UNA QUESTIONE DI LIBERTA’: SULL’ESSERE VECCHIA

Sono stata assente, come preannunciato, per due settimane, e al commentarium tocca ancora pazientare un po’, perché da domani mattina sarò a Torino per Scuola Holden. Tornerò più stabilmente nella seconda metà di febbraio.
Se mi affaccio oggi sul blog è perché in questi giorni ho avuto modo di constatare che esiste da parte di alcune persone un risentimento, o quanto meno una disapprovazione, per come sto trascorrendo il primo anno della mia pensione. Mi pare di capire che l’idea generale della pensionata (declino al femminile non casualmente) sia quello della linda signora con la crocchia candida che si occupa dei nipotini (che non ho), inforna torte e, se proprio non riesce a sopprimere quelle velleità artistiche che l’hanno caratterizzata, scrive: naturalmente scrive libriccini autoriferiti, perché se un autore maschio scrive di mamma sua è un genio, se lo fa un’autrice femmina è ombelicale.
E’ vero, da fine giugno ho continuato a fare quello che facevo prima, più o meno: sono andata in giro per l’Italia a chiacchierare e insegnare, ho pubblicato un romanzo e l’ho presentato qua e là, ho registrato un podcast e, nelle ultime due settimane, ho accettato una collaborazione con la radio che mi ha fatta molto felice.
Ciò, sembra, è disdicevole: perché, così si dice e si scrive, chi ha già dato se ne deve andare, deve farsi da parte, deve lasciare il posto alle persone più giovani. Le stesse persone giovani cui quelli che pontificano non pensano affatto e che anzi, qualora si affaccino giustamente nei ruoli che spettano loro, vengono ferocemente criticate, e sicuramente non aiutate, e sicuramente non incoraggiate, perché da parte dei miei contestatori non ho mai visto l’ombra di qualcosa che si possa chiamare mentoring. Anzi. Anzi.
Permettetemi un po’ di storia recente.
Nel 2008 parte un concorso, si chiama Carta Bianca “C’è posto per me? Il nuovo che non avanza”, è promosso da Promocard e ADCI per “ sensibilizzare il pubblico sul problema di grande attualità relativo ai giovani e al loro ruolo nel mondo del lavoro”. Tra le campagne, ce n’è una dove si vedono le malinconiche insegne di una pensione: il titolo è  “Mandiamo in vacanza la vecchia classe dirigente”. Foto e didascalia sono firmate da copy e art di Saatchi&Saatchi e di Euro Rscg: “giocano – informa il comunicato stampa – sul doppio significato della parola “pensione”, intesa come termine dell’attività lavorativa, ma anche come luogo in cui soggiornare quando si è in vacanza”. In una seconda campagna, firmata da due creativi di Saatchi, è intitolata “Operazione Poltrone Libere”: mostra uno scheletro imprigionato in una poltrona. O, per usare le parole del comunicato, “un animale che a causa della scarsa inclinazione ad abbandonare i posti di potere si è tramutato in un fossile totalmente inadatto al comando”. Terza campagna, forse la più terribile, quella dei creativi di Cayenne. Si chiama “Ex voto” e si ispira, ovviamente, ai dipinti che si offrivano nelle chiese come offerta per una grazia ricevuta. Prima grazia: una limousine esplode e il guidatore muore fra le fiamme sotto l’occhio dell’Altissimo. Seconda grazia: un aereo si polverizza in un’esplosione mentre un cappello maschile svolazza nei cieli, subito al di sotto di un benedicente Gesù. Terza grazia: la Madonna allarga le braccia e una piovra stritola un uomo in bermuda. Nel cartiglio si legge: “per grazia ricevuta, i giovani dirigenti”.” L’unico modo per liberarsi da una gerontocrazia imperante è quello di chiedere una grazia al Signore”. Ovvero, uccidere i vecchi.

All’epoca, il  presidente dei geriatri italiani, Niccolò Marchionni, ricordò come non solo si fosse allungata la speranza di vita, ma anche quella di vita attiva e funzionalmente adeguata: “Chi vuole mandare via gli anziani dai posti di responsabilità sia sincero, dica i veri motivi, non si nasconda dietro la scienza medica”.
La questione, infatti,  è sociale e culturale, non biologica. Nasce in un momento di profonda crisi economica e occupazionale e necessita di un capro espiatorio che vada a coprire decenni di distrazioni politiche sull’occupazione e la valorizzazione dei giovani. E stiamo parlando di oltre dieci anni fa.
In questo tempo la donna pensionata ha avuto due raffigurazioni: la prima, esuberante, è quella  della vecchia che la mattina fa yoga sulla sedia dopo aver fatto colazione con il tè verde,  i cereali e una manciata di vitamine, e poi va a fare la spesa in un negozio biologico acquistando carissimi hamburger di soia, per poi lanciarsi entusiasta  in corsi di tango o persino di danza del ventre, al termine dei quali assistere alla presentazione di un libro (mai notato che quando si vuole fare del sarcasmo  si sottolinea che il pubblico è composto da “donne in menopausa”?), oppure organizzare uno spettacolo teatrale per la terza età, e magari progettare una crociera in Finlandia per simpatiche settantenni. E quella classica, quella che continua, spot dopo spot, ad ammaestrare le giovani sull’uso della candeggina, o, appunto, a fare la nonna. O consolare il compagno, come scriveva Guido Ceronetti nel 2009:

