VENERDI' 17

Letture di un giorno in cui l’umore (quello della vostra eccetera) non è ai massimi storici.
Intanto, un libro assai pregevole su cui tornerò:Il bravo figlio di Vittorio Bongiorno.
Quindi, l’ultimo Eddie Bunker, Stark.
Nel mentre, il lungo articolo di Roberto Saviano per L’Espresso. Stralcio:

È questo, qui e altrove, che rende la ferocia un arnese del
successo. È questo ciò che viene occultato quando si usano ancora
parole come ‘plebe’, ‘lazzari’ o ‘subculture’. Si parla di
subculture, ma la musica dei neomelodici viene ascoltata in tutto
il Mezzogiorno, anzi in tutta Italia, e alcune delle loro canzoni,
tra cui quelle scritte da Lovigino Giuliano, il boss di Forcella,
entrano nella hit parade, rimbalzano nei villaggi turistici,
finiscono in tv come se fossero esistite da sempre e per tutti.
Plebe è parola che tiene a distanza, che esprime il rifiuto di
annusare, di fissare da vicino qual è la forza, la logica, ma anche
le contraddizioni, le vulnerabilità, le violente trasformazioni che
subiscono coloro che si trovano così definiti, parola che la
letteratura per istinto vitale rigetta come chi non vuole farsi
curare la febbre coi salassi. Plebe perché sembra impossibile che
le gang che fanno rapine siano altro che una forza oscura che
contamina la città con la paura e la ferocia, perché sembra
impossibile che la contaminazione non conosca limiti di classe,
perché sembra molto più rassicurante individuare una direzione
unica del contagio in corso. Ma quando i boss scrivono libri,
discettano di psicoanalisi, investono in opere d’arte, quando fanno
crescere nuove leve istruite alle università, quando si dimostrano
capaci di gestioni e investimenti sofisticati, di strategie
economiche lanciate su scala mondiale, come è possibile non vedere
che sono altro di quel che è sempre stato, non accorgersi che la
loro vittoria in queste e simili terre ha un peso e una forza
d’attrazione quasi irresistibile?

17 pensieri su “VENERDI' 17

  1. Più leggo Saviano e più mi convinco che la letteratura sostituisce ciò che la politica non è più in grado di fare. Questo per me è un male, direi un male doppio. È male per la politica, incapace di stare sulle cose per modificarle. Ed è male per la letteratura, che viene così a perdere la sua specificità di “arte in forma di parole”. E poi il tono di Saviano, diciamo la sua particolare “intonazione”, sta virando troppo verso il sacerdotale. Anche questo è un male. Rischia di perdere la sua forza comunicativa; il suo dire diventa una sorta di litania dove il senso è annullato dall’incedere salmodiante del dettato. È come se il livello informativo venisse annacquato dall’andamento oracolare. Mi dispiace, perché una voce significativa come quella di Saviano rischia di restare intrappolata nel “personaggio” …
    Marco P.

  2. credo che con questo pezzo saviano ha dato sfogo alla sua rabbia, alla sua sensazione di solitudine dentro un gioco molto pericoloso,ha alzato il tiro,ha messo davanti alle proprie responsabilità la politica italiana cialtrona e provinciale.Bravo Roberto continua sei sanguigno non ti smentisci,siamo tutti con te devi continuare a mordere la realtà,oramai con te siamo tantissimi.Michele

  3. Non solo il bravo saviano vira verso il sacerdotale ma dei boss psicoanalisti o esperti d’arte fa una cifra che, egli stesso dovrebbe saperlo meglio di noi, non è rappresentativa altro che di se stessa (non fosse che per ragioni numeriche); e sbagliare gli esempi, in un ragionamento argomentativo, non è mai un buon segno

