Sarantis Thanopulos forse sarebbe sano farlo crollare questo edificio viziato da millenni dall’amore romantico e dalla disparità dei salari… e se le sembrano cose inconciliabili dedichi tempo a letture serie sulla questione della differenza tra sessi e generi qui sul pianeta terra.
Io cercherei di parlar meno di uomini e di donne, o sessi e generi, e di scoprire un concetto più ardito di “persona” magari interrogando un omosessuale, uomo e donna, che potrebbe illuminarla su desideri e complementi d’altro genere.
E non mi rimetta ancora in circolo la storiella del metà maschile e femminile in ognuno/a di noi: lo sa che anche la psicanalisi è un’invenzione culturale, il prodotto di un’idea di Ordine che conviene e che anche il pensiero “scientifico” usa metafore delle quali poi si dimentica e le crede cose vere?
E non dico questo per convinzione veterocomunista, lo dico semplicemente perché sono una donna. Da una parte, la “sepolta viva” da qualunque Storia e, dall’altra, proprio per questo, “sopravvissuta”.
Quei poveri uomini che uccidendo una donna “sono ancora più devastati della vittima perché perdono l’oggetto del desiderio” (parole sue), sono un’immagine infelice per quelle donne uccise (l’oggetto distrutto) – che magari sono morte perché stufe d’essere quella “metà” e invece di vivere ancora come “complemento oggetto” hanno tentato, pagandolo in eccesso, l’autonomia del soggetto “persona”.
A volte sa è con questa autonomia o indipendenza o radicalità in se stessi che l’Altro non sa fare i conti. A volte anche l’Altra, è vero. Perché crescere per se stessi è difficile in un mondo che ti vuole con-vincere che hai senso solo se servi all’Altro, e magari ci credi pure e poi ti trovi in un legame del servire in cui non c’è parità né di desideri né di prestazioni.
Nella sua replica a una sana critica, scritta da un uomo – quindi un suo pari nella cerchia dei “mancanti” – lei ha espresso quasi con orgoglio la sua “incapacità di concepirsi indipendente dalla donna”, bene, qualcuno glielo dovrà pure dire, lo faccio io: dovrà guarire da solo da questa “mancanza” o “ferita” o “incompletezza” e ricalibrare con essa il concetto stesso di desiderio. Mi creda anch’io penso che il desiderio sia un motore dell’universo e per questo evito di limitarlo ai sessi.
Lei chiosa: “non parlo come amico o fratello della donna ma come soggetto desiderante. L’amicizia o la fraternità prive del desiderio sono poca cosa.”, mi creda, questa sentenza la fa sterzare dalle banalità precedenti ma la precipita in un’originalissima assenza di empatia.
Che mi fa trarre un respiro di sollievo: sono davvero felice di non considerarla un amico.
Buongiorno,
mi chiamo Matteo Bartocci e sono il responsabile dei social network del manifesto, oltre che caporedattore del quotidiano.
Intervengo volentieri su questo blog perché prima di discutere nel merito della rubrica di Thanopulos mi pare opportuno discutere del metodo. Altrimenti si generano le incomprensioni che una serie di tweet hanno scatenato ieri e che vanno fuori tema. Tweet per i quali mi scuso (ma i singoli follower non sempre seguono tutto il feed del manifesto per cui si provocano effetti collaterali di insulti e incomprensioni che, in gergo, si chiamano flame).
E’ noto che su twitter è impossibile discutere civilmente questioni complesse. E’ uno dei limiti più importanti di un social network altrimenti bellissimo e utilissimo. Semplicemente, non è lo strumento giusto per discutere. E’ come usare un cacciavite per scrivere un romanzo.
Per questo ieri immediatamente avevamo invitato tutte e tutti a rispondere e commentare sulla pagina facebook, aperta proprio per evitare che la discussione deragliasse su binari non corretti. Ci era parsa una norma di buona pratica di condivisione. Su twitter si scrivono 140 caratteri, su facebook o su questo blog invece si può ragionare più estesamente e più estesamente capire e confrontarsi, come mi pare stiamo facendo.
Il punto preliminare che vorrei condividere qui è questo. Questo post sul blog di Loredana Lipperini rappresenta il punto di vista dell’autrice o del gruppo Espresso, della direzione di Kataweb o di quella di Repubblica?
Ritengo, ma magari mi sbaglio, che questo post sia uno spazio personale dell’autrice e che pertanto esprime il suo punto di vista, secondo me prezioso, su un dato argomento da lei liberamente scelto e scritto.
La cosa importante da capire, prima di discutere nel merito, è che la rubrica di Thanopulos sul manifesto era la stessa cosa. Era, ed è, uno spazio messo a disposizione dell’autore per esprimere liberamente, ogni sabato, il suo punto di vista.
Respingerei, perciò, le critiche al “manifesto” in quanto tale, come un moloch indistinguibile in cui ogni frase pubblicata viene fatta risalire al giornale. Come questo blog, le rubriche sono uno spazio degli autori. Perciò le critiche, innanzitutto, vanno rivolte agli autori. Non a caso, è Thanopulos che ieri ha risposto al lettore nel testo che riportate estesamente.