“La donna vecchia ha ancora forze sufficienti per consolare la vecchiaia dell’uomo vecchio. Non sono paragonabili le due solitudini. Chi ha avuto e perso una compagna amata è infelice allo stato puro. Portagli pure a casa la zuppa calda: potrebbe venire dallo Chef Premio Nobel più  ispirato, non ne scalfirebbe l’infelicità neppure per un minuto. Fin che può  la vecchia signora allontana la pena occupandosi della casa e di attività sociali; il vecchio gentleman mangia pane di ghiaccio solido. Se è colto, gli restano i libri; certamente non la televisione (vedi il romanzo breve di Simenon, Il Presidente, perfetta radiografia di una vecchiaia molto ricca e molto bene assistita)”.

Cosa voglio dire con tutto questo?
Semplicemente, che prima di incasellare qualcuna o qualcuno bisognerebbe pensarci su: sono la stessa persona che è stata debuttante nel mondo del lavoro (e che ha trovato i propri e le proprie mentori che hanno teso una mano, ascoltato, suggerito: cosa che io provo a fare tutti i giorni, mentre chi vive vomitando veleno sui social, sui giovani spara spesso e volentieri), precaria, neoassunta a 45 anni e infine, già, pensionata. Ma insieme non sono stata “la dipendente”: sono stata quella che scrive, parla, incontra, insegna, prova a riflettere insieme agli altri e alle altre. E, anche, scarta come un cavallo quando le capitano percorsi che non vuole fare.
Io sono quella che sono sempre stata, capelli indecorosi e vestitelli elfici inclusi: ho avuto il privilegio di poter fare un lavoro che amo senza l’ombra di un protettorato politico, familiare ed economico, e senza dover ringraziare altri se non chi è stato ed è compagno o compagna di strada, in mille modi possibili.
E resto quella che non ama il potere, ma ama, se mi si passa la retorica, la libertà di essere come sono.
Alla settimana prossima.

 

 

4 pensieri su “UNA QUESTIONE DI LIBERTA’: SULL’ESSERE VECCHIA

  1. “Neoassunta a 45 anni” hai accumulato il limite inferiore dell’anzianità contributiva, al momento della tua messa in quiescenza. Ti capisco, se ho ben compreso.

  2. Cara Signora Lipperini, continui a fare ciò che le fa piacere fare. Anche tornare talvolta a Radiotre dove ci sono giovani conduttrici che, oltre alla preparazione accademica, potrebbero certamente prendere da lei ispirazione e stile. E non faccia caso a chi scrive con invidia e rancore, ormai la gente sta nascosta e si sfoga così. Ed è molto triste. Spero di vederla e sentirla ovunque, finché ne avrà voglia. E sempre con un sorriso!

  3. Platone, Repubblica I, 328 e ss.:
    Socrate: “Caro Cefalo, provo davvero un grande piacere a discorrere con le persone molto anziane. Credo infatti che da loro ci si debba informare, in quanto ci hanno preceduti su una strada che forse anche a noi toccherà percorrere, come sia quella strada: se aspra e dura oppure facile e agevole. E appunto vorrei proprio sapere da te, poiché ormai sei giunto a quell’età che i poeti definiscono “sulla soglia estrema della vecchiaia”, che te ne pare: se è un momento difficile della vita, oppure tu che notizie ne riporti”.
    Cefalo: “Sì, per Zeus, ti dirò quel che a me ne pare, Socrate. Spesso infatti io e altri miei coetanei ci riuniamo, tenendo fede all’antico proverbio. Ebbene, in queste riunioni la maggior parte di noi si lamentano, rimpiangendo i piaceri della giovinezza e rievocando le gioie d’amore, le bevute, i banchetti e tutte le altre cose che si legano a queste, e si dolgono al pensiero di essere stati privati di grandi beni, e che allora vivevano bene, mentre quella di adesso non è neanche vita. Alcuni poi anche si lagnano delle offese dei familiari alla vecchiaia, e a questo aggiungono la solita lamentazione della vecchiaia come causa di tutti i loro mali. A me però pare, Socrate, che costoro non centrino la causa reale. […] Di tutti questi affanni e dei rapporti con i familiari una sola è la causa, Socrate, e non è la vecchiaia, ma il carattere delle persone: infatti se si è equilibrati e disponibili, anche la vecchiaia è moderatamente gravosa; se invece no, a una persona del genere è difficile tanto la vecchiaia quanto la gioventù”.

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