  4. Ieri avevo linkato questa breve/acuta recensione a GOMORRA http://www.wordpress.com , ma il mio commento è sparito. Penso sia stato un inconveniente tecnico, e perciò riprovo
    La digressione è nata come lettera di nobiltà della narrativa socialeggiante: digressioni fa Disraeli nella Sybil, dove mette a frutto la sua esperienza di politico, digressioni disordinatissime fa Sue nei Misteri di Parigi, stupende digressioni (prima fra tutte quella sulle fogne di Parigi) fa Hugo nei Miserabili. Tutti modelli che Saviano sembra avere presenti più che Stajano e la Cederna, o tutta una serie di scrittori-giornalisti di scuola anglosassone nei cui lavori mancano intenti letterarii. Solo, Saviano non sembra essere in grado di inventare quanto, proprio, di rielaborare quello che ha appreso dai giornali, dai libri e dalle carte processuali; ed è proprio nel riproporre, con tensione espressionistica più che con ‘passione civile’, questi materiali preassunti la sua più grande abilità. Non ha grandissima tempra di narratore, se non per quanto riguarda i singoli episodii, che tinteggia con paste acerrime, pari a un piccolo, valoroso Guerrazzi guappone, mentre l’organizzazione del testo come una ‘nebulosa’ di diversi fatti ricorda assai il Mastriani sociale dei Misteri di Napoli. Insomma, è come se il materiale digressivo si fosse portato via una fetta consistente del romanzo, sbilanciandolo verso qualcosa che sembra per larghi tratti un saggio e non è. Detto altrimenti, è il romanzo di un romanziere che ha colto nella violenza camorristica un fatto letterario – e lo sforzo di documentazione ha una sua economia persino nell’estetica di questo genere narrativo. Il risultato cade così tra il “barocco” di Gadda o Manganelli e un film di Pasquale Squitieri, fotografia sgranata, crasso, lutulento, splancnico.

  5. Questo è proprio un venerdì 17
    Ho scoperto che ieri nella Gomorra Legale hanno approvato la Bolkenstain.
    per chi si fosse assentato dalla realtà per qualche tempo un piccolo aiuto:
    http://www.italia.attac.org/spip/article.php3?id_article=1420
    Le due Gomorre, quella alta (delle scuole di economia e dei predatori con tre quarti di nobiltà economica, nessuno scrupolo, qualche buona maniera e le mani pulite dentro i peggiori affari sporchi) e quella bassa (delle Gomorre della terra e dei suoi predatori con nessun grado di nobiltà, ma in rapida ascesa come nuovi ‘arrivati’ ancorchè a colpi di pistola e con alto tasso di mortalità) sono sempre più vicine, complementari, fuse in un unico scopo: il profitto.
    ieri sono riuscita a vedere The Corporation, il film canadese che illustra
    bene la struttura delle Corporation(s), delle loro patologie, del loro potere,
    del loro agire.
    Molte cose le sapevo, altre le immaginavo, di troppe ho avuto conferma.
    Ero incazzata nera.
    Eppure era tutto legale, dagli ormoni che ti bevi con il latte alle sementi
    che non puoi ripiantare, agli inquinamenti ambientali che non puoi risanare,
    all’autompiacimento dei ‘predatori’ che si occupano di gestire tutto questo,
    in maniera legale e illegale, ma tutto nel sacro nome del profitto che ogni
    cosa sana, redime e che non può essere messo in discussione.
    Ah, sì.
    Gomorra non è una Corporation, Gomorra è Gomorra, il luogo in cui le
    Corporation ‘dei poveri’ (non in termini di soldi, nevvero, ma come metodi e territori e manovalanza) si esercitano, con i loro squali, predatori locali,
    con la ferocia concessa da un territorio in cui le strutture sono state corrotte.
    L’unico problema è che non sono legali.
    I loro leader o assassini potrebbero altrimenti sedere in consigli di
    amministrazione e discettare nei breack di Lacan (per il momento si devono accontentare di disquisire di psicoanalisi a Terzo Mondo). Potrebbero anche fare
    sfoggio di una certa cortesia e offrire caffè e cioccolattini ai contestatori,
    salvo poi fare fuori in serata due o tre concorrenti o rivali.
    I direttori delle Corporations di solito non fanno queste cose (offrono solo il te come in The Corporation, i cadaveri sporcano, contessa).
    A bombardare interi paesi in nome delle banane o della canna da zucchero ci
    pensano altri. Ad amministrare fabbriche di lavoro infantile o
    altamente inquinanti le piccole e orrende ‘corporation dei poveri’ di ogni
    dove.
    Sostanzialmente a essere in conflitto con queste realtà vincenti, dominanti e
    quindi ‘giuste ‘ (a tenore dei valori che tengono in piedi il
    nostro modello di vita) sono gli idealisti che si ostinano con la legalità, i
    diritti, l’ambiente o ‘una vita decente per tutti’.
    A stare con gli idealisti non si vince niente, non si è
    efficienti, non si fanno soldi, non si rampa per nessuna scala o success. In poche parole, in questo universo che abitiamo, costoro sono i ‘perdenti’.
    Come possiamo spiegare alle migliaia di studenti delle facoltù di economia e
    commercio, per i quali il profitto è Dio, che al mondo ci sono anche relazioni umane, ambiente, ozio e quant’altro?
    Conoscono la monocultura dei soldi e se la desertificazione è necessaria al
    profitto immediato, desertificano (umanamente e ambientalmente).
    Come possiamo spiegare ai ragazzini cresciuti nel mito della Robba di marca
    e nei miti di potere televisivi o locali che potrebbero fare una vita di grigio lavoro, non comprarsi il motorino e faticare ad arrivare a fine mese?
    Perchè dovrebbero avere meno aspirazioni di un predatore laureato in economia?
    perchè dovrebbero rinunciare a essere i predatori del loro territorio di
    povertà?
    Le mie sono osservazioni provocatorie, ma non sono volte a giustificare
    Gomorre o mafie passando attraverso l’esistenza legale delle Corporation.
    All’opposto la mia vuole essere una condanna delle Corporation e di tutto
    quello che le sostiene e di cui si sostengono (WTO, Gats, Bolkenstain, leggi nazionali e via legalmente gomorrizzando) prendendo atto della loro vera essenza che attraverso i loro ‘parenti poveri’ (non meno esecrabili e condannabili) in vesti da ‘Gomorra traspare, comanda, spara e uccide benissimo non solo i corpi.