Mi sembra di ricordare, magari mi sbaglio, che Kataweb, per esempio, non pubblicò un post controverso sul blog di Piergiorgio Odifreddi e ci fu una polemica sull’opportunità o meno di controllare ex ante le opinioni contenute nei post (a meno che non contengano insulti, etc., ovvio). Al manifesto riteniamo (e i nostri autori come Luisa Betti possono testimoniarlo) che i blog siano uno spazio libero. A differenza del giornale, cioè, sono spazi “individuali”. Se coincidessero totalmente con l’opinione del giornale la loro funzione verrebbe meno, sarebbero cioè commenti della direzione o del “collettivo” del manifesto. Non è così. Come questo blog, anche al manifesto esistono spazi di autonomia dei singoli che “scartano” rispetto al giornale. Non abbiamo intenzione di cambiare questa prassi.
Cosa abbiamo fatto noi “come giornale” di fronte alla rubrica di Thanopulos?
Abbiamo discusso molto, ovvio. Prima e dopo. Ma abbiamo deciso che censurare una rubrica sarebbe stato un prezzo troppo alto rispetto a pubblicarla accettandone le conseguenze. Abbiamo deciso di accogliere il giusto dibattito. Non per “provocazione” ma perché ci sembrava che gli argomenti così tranchant di Thanopulos, così alieni rispetto a quello che scriviamo sul giornale, fossero un elemento di dibattito civile, da condurre in modo duro e rigoroso anche a sinistra. Come dimostra la lettera di Luca Oddone che abbiamo pubblicato ieri, discutere civilmente è possibile. Non a caso abbiamo dato a quella lettera e alla risposta mezza pagina (delle 16) del quotidiano.
Nel merito delle affermazioni di Thanopulos, a mia conoscenza la totalità dei redattori e delle redattrici del manifesto che l’hanno discussa sono in sostanziale disaccordo. E magari interverremo sul giornale nel corso dei prossimi giorni.
Come giornale, seguiamo questo tema al massimo delle nostre capacità. Meglio (ci vuole poco) degli altri quotidiani italiani. Proprio oggi, per esempio, ospitiamo “sul giornale” (e di questo rispondiamo noi, non l’autrice) un articolo di Luisa Betti che critica la torsione securitaria del decreto “contro il femminicidio”.
Nessun atteggiamento pilatesco. Ma ritengo (riteniamo) che schiacciare il manifesto sulle posizioni dell’autore di una rubrica è improprio (lo stesso accade per le vignette, per esempio). E’ come se attribuissimo a Ezio Mauro o Eugenio Scalfari le posizioni espresse in questo blog. Non credo che sarebbe una critica centrata.
Spero se non di aver risposto, di aver contribuito in minima parte all’avvio del vostro dibattito. A risentirci.
Un caro saluto,
Matteo Bartocci
il manifesto
@ Giulia, provo a dirti qualcosa:
Thanopulos parte da un’altra prospettiva, ovvero non tanto quella culturale che conosciamo e che lègge la violenza come conseguenza di rapporti non paritari, basati sul dominio storico che si protrae fino a oggi nelle piccole esperienze, e che parla di generi; in certi casi ne parla un po’ credo anche a partire da una certa visione di “classe”. Ma appunto concentrandosi sul rapporto di complementarità tra uomo e donna, che non vede come due entità, come due generi, ma come due sviluppi psichici legati da questo desiderio dell’altro di cui parla. Un po’ come se ci fosse una rottura e un desiderio di ricongiungimento. Quando questo desiderio, questo coinvolgimento, non viene modulato o viene in questo caso rigettato come qualcosa da cui difendersi, allora c’è la violenza.
Io non conosco la teoria che sta dietro alle parole di Thanopulos, grossomodo ci leggo questo.
Come giornale, continueremo a pubblicare le lettere sul tema. E, se ne siamo in grado, a rispondere. L’indirizzo è lettere(chiocciola)ilmanifesto.it
MB
Permettimi, Matteo, di non considerare valido il parallelo. Questo blog è ospitato su una piattaforma, che è kataweb come potrebbe essere wordpress o qualunque altra. Non è “uno dei blog di Repubblica”. E’ il mio. Dal 2004. E, se hai la pazienza di sfogliare gli archivi, troverai posizioni che sono non poco distanti da quelle del quotidiano: quella sul NoTav in primo luogo. Sono io che decido cosa ospitare qui: quando apro ad altri interventi, mi assumo la responsabilità in prima persona di quei contenuti, insieme a quella di chi li ha scritti.
Detto questo. Sarebbe stato bello aver traccia di quel dissenso redazionale accanto alla rubrica, proprio perché nella medesima erano contenute affermazioni pesantissime. Ma sono lieta degli interventi venturi. E, naturalmente, accetto le scuse.
