VOYEURISMO

Il simpatico quotidiano Libero pubblica ieri, nelle simpatiche pagine culturali, due articoli riuniti sotto lo stesso titolo. Da una parte un’intervista a Emanuele Trevi (peraltro fieramente contestata, oggi, dal medesimo), e una a Silvia Avallone. Nella quale vengo citata io.
Così.
“Ieri Loredana Lipperini di Repubblica, sul suo blog Lipperatura scriveva, non senza una punta d’invidia: “Acciaio, peraltro, viene ostinatamente dato come il favorito e promosso con uno spiegamento di forze visto, fin qui, di rado”. Secondo la giornalista, quello della Avallone è il lbro perfetto per vincere poiché “é un romanzo che si occupa di adolescenza (femminile) calandola nel sociale. Se non fosse, purtroppo, che quel sociale funziona per stereotipi”. La Lipperini arriva a sostenere che Acciaio sembra scritto seguendo i consigli del libro di Luca Ricci edito da Laterza e intitolato Come scrivere un bestseller in 57 giorni: “Evidentemente devo essere particolarmente dura a capire”, risponde la Avallone, “perchè per scrivere questo libro ho impiegato addirittura un anno invece che 57 giorni”.
Simpatici e prevedibili ragazzi, mettiamoci d’accordo: su quale argomento vi serve che posti? La crisi dell’editoria? Il creazionismo? L’opera d’arte ai tempi della sua riproducibilità tecnica? La ricetta della Sacher? Il testamento biologico?
Oppure, volete un consiglio di lettura? Casualmente ne ho qui due: La forma incerta dei sogni di Leonora Sartori (altra esordiente per Piemme) e Le ragazze del Nordest di Romolo Bugaro e Marco Franzoso. Libri che, guarda caso, si occupano anch’essi di infanzia e adolescenza femminile. Il giudizio ai lettori. E adesso, sciò:  trovate spunti da qualche altra parte per le vostre simpatiche polemiche letterarie.

51 pensieri su “VOYEURISMO

  1. Vabbeh dai Loredana puaretta s’è difesa:)
    Ci sarà rimasta male!
    Quello che trovo francamente ridicolo è la supposta invidia tua. Ma quelli eh fanno come tutti l’umani, ppresuppongono che gli altri funzionano come loro stessi, stessi valori, stesse ripicche, stesse motivazioni…

  2. Santa Rita nacque intorno l’anno 1381, probabilmente nel mese di ottobre, e morì il 22 maggio 1457. L’anno di nascita e la data di morte vennero accettate ufficialmente da papa Leone XIII quando la proclamò Santa il 24 maggio 1900.
    Margherita nasce a Roccaporena, a pochi chilometri da Cascia (PG), figlia unica di Antonio Lotti e Amata Ferri.
    I genitori, pacieri di Cristo nelle lotte politiche e familiari fra guelfi e ghibellini, diedero a Rita una buona educazione, insegnandole a scrivere e leggere.
    Già dalla tenera età Margherita era desiderosa di intraprendere il cammino che l’avrebbe portata verso la consacrazione a Dio, ma gli anziani genitori prima di morire, insistettero per vedere accasata la loro unica figlia. Mite e obbediente, Rita non volle contrariare i genitori e a soli sedici anni andò in sposa a Paolo di Ferdinando Mancini, giovane ben disposto, ma di carattere irruento. L’indole rissosa di Paolo non impedì a Rita, con ardente e tenero amore di sposa, di aiutarlo a cambiare. Ben presto nacquero i gemelli Giacomo Antonio e Paola Maria. Con una vita semplice, ricca di preghiera e di virtù, tutta dedita alla famiglia, Rita aiutò il marito a convertirsi e a condurre una vita onesta e laboriosa. Questo fu forse il periodo più bello della vita di Rita, ma fu attraversato e spezzato da un tragico evento: l’assassinio del marito, avvenuto in piena notte, presso il mulino di Remolida da Poggiodomo nella valle, sotto le balze di Collegiacone. Le ultime parole di Paolo, vittima dell’odio tra le fazioni, furono parole d’amore verso Rita e i suoi figli.
    Rita fu capace di una sconfinata pietà, coerente con il Vangelo di Dio cui era devota, perdonando pienamente chi le stava procurando tanto dolore. Al contrario i figli, influenzati dall’ambiente circostante, erano propensi e tentati dal desiderio di vendetta. I sentimenti di perdono e di mitezza di Rita non riuscivano a persuadere i ragazzi. Allora Rita arrivò a pregare Dio per la morte dei figli, piuttosto che saperli macchiati del sangue fraterno: entrambi morirono di malattia in giovane età, a meno di un anno di distanza dalla morte del padre.
    Rita ormai sola, e con il cuore straziato da tanto dolore, si adoperò a opere di misericordia e, soprattutto, a gesti di pacificazione della parentela verso gli uccisori del marito, condizione necessaria per essere ammessa in monastero, a coronazione del grande desiderio che Rita serbava in cuore sin da fanciulla. Per ben tre volte bussò alla porta del Monastero Agostiniano di santa Maria Maddalena a Cascia, ma solo nel 1417 fu accolta in quel luogo, ove visse per quarant’anni, servendo Dio ed il prossimo con una generosità gioiosa e attenta ai drammi del suo ambiente e della Chiesa del suo tempo.
    La sera di un Venerdì Santo, dopo la tradizionale processione del Cristo Morto, avvenne un prodigio che durò per tutti i suoi ultimi quindici anni di vita: Rita ricevette sulla fronte la stigmate di una delle spine di Cristo, completando così nella sua carne i patimenti di Gesù. Rita ne sopportò il dolore con gioiosa ed eroica forza. Salvo una breve parentesi, in occasione della visita a Roma per acquistare le indulgenze romane, la ferita rimase aperta sulla fronte di Rita fino al termine della sua vita terrena. Morì beata il giorno di sabato 22 maggio 1457.

