VIRGINIA WOOLF ALLE GIOVANI: PREPARARE IL RITORNO DI JUDITH SHAKESPEARE

La mattina dopo la dodicesima notte, non poteva non essere questo il discorso ai giovani. Alle giovani, nel caso, perché questo estratto nasce dalle conferenze che Virginia Woolf tenne nel 1928 nei college femminili di Newnham e Girton, e che confluirono in “Una stanza tutta per sé”. Chi dovrebbe leggerlo? Tutte e tutti, naturalmente. Magari, soprattutto, le donne non giovani che sono entrate nella maturità con astio e rabbia, pensando che sia il mondo avverso, il mondo FEMMINILE avverso delle  coetanee che vengono ritenute più fortunate (anzi, colluse, come si dice ora) ad aver sottratto loro possibilità (successi letterari, editor compiacenti, lettori di blog entusiasti, centralità nella dannatissima e superflua vita letteraria italiana della rete). Magari, soprattutto, le donne giovani che si ritengono schiacciate dalle loro sorelle e colleghe, che di certo, oh, non ne comprendono i talenti e anzi congiurano per non farli emergere. O che fanno spallucce davanti alle femministe, evidentemente e sempre esagitate, che evidentemente e sempre non scopano, non si lavano, misurano l’altezza dell’altrui tacco (e, evidentemente e sempre, sottraggono loro qualcosa).
Dovrebbero leggerlo coloro, qualunque sia la loro appartenenza sessuale e anagrafica, che attribuiscono alle altre (soprattutto alle altre, al femminile) la propria insoddisfazione: dimenticando, o non volendo sapere, che la scrittura è sempre la solita acqua di vita, ed è gratis, e che non si scrive per essere pubblicati, ma per scrivere (o così dovrebbe andare).
Dovrebbero leggerlo tutte e tutti coloro che non credono in un cammino comune. Non credono, insomma, che solo lavorando per le altre (e gli altri), sia pure in oscurità e povertà, si ottiene qualcuna. Buona Epifania.