“Quando questo desiderio, questo coinvolgimento, non viene modulato o viene in questo caso rigettato come qualcosa da cui difendersi, allora c’è la violenza.” Come se la violenza scaturisse così, da sola, come una scintilla da due pietre sfregate. La violenza è agita dalle persone, c’è la volontà umana dietro ogni singola azione, e ci dovrebbe essere anche una assunzione di responsabilità. La violenza non “accade” inevitabilmente, la violenza si decide di agirla e sono le persone ad agirla, non i desideri. Tutti questi discorsi puntano solo a negare la responsabilità individuale di un atto violento, rendendo la violenza un qualcosa di etereo, che aleggia nell’aria e a volte -sfiga – si posa su una donna che malauguratamente muore. Dov’è la persona? Siamo creature prive di volontà, vittime di meccanismi “psicologici” che governano i nostri atti lasciandoci privi di qualsiasi possibilità di scelta? Eh no, siamo persone e in quanto tali siamo liberi di scegliere cosa fare e cosa non fare. La vogliamo questa libertà? Allora impariamo a pagarne il prezzo! Il prezzo è la responsabilità.
Comprendo la posizione de il manifesto (e di Bartocci) che mi pare il dibattito su questo intervento lo abbia anche promosso.
Ignoravo questa rubrica ma è ovvio che se c’è un rapporto di collaborazione l’intervento venga pubblicato.
Ribalto la questione: mi sorprendo che uno che collabora con il manifeso abbia posizioni simili.
Come ho già detto, credo sia anche una questione di linguaggio, di codici.
Insomma è la prospettiva psicoanalitica qui la questione.
Penso che il “dissenso redazionale” più che con una postilla a piè di pagina si misura nella faticosa composizione del giornale di ogni giorno. Su cui, converrete, di queste tesi non c’è traccia.
Su questi temi (femminicidio, etc.) come giornale, per esempio, qualche settimana fa (era il 23 agosto) abbiamo ospitato un bellissimo intervento di Stefano Ciccone che criticava la sinistra con argomenti molto sensati (e agghiaccianti): Quelli che a sinistra augurano lo stupro (http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130823/manip2pg/15/manip2pz/344862/). Oggi la cultura ospita un’intera pagina firmata da Alessandra Pigliaru. In politica c’è Luisa Betti. Negli esteri Giuliana Sgrena e altre si occupano da anni della questione femminile (maschile) in Tunisia o Algeria. Insomma non abbiamo un blog ma un giornale, cerchiamo perciò ogni giorno di comporre un mosaico molto complesso e stare sulla “palla” (quella che per noi è la “palla”, e la questione maschile sicuramente lo è, visto il sexgate etc.)
Non è semplice ragionare “bene” di questi argomenti. Chi ha avuto la pazienza (e la fortuna) di leggere altre rubriche di Thanopulos sa che contengono un punto di vista forte e mai banale, non da “psichiatra che scrive su un giornale” (ogni giornale ne ha uno), su molti argomenti: sul suicidio pubblico o privato di chi vive condizioni di povertà, per esempio, abbiamo pubblicato pezzi molto belli sia suoi che di Annamaria Rivera. Quando si legge un pezzo su Internet è naturale vederlo fuori dal contesto, come se fosse un indistinguibile e atemporale “pezzo del manifesto” e invece una rubrica su carta ha il suo spazio e il suo tempo propri.
Seguendo il lavoro quotidiano di un giornale, forse, molte incomprensioni (inevitabili per lo sguardo mordi e fuggi di Internet) si eviterebbero e, tutti insieme, faremmo qualche progresso in un campo che indubbiamente sta a cuore a tutte e tutti noi (almeno qui).
Matteo Bartocci
il manifesto
Grazie mille am!
Quindi, se ho ben capito, l’autore sostiene che la violenza non scaturisce dalla “disparità” sociale e culturale tra i sessi ma dalla “parità” che consegue alla complementarietà (che lui evidentemente dà per scontata…io no). Sostiene inoltre che tale complementarietà è strettamente legata al desiderio.
Mah.
Infine, liquida la questione più importante così:
I motivi per cui il rigetto del coinvolgimento erotico assegna all’uomo il ruolo del carnefice e alla donna quello della vittima sono complessi.
E in ogni caso, (dopo averlo ritwittato a nome del manifesto) ora condivido sulla pagina facebook del manifesto (http://www.facebook/ilmanifesto) questo post.
MB
Matteo, sai meglio di me, però, che anche in un contesto noto un articolo come questo non può essere assolto. Difatti, se fosse apparso su qualsivoglia altro giornale, la questione avrebbe avuto una rilevanza molto minore. Proprio perché conosciamo e apprezziamo il lavoro di Betti e altre e altri.
Quel che Thanopulos dimostra è quanto si sostiene da più parti e tempi lunghi: non basta essere arguti, nè colti, per cimentarsi con questioni dolorose come queste. Questioni che impongono di sporcare le proprie mani, e mettere in discussione se stessi, in primo luogo.
Una domanda per Matteo Bartocci, domanda che era già stata avanzata nel post, ma che è stata – mi pare – bellamente ignorata: se un vostro collaboratore avesse sostenuto che l’Olocausto è stato una violenza compiuta dai nazisti soprattutto su loro stessi mentre tra le vittime, tutto sommato, qualcuno è sopravvissuto, l’avreste pubblicato?
Se un vostro collaboratore avesse sostenuto che quelli del KKK, impiccando un afro-americano a un albero, stavano in realtà impiccando il loro oggetto di desiderio e quindi erano loro le vere vittime, l’avreste pubblicato?