  6. la recensione a “Gomorra” ho ricavato da
    anfiosso.wordpress.com
    (il recensore pseudonimo è anche autore della notevolissima e recentissima voce “Mastriani” di Wikipedia – che poi è un altro modo per parlare della stessa cosa)

  7. Purtroppo, la legittima e sacrosanta cacciata da Nazione Indiana ci ha regalato un profugo di cui avremmo fatto volentieri a meno. Funziona che un blog si libera della propria immondizia gettandola nel cortile accanto.

  8. *Sindrome Nimby – dall’inglese Not In My Back Yard. Per alcuni si tratta di una iattura; per altri del risveglio della partecipazione.* Mi pare si tratti di una sindrome terrestre, ossia da spazio finito: dove lo spazio è infinito, non dovrebbe aver ragione di essere. E comunque, penso si possa dire ch’è giusto e doveroso distingure l’autore dal testo, come il contenuto dallo stile ecc. Faccio l’esempio mio: sono in contatto con Saviano come rappresentante-genitori dell’Istituto Virgilio di Milano, dove tutti gli studenti delle quinte quest’estate hanno letto Gomorra (e io con loro), per farlo venire qui a discutere di camorra (come l’anno scorso i ragazzi di Locri di ‘ndrangheta). Quale ricercatore di storia della filosofia invece, o anche quale semplice lettore, affronto anche i problemi dello stile, in generale e nella fattispecie. Da questo punto di vista, la minirecensione che ho recuperato in rete è quanto di più profondo, o di meno superficiale, ho trovato. Pleonastico dire che mi trova più d’accordo che no. Fosse in me, mi concentrerei sul brano dove Saviano narra la sua visita alla tomba di Pasolini. Essendo stato io in passato un assiduo frequentatore della tomba a Casarsa, mi sentirei di dire qualcosa.

  9. “C’è spazio per tutti” è spesso la frase di chi vuole occupare tutto con prepotenza. Il comportamento che hai tenuto su NI è stato vergognoso, e temo farai lo stesso anche qui.

  10. insisto: in rete uno non può occupare TUTTO, a meno che non sia dio o il grande fratello. personalmente, in rete faccio come decenni fa a benares: quando rincasavo a notte fonda e in corridoio trovavo dozzine di vacche più o meno sacre, scavalcavo con morbido fruscio di pelopelle, e andavo al sodo (lettodonna che fosse). insomma, non mi disturbavano, erano diventate parte del paesaggio (certo non mi fermavo a legger loro negli occhi…)
    Nimby parla di NI come di un Eden da cui un non domo adamo sarebbe stato cacciato: ma dev’essere una proiezione assai singolare, stante che nei più l’impressione era ed è di una Babele. Sed de guastibus…

  11. db, invece di rincasare prova ad andare in giro a cercare esseri umani con cui relazionarti in uno dei tanti modi possibili o immaginabili, così non ti ritrovi da solo a farti le seghe sulla tastiera
    sai, bisogna che qualcuno te lo dica: il tuo resoconto su chi sei e perché ti occupi di Gomorra scartavetrando i maroni all’universo-mondo sembra la brutta copia dell’apologo di Francesco Nuti in “Io Chiara e lo Scuro”, che era la copia dell’apologo di Paul Newman: la copia di una copia di una copia non è un bel lasciare un ricordo alla figliolanza, pensaci…

