Shirley Jackson, nata a San Francisco nel 1916, morta nel Vermont nel 1965. è stata molto amata, poi dimenticata e ora riscoperta: il 12 ottobre è andata in onda su Netflix la serie tratta da L’incubo di Hill House, si sta lavorando a un biopic dove Elisabeth Moss (la protagonista del Racconto dell’ancella) la impersonerà, a maggio esce il film tratto da Abbiamo sempre vissuto nel castello e Adelphi sta per mandare in stampa La ragazza inquieta, dopo quel gioiello autunnale che è Paranoia.
Ma chi è Shirley Jackson? Una donna che contiene due persone: la casalinga e la scrittrice. Quelle due persone sono indissolubilmente e spesso tragicamente legate. Anche nei libri: dedicandole L’incendiaria, Stephen King disse di lei “non alza la voce, ma riesce a trasformare la grazia di una storia brillante nel nero più profondo”. Ironica e tenebrosa fu infatti Jackson, maestra del gotico e autrice arguta di memorie familiari. Non fu mai libera dalla scrittura né dalla famiglia: le sue storie nascevano cucinando biscotti, e spingendo il passeggino scrisse La Lotteria, e i suoi romanzi sgorgavano nel poco tempo rimasto dopo essersi occupata della famiglia. I figli crescevano nel ticchettio della sua macchina da scrivere, che si appaiava a quello prodotto dal padre, il critico letterario Stanley Edgar Hyman, che, raccontano, scriveva nello stesso studio di lei, come nella più desiderabile delle famiglie felici.
Sappiamo che non è così. Jackson fu figlia infelicissima (la madre la chiamava “aborto mancato”) e sposa di un uomo egoista e infedele, e di infelicità muore, a 48 anni, mentre schiaccia un sonnellino dopo pranzo, probabilmente per infarto, sicuramente per disperazione annegata in barbiturici contro l’ansia, anfetamine per perdere peso, alcool e sigarette per non sentirsi prigioniera del ruolo di Angelo della casa, quello stesso angelo che Alice Munro chiamava “l’ombra della donna ideale vittoriana, sacrificata, buona e pura” e che bisognava uccidere per scrivere. Invece, l’Angelo ha ucciso Shirley, così come le case stregate da cui era attratta finiscono con l’uccidere le sue eroine.
Diceva di sé: “La mia situazione è particolarmente toccante. Forse non triste come quella di un orfanello condannato a spazzare camini, ma quasi più triste di ogni altra cosa. Sono una scrittrice che, a causa di una serie di ingenui e inconsapevoli errori di giudizio, si ritrova con quattro figli e un marito, una casa di diciotto stanze senza una domestica, due alani, quattro gatti e – sempre che sia ancora vivo – un criceto”.
Due anni prima della sua morte Betty Friedan pubblicava “La mistica della femminilità”, dove scriveva che le voci delle donne che volevano qualcosa di più della casa e della famiglia non potevano più essere ignorate. Quell’appello sarà raccolto dai femminismi del 1968. Troppo tardi per Jackson, che in uno degli ultimi scritti prima di morire si immagina “sola” e “salva”: “Ci dev’essere un altro luogo, forse il luogo di una storia, per un libro felice. Una risata è possibile una risata è possibile una risata è possibile”.
Abbiamo scelto di leggerla e raccontarla domani su Radio3 alle 21, in diretta dalla sala A, proprio per questo, e per tutte le donne vissute troppo presto, o troppo tardi. Ci saranno Annalena Benini, Simona Vinci, le attrici delle Mitipretese. E, sì, vi aspettiamo.
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