Se un vostro collaboratore avesse sostenuto che le torture di Bolzaneto hanno fatto soffrire di più i torturatori dei torturati, e quindi le vere vittime sono i poliziotti e non i manifestanti, l’avreste pubblicato?
E per favore, non tiri in ballo paragoni impropri e cose simili.
@ Giulia, immagino che hai risposto a me. ( am sta per amused? )
credo di sì, per quanto non va oltre nel parlare di cosa ci sia dietro questo rifiuto del coinvolgimento, parla solo di paura di esporsi al desiderio dell’altro e di passione di appropriazione. Forse con questo intende dire, e dice che ne avrebbe parlato in altre parti, che nel versante maschile del desiderio c’è questo conflitto tra l’esporsi al desiderio altrui e l’appropriazione.
Direi poi che lui mette questa forma di violenza come scatenante di ogni altra violenza, e in questo magari neanche esclude una visione più politica, però vede la lettura di genere come di ostacolo alla comprensione di una continuità tra maschile e femminile, anche se poi parla di versante maschile. Su questo immagino che un solo articolo sia poco per capire cosa pensa.
@ ricciocorno schiattoso
guarda, per ciò che ho letto e studiato finora, non in maniera specialistica, parlare di libertà di scelta non ha davvero molto senso. Capisco che questo suona come una resa o una mancanza di assunzione di responsabilità, ma non è questo. La violenza accade in certe condizioni, in altre no. E ci sono molti studi sul fatto che oggi la violenza sia in declino, a proposito è uscito un libro di Steven Pinker. Ci sono anche studi sul comportamento delle scimmie antropomorfe che hanno nelle loro società diversi gradi di comportamento violento, proprio a seconda della differente struttura sociale e dei diversi legami che si sono evoluti.
mi chiedo come verrebbe trattata l’informazione su un fenomeno dilagante di omicidii di uomini da parte di donne.
perché se si parla di violenza sulle donne e femminicidio si può dire qualsiasi cosa, come se si parlasse del tempo?
non comprendo affatto la posizione del manifesto e concordo con chi dice che pubblicare un intervento del genere, senza prese di distanza o almeno distinguo da parte del giornale, ne ha di fatto legittimato il contenuto.
Tralasciando tutte le parle indegne del vostro, mi dovete spiegare perché si dà uguale peso a un blog e a un giornale quando ci si deve difendere da qualcosa d’indifendibile o lo si deve denunciare, e, invece, lo si liquida dicendo: è solo un blog”, quando si devono pagare gli autori e curatori. Inoltre, per intentare cause legali a un blogger lo si accusa, dicendo che TUTTI i commenti, anche quelli degli utenti, sono di sua responsabilità nonstante ci sia scritto a chiare lettere che ognuno è responsabile di ciò che scrive (vedi caso Linda Rando); ma per un giornale… be’… la storia è diversa. Le rubriche sono libere e non si può censurare, sia mai! Nonstante non sia scritto da nessuna parte che il giornale si dissocia dalle idee espresse, ma anzi… ehy, lettori, sveglia! Ci dovete arrivare da soli, non è difficle.
Non so cosa ho digitato per far uscire am, ma sì rispondevo a te!
Grazie di nuovo!
@Matteo Bartocci: Dunque in nome del pluralismo (si chiama così?) dell’infomazione, del rispetto e anche della curiosità nei confronti di punti di vista palesemente non condivisibili si può anche accettare di far circolare teorie di questo tipo? E solo perchè a scriverle è uno studioso, psicanalista, insomma uno che ritiene di poter (dover?) comunicare agli altri tutto ciò che gli passa per la testa?
Dopo le domande, un consiglio per il Manifesto: trovo che sarebbe una mossa molto furba, per voi, se cominciaste a pubblicare Massimo Fini. Sostiene le stesse idee di Thanopulos ma secondo me vi attirerebbe qualche lettore in più, anche per lo stile innegabilmente più mordace.
Caro Matteo,
Sono d’accordo con te che twitter non è il posto giusto per discutere questioni complesse. Però ti dico, approfittando di questo spazio, cos’è che mi aspettavo da voi. Primo, che prendeste – senza indugi – le distanze da questo signore. Scusami, ma se avesse detto che per uscire dalla presente crisi economica reintrodurre la schiavitù aiuterebbe, l’avreste fatto. Esagero, ma nemmeno tanto dato il livello delle castronerie scritte. Secondo, da lettrice, non essere trattata con arroganza e fastidio (per tua info, i #sveglia e “non è difficile” erano proprio rivolti a me). Io su Facebook non ci sono, non lo frequento, che devo fare? Proprio perchè costruire quotidianamente un giornale è impresa faticosa, io come lettrice vi segnalo cosa non va e lo faccio come gesto di civiltà, ma anche come gesto di “cura” nei vostri confronti. Nessuno è perfetto, ma secondo me in questo caso c’è stata superficialità ed arroganza, per carità il vostro giornale è molto altro e molto di più, però ecco. Peccato.