“Consentitemi di immaginare, dal momento che i fatti sono così difficili a ottenersi, che cosa sarebbe accaduto se Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, chiamata Judith, poniamo. Molto probabilmente Shakespeare frequentò – perché sua madre era un’ereditiera – la scuola secondaria, dove è probabile che avesse imparato il latino- Ovidio, Virgilio e Orazio – e gli elementi base della grammatica e della logica. […] Nel frattempo quella sua sorella straordinariamente dotata, immaginiamo, rimaneva in casa. Era altrettanto desiderosa di avventura, altrettanto ricca di fantasia, altrettanto impaziente di vedere il mondo quanto lo era lui. Ma non venne mandata a scuola. Non ebbe la possibilità di imparare la grammatica e la logica, men che mai quella di leggere Orazio e Virgilio. Di tanto in tanto prendeva in mano un libro, magari uno di quelli di suo fratello, e ne leggeva alcune pagine. Ma a quel punto arrivavano i genitori e le dicevano di rammendare le calze o badare allo stufato e smetterla di fantasticare fra libri e fogli di carta. Avranno certo parlato con tono brusco ma gentile, perché erano gente concreta che sapeva come debbono vivere le donne e amavano la loro figlia – anzi, più facilmente di quanto non si creda, lei era la prediletta di suo padre. E’ possibile che scrivesse di nascosto qualche pagina, su in soffitta, ma stava bene attenta a nasconderla o bruciarla. Molto presto, però, ancor prima che fosse uscita dall’adolescenza, dovette essere promessa in moglie al figlio di un vicino mercante di lane. La ragazza gridò che il matrimonio le era odioso, e per averlo detto venne picchiata con violenza dal padre. Ma poi l’uomo smise di rimproverarla. Piuttosto la supplicò di non darle questo dolore, di non disonorarlo rifiutando il matrimonio. Disse che le avrebbe regalato una collana o una bella sottogonna; e aveva gli occhi pieni di lacrime. Come faceva a disobbedirgli? Come faceva a spezzargli il cuore? Fu la forza del talento che era in lei, da sola, a indurla a compiere quel gesto. Una notte d’estate la ragazza preparò un fagottello con le sue cose, si calò giù con una corda e prese la strada di Londra. Non aveva ancora diciassette anni. […]
Come suo fratello, lei possedeva il dono della più viva fantasia per la musicalità delle parole. Come lui, aveva una inclinazione per il teatro. Si fermò davanti alla porta degli attori; voleva recitare, disse. Quegli uomini le risero in faccia. L’impresario – un uomo grasso, dalle labbra carnose – scoppiò in una risata sguaiata. Urlò qualcosa a proposito dei cani ballerini e delle donne che volevano recitare – nessuna donna, disse, avrebbe mai potuto fare l’attrice. L’uomo fece intendere invece – vi lascio immaginare che cosa. Non avrebbe mai trovato qualcuno che le insegnasse quell’arte. E, del resto, avrebbe forse potuto cenare nelle taverne o andarsene in giro per strada a mezzanotte? Eppure il suo talento la spingeva verso la letteratura e desiderava ardentemente potersi nutrire in abbondanza della vita di uomini e donne e studiarne i costumi. E alla fine – poiché era molto giovane, stranamente somigliante nel volto a Shakespeare, il poeta, con gli stessi occhi grigi e le sopracciglia arrotondate, alla fine Nick Greene, l’attore impresario, ebbe compassione di lei; la ragazza si ritrovò incinta di quel gentiluomo e così – chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? – si uccise, in una notte d’inverno, ed è sepolta nei pressi di un incrocio, là dove oggi si fermano gli autobus vicino a Elephant and Castle.
(…)Shakespeare aveva una sorella; ma voi non cercatela nella biografia del poeta scritta da Sir Sidney Lee. Lei morì giovane, e ahimé non scrisse neanche una parola. È sepolta là dove si fermano gli autobus, di fronte alla stazione di Elephant and Castle. Ora, è mia ferma convinzione che questa poetessa che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Vive in voi,
e in me, e in molte altre donne che non sono qui stasera perché stanno lavando i piatti e mettendo a letto i bambini. Eppure lei è viva. Perché i grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono; hanno bisogno di un’opportunità per tornare in mezzo a noi in carne ed ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra, comincia a dipendere da voi. Poiché io credo che se vivremo ancora un altro secolo – e mi riferisco qui alla vita comune, che è poi la vita vera e no alle piccole vite isolate che viviamo come individui – e se riusciremo, ciascuna di noi, ad avere cinquecento sterline l’anno e una stanza tutta per sé; se prenderemo l’abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente quello che pensiamo; se ci allontaneremo un poco dalla stanza di soggiorno comune e guarderemo gli esseri umani non sempre in rapporto l’uno all’altro ma in rapporto alla realtà; e così pure il cielo, e gli alberi, o qualunque altra cosa, allo stesso modo; se guarderemo oltre lo spauracchio di Milton, perché nessun essere umano deve precluderci la visuale; se guarderemo in faccia il fatto – perché è un fatto – che non c’è neanche un braccio al quale dobbiamo appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole e dobbiamo entrare in
rapporto con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne, allora si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. Prendendo vita dalla vita di tutte quelle sconosciute che l’avevano preceduta, come suo fratello aveva fatto prima di lei, lei nascerà. Ma che lei possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte nostra, senza la precisa convinzione che una volta rinata le sarà possibile vivere e scrivere la sua poesia, è una cosa che davvero non possiamo aspettarci perché sarebbe impossibile. Ma io sono convinta che lei verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà e nell’oscurità, vale certamente la pena.

2 pensieri su “VIRGINIA WOOLF ALLE GIOVANI: PREPARARE IL RITORNO DI JUDITH SHAKESPEARE

  1. Virginia Woolf – Una stanza tutta per sé
    “La letteratura appartiene a tutti. Io mi rifiuto di consentirti, per quanto Custode tu sia, di scacciarmi dal prato. Chiudete a chiave le vostre biblioteche, se volete; ma non c’é cancello, né serratura, né chiavistello che voi possiate mettere alla libertà del mio pensiero.”
    pag. 155 – Einaudi tascabili.Serie bilingue – A Room of One’s Own

  2. D’accordo “Una stanza…”va letto e ci mancherebbe che una donna che scrive non lo abbia fatto!Il punto è che molti scrivono e non leggono abbastanza e questo è gravissimo e si percepisce in molti dei nostri “scrittori”, meno male che ci sono dei bravissimi traduttori. Penso che chi scrive voglia essere letto ma all’inizio è meglio essere letti da amici e parenti che abbiano il senso critico e la onestà di dire:”Zia, mamma, figlia, lascia perdere!”Ormai farsi leggere da qualcuno tra selfpub e internet non è difficile. Chi spera di guadagnarci è un illuso, chi spera nel successo in un paese che sforna 60mila titoli all’anno dove non leggono neanche gli scrittori è perlomeno molto disinformato/a.
    Ai tempi di Virginia, ricordiamocelo, le donne europee e americane erano già un pezzo avanti, sono tornate molto indietro con il fascismo e la guerra, hanno recuperato un bel po’ negli anni 70, riperso negli anni 80 con le veline e le rampanti e ora va un po’ meglio ma la strada del gioco dell’oca è lunghetta…

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