UNA TOMBA COL TUO NOME: UNA VECCHIA STORIA

C’è un racconto di Ray Bradbury, The Scythe, dove un uomo riceve una terribile eredità che inizialmente non comprende: una falce, come da titolo, e un appezzamento dove il grano cresce in modo discontinuo, e soprattutto marcisce appena viene tagliato. In cambio, avrà casa, animali, cibo per la propria famiglia. L’uomo, dunque, falcia, e il grano ricresce, velocissimo, e marcisce, e ricresce. Ogni giorno. Infine, l’uomo capisce che ogni spiga tagliata è una vita, e che è lui a dovervi porre fine. E quando si troverà costretto a tagliare quelle di sua moglie e dei suoi figli, impazzisce e distrugge più spighe che può, verdi o mature non ha importanza. Allora, le bombe piovono su Londra e si accendono i forni di Belsen, e il grano cade in una pioggia di lacrime. Ma lui non si ferma.
The Scythe mi torna in mente pensando all’odio e a quanto le associazioni cosiddette pro-life ne abbiano sputato tanto sulle donne che decidono se e come e quando essere madri. La vicenda del cimitero dei feti, denunciata su Facebook, non è affatto nuova. Certo, non a tutte è accaduto l’orrore toccato in sorte a Marta Loi, che dopo un aborto terapeutico si è trovata di fronte a una tomba con il suo nome, a sua insaputa. Ma accade da anni e anni, e accade in una tempesta di condanna nei confronti delle assassine (fatevi un giro sulle bacheche degli antiabortisti).  Giù la falce, colpisci e attacca, usando sangue e lacrime per i propri fini.
Jennifer Guerra ha ricostruito per The Vision la mappa dei Giardini degli Angeli, come vengono chiamati. Sull’Espresso c’è un lungo articolo che spiega come le associazioni pro-life abbiano lavorato da anni in questo senso. No-Choice, per meglio dire, perché qui si sta parlando del diritto di scelta delle donne, che devono poter decidere senza ritrovarsi una croce col proprio nome davanti come nell’horror più convenzionale. Nel 2013, ricordo bene, scoppiò una tempesta su un commento di Lidia Ravera che riguardava non la scelta dei genitori di seppellire un feto, ma la violenza dei movimenti che fingono di supportare quei genitori chiedendo cimiteri dei non nati. Bastò quella considerazione per scatenare i Luca Volonté, le Olimpia Tarzia, i Movimenti e i singoli fanatici. Un tempo usavano i manifesti e i volantini, e bambolotti coperti di vernice rossa da tirare addosso alle donne che vanno nei consultori, o da mostrare a chi ha abortito, e ora usano la rete, che è più veloce ed efficace. Postano fotografie di feti fatti a pezzi, un piedino di qua, la testa staccata dal corpo di là. Usano come avatar il profilo di un bambino morto. Ti sbattono in faccia sangue e orrore, e urlano. Quanto urlano, i Luca Volonté, le Olimpie Tarzia, i Movimenti per la vita, coloro che sembrano parlarti appunto di vita, e invece grondano violenza da ogni sillaba. Calano la falce, e la fanno sanguinare. Dai, un braccino, guarda bene, un piede, guarda questa testolina decapitata. Lo fanno. Non serve segnalarli. I social rimuovono le tette e non un feto in pezzi. Dunque continuano, in nome di Dio. Un Dio che immagino sgomento, se esiste. Non credo che nessuna religione al mondo possa giustificare tutto questo. Nessuna, a meno che ci sia non la fede dietro, ma un’oscuro desiderio di annientamento altrui, la voglia pruriginosa di sentirsi, attraverso l’orrore, i giusti che purificano il mondo nelle fiamme.
La scelta. Se si desidera seppellire un bambino nato morto, è sempre stato possibile. Io l’ho fatto, per esempio, senza alcun problema, due volte, nei lontani 1985 e 1986. Che vada o meno a trovarli è faccenda mia. Ma non ho incontrato difficoltà, non c’è stato alcun bisogno di condurre battaglie, come alcuni di costoro sostengono. E, ripeto, questa faccenda va avanti da anni e anni, è una battaglia strisciante e sanguinosa che non tutela il dolore dei genitori ma lo usa, nell’ambito di una guerra più grande che è quella contro la possibilità di interrompere la gravidanza.
Siamo ancora così,  a sentirci mostri, quando i mostri sono altri. Non quelli che credono. Quelli che usano la fede come una falce, e la calano.

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