Non ho molto da aggiungere agli argomenti di Loredana e ai commenti fatti sopra. Però ci tengo ad esserci, perché in quanto uomo non posso assolutamente accettare un discorso come quello di Thanopulos. Oltre la cortina compiaciuta del linguaggio esoterico, costui mette in fila una serie di errori evidenti che svelano, tra l’altro, la sua scarsissima dimestichezza con il tema: attribuisce la chiamata in causa della genetica a persone che hanno sempre sottolineato la prevalenza della cultura sulla presunta “naturalità” di certi comportamenti; fa asserzioni del tutto apodittiche (in base a che cosa chi è “morto dentro” vive una condizione peggiore di chi subisce violenza?). Insomma, a voler essere buoni, questo signore ha scritto quello scadentissimo pezzo per pucciare la penna in un contenitore che di questi tempi garantisce attenzione e un ritorno di notorietà; ha avvolto il tutto nella cortina fumogena di un linguaggio sulfureo e fumoso per coprire la propria reale ignoranza e si è seduto ad aspettare il ritorno dell’operazione. Che c’è, purtroppo. Perché è vero, è difficilissimo non rispondere. Lo è per me, che in quanto uomo ritengo offensivo un tale tentativo di depistaggio rispetto ai problemi culturali con cui tutti, uomini e donne, dovremmo cercare di fare i conti.
Non mescoliamo due problemi che rimangono distinti.
Thanopulos ha detto la sua opinione e, a mio modesto parere per fortuna supportato da altri, è sbagliata nel merito e vagamente violenta nel metodo. Anche se il taglio, per forza di cose, dev’essere “divulgativo”, molte affermazioni andavano scritte in forma meno ‘tranchant’, a essere buoni.
Poi, c’è il problema sorto successivamente – diverso ma grave allo stesso modo – che sugli articoli che riguardano questioni di genere e che sono a dir poco illeggibili, “Il Manifesto” risponde ai lettori allo stesso modo de “Il Fatto Quotidiano”. Annàmo bene.
quindi al manifesto abbiamo barattato una dominijanni con un thanopulos. bell’affare.
“guarda, per ciò che ho letto e studiato finora, non in maniera specialistica, parlare di libertà di scelta non ha davvero molto senso”
Se la mia vita è governata da qualche “forza” che io ignoro (dovrò procurarmi una spada laser???) mi piacerebbe avere un po’ di bibliografia in merito.
Vorrei però citare qualcuno che in proposito ne sa più di me, il presidente della Società italiana di Psichiatria Caludio Mencacci: “Per frenare questi atti (la violenza contro le donne) occorre prendere misure precauzionali forti. Anche da parte della Legge. L’appello è non solo alle forze dell’ordine che devono essere messe in grado di intervenire, quando e laddove necessario, in termini protettivi, ma soprattutto ai Giudici quando si trovano a decidere se convalidare o meno un arresto per questi motivi. A loro chiediamo di essere severissimi e di applicare con maggiore attenzione i sistemi preventivi, abolendo le giustificazioni, anche di natura psicologica: si tratta nella maggior parte dei casi di un vero e proprio gesto aggressivo.” Uno psichiatra chiede di “abolire le giustificazioni di natura psicologica”. Lo ripeto, caso mai non fosse abbastanza chiaro. Riflettiamoci un po’ su…
condivido appieno l’indignazione per l’insulso argomentare del Thanatos (preferisco questo appellativo) che sono più propenso a ritenere un carneade qualunque che ha trovato spazio, purtroppo e chissà come e perché, in un giornale come il Manifesto, ma il cui unico scopo è quello di farsi pubblicità gratuita. Qualsiasi interpretazione seriosa infatti finisce con l’attribuire all’articolo un peso culturale di cui è totalmente privo.
@ ricciocorno. Premetto che le mie sono letture prese da testi divulgativi. La cosa migliore letta a proposito di libero arbitrio è questa, da Anelli nell’io di Douglas Hofstadter: “Potrei scegliere di non prendere una seconda porzione di pasta, anche se a me, o meglio, a una parte di me – non dispiacerebbe prenderne ancora un po’, perché c’è un’altra parte di me che non vuole che metta su peso, e si dà il caso che stasera la parte che tiene sotto controllo il peso ha più voti di quella golosa. se non li avesse, perderebbe, e il goloso che è in me vincerebbe, e andrebbe bene – ma in ogni caso la mia non-libera volontà trionferebbe, e io seguirei il desiderio predominante nel mio cervello. Sì, certo, prenderò una decisione, e lo farò con una sorta di votazione interiore. La conta dei voti darà un risultato e uno degli schieramenti ne uscirà vincitore. Ma cosa c’è di “libero” in tutto questo?”
Per il resto robe di scienza cognitiva. Ma non c’è nessuna forza misteriosa, solo che non c’è neanche un soggetto, un Io, un Sé eccetera, per quanto nella nostra attività cerebrale è compresa un’attività che chiamiamo autocosciente, per la quale noi siamo molto convinti di essere padroni di noi stessi.
http://www.homolaicus.com/scienza/materia_coscienza2_scienziati.htm
ci sono un sacco di riferimenti, poi un lungo pezzo di Pascale
http://www.ilpost.it/antoniopascale/2013/08/14/le-notti-tragiche-dagosto/
Poi per la tua chiosa, sono d’accordo, ma neanche Thanopulos cerca di giustificare, figuriamoci io.