  12. Loredana Cara,
    non c’è alcun dubbio che a Roberto Saviano si debba concedere una buona serie di attenuanti che riguardano la sua attuale condizione di persona in pericolo e sottoposta a controlli stressanti per garantirgli un minimo di sicurezza.
    Però nell’articolo dell’Espresso c’è più di un rischio. Uno, date le mie origini, lo vedo grande come una casa.
    Che Saviano finisca per fare il napoletano di professione. Che non è un insulto: si diceva una volta che chi nasce a Napoli e scrive, subisce una maledizione, che di Napoli DEVE parlare.
    Ma qui c’è di più.
    Saviano ha scritto un libro grandissimo proprio avendo in mente questa immersione pasoliniana (e lo racconta nel libro medesimo) nell’oggetto del suo narrare.
    Io spero che lui sia talmente grande e genio da riuscire a staccarsi da questa sua operazione che non è letteraria o di mercato, ma di vita, e quindi ancor piu’ difficilmente rinnegabile.
    Se non lo fara’, gli succederanno da subito due cose: che non riuscira’ a vedere il suo oggetto dall’esterno, e non capira’ chi dall’esterno parla, un esterno esiste sempre e va ascoltato.
    E diventerà, da Pasolini che e’ oggi, un retore della Napoletanita’ come professione.
    Non glielo auguro, non ce lo auguro.

  13. Esiste il losangeleno di professione ?
    Quindici anni fa, il sociologo-urbanista Mike Davies con “Città di Quarzo”, raccontò il futuro prossimo delle nostre metropoli, tutte, attraverso la narrazione-analisi della cosiddetta “rivolta di los angeles”, la città dove vive, seguita all’impunità del pestaggio di R. King da parte del LAPD. Quel testo oggi ci parla di Parigi, Marsiglia, Lione e le “temibili banlieues”, come di Lagos, S.Paolo, Johannesburg e via così…
    E’ vero, molteplici sono le maledizioni che gravano sul napoletano, ed è difficile fuggirne, qualsiasi scelta si faccia. Se si sta zitti, è il Silenzio. Se si urla, è la Parola. Se ci si immerge, e ci si immerda, è il Contagio. Se si va via, è il Non Puoi Parlare.
    Io sono nato lì, ci ho vissuto metà dell’esistenza. Scrivo, per fortuna insieme ad altri. Ogni tanto Napoli entra nelle mie narrazioni, ma delle origini me ne fotto. Il mio campo da gioco è il mondo. Lo ripeto, con una certa ossessione, il problema non è Napoli, che è lì sotto gli occhi di tutti, ma Aberdeen. Perchè lì quei signori, diciamo così, “hanno fatto solo del bene”. Hanno portato soldi buoni, freschi. Tanti. Hanno contribuito in maniera determinante al suo rinnovamento. L’hanno resa “very swingin'”. Mica ammazzano, sparano, terrorizzano. Lì.
    Come si fa a diventare stramiliardari a trent’anni? O inventi google o fai il “sistema”. Poi ti trasferisci a Londra, ti compri il Chelsea e sei il più figo del mondo. Tutti ti chiedono, con la lingua nel culo, di venire a investire a casa loro.
    L’avete visto, ieri sera il reportage di B. Iovene per Report? Toccherà anche a lui, e alla Gabbanelli, una scorta? Lo avete visto Bassolino? E la non-Moratti?
    Campania, Lazio, Emilia, Lombardia. I soldi ci sono o non ci sono nel paese dei cachi?
    wm3

  14. Gentile Lipperini, lei ha dato qui sopra lo stop a un diverbio che non prometteva affatto bene tra uno pseudonimo e me. Spero che il suo stop fosse diretto all’imbecillità del troll, ché quanto alla recensione di Gomorra che segnalavo in http://www.ubicue.splinder.com , è così peregrina da trovare clamorosa conferma in Renzo Paris su Liberazione: “chi più neorealista di Saviano, che anzi ricorda uno scrittore napoletano dell’Ottocento, Francesco Mastriani?” Grazie dell’ospitalità.
    http://www.liberazione.it/giornale/061110/LB12D683.asp

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