“Hari Seldon lasciò dietro di sé la Seconda Fondazione perché mantenesse, migliorasse, estendesse il suo lavoro. Questo si sapeva negli ultimi cinquant’anni o è stato supposto. Ma dove avrebbe potuto adempiere la sua funzione in modo migliore?”
Non è del tutto vero che l’acrimonia, anzi, l’apertissima ostilità verso gli intellettuali, i plurilaureati e i detentori di uno straccio di conoscenza sia una faccenda recente. E’, grossomodo, sempre stato così, a cicli più o meno lunghi. La differenza è che, al momento, possiamo essere consapevoli di quell’odio, leggerlo quotidianamente sui social, cercarne le ragioni, che non sono sempre facili da trovare. E, soprattutto, renderci conto che è la funzione stessa del detentore di saperi – per quanto sempre fragili e perfettibili – che viene respinta.
Negli ultimi due giorni si è toccato con mano che per quanto la storia dimostri che i Protocolli dei Savi di Sion sono falsi, come è noto da circa un secolo, basta che un rappresentante dei cittadini dica che sono veri perché molti, moltissimi altri ribattano che, sì, sono verissimi. Possiamo esibire tutte le prove scientifiche che vogliamo: non ci crederanno, come ho provato a dire qui, ieri sera. Se sono convinti che il bicchiere che hanno davanti è una rana, non basterà invitarli a toccare il bicchiere, a fotografarlo, a guardarlo: diranno che è una rana, e che stai mettendo in atto un trucco, un’illusione, per costringerli a dire che è un bicchiere. Esattamente come, non molto tempo fa, qualcuno ha asserito che l’immondizia di Roma è un trucco di photoshop per screditare la sindaca.
Qui non è neanche più questione di élites, come sosteneva Alessandro Baricco qualche giorno fa: è questione di principio di realtà che viene meno. La letteratura si giova sempre della fluttuazione di quel principio: ma è letteratura, e dunque mente per definizione, e per fortuna. La realtà dovrebbe essere altra faccenda.
Dunque, qual è la strategia? Al momento, temo che ce ne sia una sola: il tempo. La storia utile di oggi riguarda Isaac Asimov e il suo Ciclo delle fondazioni. Com’è noto, nella saga letteraria ne esistono due: la Prima è stata fondata dallo psicostoriografo Hari Seldon per preservare i saperi esistenti e per fronteggiare le crisi che la galassia avrebbe dovuto affrontare. Poi ce n’è un’altra, la Seconda, creata per supportare segretamente la Prima. Quando, grazie alla Seconda Fondazione, il nemico imprevisto viene sconfitto, la Prima si sentirà in pericolo per l’esistenza stessa della Seconda, che le è intellettualmente superiore, e cercherà di distruggerla.
Non rivelo cosa accada davvero nel finale di quella che originariamente era una trilogia (nel caso, è ne L’altra faccia della spirale): basti sapere che per conservare l’equilibro dell’universo i membri della Seconda Fondazione hanno continuato a vigilare, a riflettere, a studiare, nella loro sede segreta.
Non dico che bisogna tacere e nascondersi. Ma che bisogna ritrovare le forze e la lucidità per parlare quando sarà nuovamente possibile farlo. Ora, temo stia diventando non solo pericoloso (e ci starebbe), ma persino inutile. Neanche al Primo Oratore, oggi, crederebbe nessuno.
“Ricordati che la popolazione di Terminus aveva, nei nostri riguardi, un’attitudine bivalente. Odiavano ed invidiavano la nostra supposta superiorità, tuttavia contavano sulla nostra protezione”.