@ Giulia
prego, poi chiaramente se qualcuno può aggiungere e magari correggermi ben venga
Concordo con Lorenzo che ci sono due questioni qui dentro, oltre a quelle di metodo di entrambe: una di merito contenutistico dell’ articolo, che e’ stata abbondantemente discussa qui e altrove. L’ altra di contesto e qui mi riallaccio con una domanda a Matteo, perché ha dato risposte che non mi sono chiare così insieme: insomma, dobbiamo contestualizzare o non contestualizzare? Se e’ una rubrica e il Manifesto si lava le mani dalla responsabilità, alla fine perché dovremmo tener conto delle altre voci del manifesto, rubriche o articoli che siano, nel valutare questa voce specifica? O e’ l’ una o e’ l’ altra. Se uno e’ lettore del manifesto si aspetta (soprattutto visto che si dice che ci sono state discussioni prima e dopo la pubblicazione) mezza parola di introduzione o di commento a un articolo che rappresenta la voce fuori dal coro che deve stimolare la discussione. Ma magari sono io che non ho capito.
Già altre persone hanno risposto in merito, ma anch’io mi accodo per dire che la risposta di Bartocci non è per nulla soddisfacente. Primo, per quanto Twitter sia un mezzo con tutti i suoi limiti, ci sono diversi modi per usarlo. Alcuni sono educati e consoni, altri sono maleducati e fuori luogo e alimentano proprio quei flame di cui Bartocci parla. Secondo, come hanno rilevato in molti, togliete la violenza di genere e mettete il razzismo, o l’olocausto, o la pedofilia, ed ecco che la soluzione diventa evidente: queste porcherie non si pubblicano. Che l’editoriale sia “ospitato” dal Manifesto è una cavolata grande come una casa. Forse solo Libero potrebbe “ospitare” cose del genere. Avete toccato un punto bassissimo della storia del giornale, con cui tra l’altro io collaboro da tempo e con piacere. Anche il fatto che se ne discuta qui invece che sui media legati al Manifesto non è un bel segnale.
Ultimamente il giornale aveva infilato altre perle, ricordo solo quella contro i divieti sul fumo (vietare il fumo in auto in presenza di donne incinta sarebbe “talebano” secondo il manifesto, bell’assist all’industria del tabacco). Una bella infusione di qualità giornalistica e attenzione politica è urgente…
Non regge. Mi spiace ma non regge.
Un blog all’interno di un giornale è uno spazio aperto ai collaboratori ma non un ente a se stante, altrimenti ognuno di quei collaboratori aprirebbe un proprio Blog.
Se dedico un’ala della mia casa agli ospiti, li scelgo, prima di tutto, a meno che non abbia messo su un bed&breakfast e acconsenti a far entrare chicchessia per questione di soldi.
Se sono così liberale da accogliere opinioni decisamente inappropriate e dissonanti con altre posizioni, più serie, accolte negli altri spazi, creo allora un cappello avvisando chi leggerà che la pubblicazione del testo sottostante ha suscitato non poche perplessità all’interno della redazione ma che ritenendo l’autore uno sano di mente e per molti altri interventi anche un promotore di idee, la redazione, il direttivo editoriale o chiunque decide di…
Troverei inappropriato lo stesso il senso dell’operazione ma troverei, come lettrice, più limpida la posizione del giornale.
Non regge. Pubblicare un articolo che poi “magari” lo stesso giornale invaliderà e contrasterà con articoli successivi?
Ma di cosa stiamo parlando?
Delle poche persone che leggono Il Manifesto penso che fortunatamente siano ancora meno quelle che si saranno soffermate a leggere (e ancor meno a capire) un articolo e una risposta scritti in modo così snobisticamente erudito (mi ricorda un po’ quando provai a leggere Luisa Muraro… impossibile!). Ma a parte tutto quel che è stato detto in post e commenti e su cui concordo, non per farla semplice ma penso che il nostro Thanapulos si sia “tradito” qui:
essendo un uomo (maschio, come tu sottolinei), incapace di concepirmi indipendentemente dalla donna, ne sono molto preoccupato. Insomma non parlo come amico o fratello della donna ma come soggetto desiderante. L’amicizia o la fraternità prive del desiderio sono poca cosa
Questa è la tipica lamentela dettata da paura di perdere la propria “posizione” o che ti venga sottratto il gioco, che capita di trovare, scritta in modo più semplice, su blog/forum del tipo “uomini beta” o simili, quegli uomini a cui fanno paura le donne che alzano un po’ la testa. Tra parentesi, in queste righe che ho citato vedo quello che porta a tanti femminicidi: l’incapacità di certi uomini di concepirsi indipendentemente dalla donna (o da quella che sentono come la “loro” donna), il sentire che il proprio desiderio non può ricevere un no.
Invece sull’argomento “pubblicazione” io penso che un giornale possa e debba ospitare, con responsabilità del singolo autore, interventi diversi; giornali autoritari/granitici in quanto a linea editoriale non mi piacciono, mi sembra giusto presentare idee diverse, che poi potranno essere contestate.
Mi è rimasta impressa una frase: “Nella sostanza danneggia più l’uomo che la donna perché l’uomo violento perde il suo oggetto del desiderio e subisce una deprivazione psichica devastante”.
E mi domando, quale danno subisce la psiche di una donna che perde la faccia sciolta dall’ acido? Davvero il carnefice soffre sempre più della vittima?
Credo che a volte la smania di esporre le proprie dorate teorie, la propria scintillante intelligenza, porti a convinzioni simili a quelle di un Heydrich, logicamente perfette e messe in atto in modo impeccabile.
Scriverò domani delle affermazioni cliniche del collega. Alcune non sono sbagliate, anche se un bel po’ riduttive. Io concordo sulla psicopatologia grave nella violenza di genere. Tutto sommato riscontro come tutti gli analisti una psicopatologia grave in tutti i crimini violenti, mentre una psicopatologia più blanda nei crimini meno violenti. Questo non esclude affatto il fatto che siano crimini, o che abbiano relazioni con la cultura che li performa. Dovrebbe essere un compito squisitamente nostro illuminare questo aggancio tra psichico e culturale. Certo chi ne ha i mezzi, che non mi pare il caso.
L’articolo per il suo estremismo, mi pare in linea con un certo stile del giornale. Non vedo problemi di coerenza
La questione come si stà affrontando in Italia in questo momento, comporta che ogni donna potrà denunciare un uomo anche e soprattutto falsamente e la condanna assicurata. Io ci vedo un ritorno al passato che ha portato alle tante regole di comportamento a cui le donne dovrebbero obbedire. Infatti gl uomini sono scemi e drezzoni ma, se se ne accorgono, allora verrano ripresentate le regole di prima ecchè sembrano appunto dimenticate nella loro ratio. Dispongo di un documento, il manuale di comportamento del poliziotto nella ricezione delle denunce per stalking, praticamente, incomincia così:” quando la donna entra”… e finisce :” quando l’uomo viene sentito, vi dirà addirittura di essere lui, la vittima”… La manipolazione femminile deve avere un limite!
Prima reazione istintiva — che posso elaborare piu’ razionalmente e pacatamente:
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Ma questi da dove vengono … certamente non sono prodotti del Big Bang … sono prima del big bang.
Se io domandassi a questo Thanopolous di creare una teoria / modello testabile, un concetto di (per esempio) “concreta materialità corporea” che si possa operazionalizzare, una metodologia di ricerca che possa aiutare a navigare, e una serie di ipotesi esaminare storicamente, ecco … soffocherebbe …
“La vittima predestinata dei maltrattamenti non è la sessualità, come afferma Thanopulos, ma banalmente la donna nella sua concreta materialità corporea e nella sua psiche.”
… Domaderei: cosa e’ la “non-materialita’ corporea della donna”;
… o “quale e’ la psiche della (LA) donna (proptotipo?);
… o “dove, e come, si determina la predestinazione dei maltrattementi corporei e psichici della donna;
… come estenderebbe questa “masturbazione mentale” (il Thanopulous) alle coppie gay – di ambo i sessi?
… non andiamo all’antropologia e sociologia — e biologia e etologia e … — comparate che del Thanopolous ne farebbero uno scempio, decidessero per un nanosendo di prenderlo sul serio, che sarebbe un grande psreco di tempo.
Ma si e’ letto? (non conosco chi sia!) Si e’ mai domandato che la logica richieded che se c’e’ una vittima predestinata … dovrebbe spiegare pure cosa / come sarebbe una vittima non-predestinata?
Poi, per chi se ne va a passeggio con la genetica, o per chi la nega (questi 2 coinvolti nell’articolo sono non-chalant) che non venga poi a ‘supportare’ … l’argomento vago e ambiguo — e asinino — con i dati ISTAT. Ecco questa del mettere assieme pseudo-genetica e pseudo antropologia culturale con i dati ISTA del 2006, e’ cretinaggine immane, nel senso piu’ puro.
Dai dati ISTAT (assumedo la loro validita’) non si ‘evince’ nulla … da nessun ‘dato’ si puo’ envicere qualcosa (e invece di evincere usa il termine corretto che sarebbe ‘induzione’) …
… Peggio passare da dati statistici di un campione di dati del 2006 a supportare / negare un’idea che si puo’ (o non puo’) relazionare alla genetica (sic!) … ecco, questo non e’ volo pindarico … e’ scemenza totale … ma come permettono di pubblicare roba come questa?
“semplicemente prendere atto, senza infingimenti, del fatto che sono soprattutto gli uomini a perpetrarla. Ne fanno fede i dati ISTAT del 2006 dai quali si evince –
Ernesto Rossi, scusa ma non ho capito se l’ ultima frase fa parte del manuale o e’ un pensiero tuo.
Interessante e plurimillenaria la discussione sulla libertà di scelta, negli ultimi due secoli aggiornata dalle scoperte scientifiche. Però la responsabilità individuale è il presupposto dell’esistenza dei tribunali, quindi, se decidiamo che non c’è, dobbiamo anche proporre di abolirli.
metto un piccolo passaggio dal libro di Pinker, sul declino della violenza: “le inclinazioni violente nella natura umana sono una risposta strategica alle circostanze esterne piuttosto che una risposta idraulica a una pulsione interiore”. Questo come descrizione generale. Il passaggio sulla libertà di scelta era solo per dire che parlare di “libertà” non è molto appropriato, ma non per dire che allora siamo robot o chissà cosa. E di certo questo non implica che non siamo responsabili di noi stessi. I tribunali poi, sono stata una risposta per governare la violenza.
Credo che tutti coloro che hanno letto prima i commenti, e poi l’articolo di theopolus, siano rimasti piuttosto delusi. Dopo aver sentito parlare di, scuse, indignazione, scandalo, , razzismo, bolzaneto, nazismo e ku kux clan .. a scorrere le righe del pezzo si resta davvero stupiti. Cosa ha scritto di così “grave il nostro psicanalista? Probabilmente, dico io, ha mostrato la verità, come nella fiaba del re nudo.
Credo sia stato questo a innervosire, e per questo non gli sono state risparmiate le altre (contraddittorie) critiche formali, quelle cioè di usare un linguaggio oscuro, e al tempo stesso tranchant. Più che il linguaggio a essere oscuro è la sostanza che è delicata, parole come “sesso o “desiderio, scorrono dalla commedia all’italiana, alle strutture profonde di ogniuno, per cui i fraintendimenti sono possibili , ma anche, con un po’ di onestà, superabili
Anche l’altra grave accusa imputata a theopolus, quella cioè di aver scandalosamente indicato l’uomo come vittima , direi che è pretestuosa e non rende onore alla sensibilità dei lettori di Lipperatura e del Manifesto. Se non siamo a uno show con Bonolis e Laurenti , penso che tutti gli altri possano comprendere come l’uomo che commette violenza è “morto, perché gli è preclusa la possibilità di amare e quindi quella di essere felice, senza contare poi che distrugge la propria vita affettiva, sociale, e che spesso l’epilogo è il suicidio. Non usiamo il bilancino davvero.
Ma insomma, queste sono quisquiglie lo scandalo, è quello di aver parlato di diversità e complementarità tra donna e uomo, un evidenza che ogni bambino sa indicare con il dito. Uomo e donna. Che ogni bambino sa indicare con il dito. Averlo letto una mattina, sul manifesto spero possa aver aperto gli occhi a qualcuno.
Ciao,k.
Linguaggio tutt’altro che oscuro, anche per i non addetti ai lavori.
Spunti di riflessione molto interessanti anche quando non condivisibili o molto discutibili.
Molto buono (e opportuno) l’attacco, dovrebbe essere sempre la premessa a certi tipi di ragionamenti.
E ovvietà totale, non certo cafonaggine nella risposta di chi cura l’account “le rubriche sono degli autori (che ne rispondono) e i pezzi sono del giornale. non è difficile”. Anzi, è ironica al punto giusto proprio per cercare di calmare chi è sempre sul piede di guerra e incline al facile sdegno.
casomai, @Maurizio, se proprio proprio eh …. , è più facile riempirsi la bocca di slogan e termini quali femminicidio e, da maschi, fare gli accorati e i solidali con le femmine, piuttosto che dire esattamente ciò che si pensa come l’autore di cui si sta parlando.
E sottolineo che non condivido diverse cose che costui ha scritto – soprattutto l’idea che la violenza del maschio danneggi più il maschio stesso che la donna!
“quindi al manifesto abbiamo barattato una dominijanni con un thanopulos. bell’affare”
trovo questa affermazione il commento più adatto alla questione.
e temo che questo sia solo uno dei pessimi affari fatti a il manifesto.
pur con tutti i suoi difetti e intemperanze che hanno allontanato molti giornalisti di grande pregio, il Manifesto rimane pur sempre un riferimento tra i più interessanti, almeno per me.
e il riferimento al baratto è proprio il commento meno adatto, dato che non c’entra niente e comunque dipende sempre dal punto di vista ….
Voglio poter osare dire che questo articolo è stato giustamente pubblicato.
Lo voglio sostenere perchè ad oggi nessuno era riuscito a rendermi chiaro da quale nocciolo germinasse in un uomo, la violenza nei confronti delle donne, e più nello specifico, della “propria” donna.
Nella risposta a Luca l’autore dell’articolo chiude sostenendo che: “non parlo come amico o fratello della donna, ma come soggetto desiderante”.
Il che mi fa dedurre che se uomo e donna sono complementari,per amor di logica, la donna debba essere all’interno di questa mentalità, l’oggetto del desiderio.
Il problema è che, per cognizione di causa, sono certa che le donne siano “soggetti desideranti” esattamente come gli uomini, ma a quanto pare questo aspetto della femminilità, non è culturalmente acquisito, nemmeno da menti istruite.
Per quanto mi riguarda, questa informazione è molto importante.
Del resto solo ascoltando un vero e colto maschilista, avremo la possibilità di dipanare il grumo nero della violenza maschile.
una link da meditare per Thanopulos
poi una certa distinzione tra vittime e carnefici e oggetti-soggetti desideranti meno banale …
grazie
http://www.agi.it/estero/notizie/201309101326-est-rt10154-asia_studio_choc_un_uomo_su_4_ha_violentato_una_donna