  3. Zauberei, e chi dice niente su Silvia Avallone? Peraltro, vorrei che fosse molto chiaro che io ho criticato un testo, non chi lo ha scritto: ed è pratica che sarebbe bello si diffondesse.
    Piccole donne crescono: tutto bene? Una camomilla?

  4. Le parole scritte sul libro dell’Avallone dovrebbero rientrare nella categoria caduta in disuso della critica letteraria, o meglio, della recensione. Quest’ultima in Italia è intesa ormai come mezzo commerciale, assimilabile anche al necrologio (dei morti bisogna parlare solo bene, altrimenti è meglio tacere). Ci si sbaglia di grosso, perché con il ritorno della fiducia dei lettori nei recensori la critica stimola anche le vendite.

  5. Per dire che anche Santa Rita ha avuto un’infanzia e adolescenza femminili e che quindi le sue agiografie meriterebbero lo Strega anzichenò?
    Il bello delle cose sarebbe se qualcuno si prendesse la briga di mandare a Silvia Avallone un link al tuo blog, che così se lo legge da sé. Non che non potrebbe pensarci da sola, ma quando ti intervistano le prime volte ci vuole un momento a far mente locale e capire come funziona il fiore del giornalismo nostrano. Poi dopo le prime 3-4 interviste uno si abitua, cominica a rendersi conto della discrepanza dal proprio detto e dall’altrui scritto e dove può, forse, capisce che è meglio informarsi sulle fonti.
    Eh, si, le critiche ad personam ormai ci vengono appanate dalle leggi idem, e quindi uno si confonde.

  6. Ci sono arrivata 🙂
    Oltretutto, non è che io stronchi romanzi tutti i giorni, mi pare. Semplicemente, notavo la discrepanza fra qualità del romanzo e invasione promozionale. E sono anche un po’ stufa dei paragoni con Giordano: la tecnica narrativa di Giordano è, onestamente, non confrontabile con i testi di cui si parla quest’anno come suoi affini.

  7. ma a Libero scrivere una roba che non stimoli bile non gli riesce proprio? anche quando aprono virgolette e citano, ci insinuano un’intenzione, un malanimo che vedono solo loro: invidia, ma de che?
    come dice zaub, trattasi di proiezione, essendo loro sempre così “bendisposti” verso il prossimo, l’intero genere umano non può essere diverso.
    l’esordiente avrà abbastanza sale da venire qua e leggere il post, e capirà.

  8. Qua ritorna la vexata quaestio di Nori e Libero. E’ pacifico che Nori pubblica su Libero, perché il contenuto che pubblica è a tutti gli effetti di destra. Lo sta dimostrando Stefano Jossa con metodo convincente proprio in questi giorni. La concessione di un’intervista a Libero, che ha nel tempo attaccato *sistematicamente* con nome e cognome chiunque abbia espresso opinioni anche livemente di sinistra (diciamo che ho toccato con mano la questione), può indicare solo due cose: o la ragazza è ignara del dibattito culturale in corso, la qual cosa è grave per una scrittrice che si presenta come giovane leva della sinistra. Oppure la ragazza è tutt’altro che una giovane leva della sinistra, come d’altronde dimostra il testo stesso, che contiene parti altamente offensive nei confronti del contesto operaio in cui il suo romanzo è ambientato (qui però invito a leggere il testo, aldilà delle chicchiere da bar). Per dire, l’ambiente delle acciaierie di Piombino fu oggetto di un bellissimo romanzo di Ermanno Rea, La dismissione (2002), in cui si affrontava la questione con un taglio impegnato, altroché le menate di due ragazzette la cui massima ambizione è andare in vacanza in posti fichi!
    L’utilizzo della parola “indivia”, poi, (un termine forte e davvero offensivo, specie quando detto da donna a donna) da parte di una neolaureata nonché neofita del circo barnum dell’editoria nostrana, nei confronti di chi ha dato abbondante prova negli anni di svolgere il proprio lavoro con serietà e in maniera equa e oggettiva, lo trovo inqualificabile, e purtroppo dà l’idea che dietro questo atteggiamento ci siano influenze poco salutari per la ragazza.
    Inoltre: addirittura un anno per scrivere un romanzo? Hugo era proprio un pivello allora, visto che ci metteva tutto quel tempo.
    Comunque la ricetta della Sacher la discuterei molto più volentieri, visto che ci sono parecchie varianti 🙂

  9. Sempre che la parola “invidia” sia stata usata dalla Avallone.
    Potrebbe sembrare più una forzatura “liberesca”.
    Comunque la mia ricetta è appena decente, invidio fortemente i custodi del segreto di Franz Sacher.

  10. Secondo me, mitica Lipper, quando ti ritrovi criticata e\o citata e\o presa in giro sulle pagine culturali di Libero, puoi solo essere fiera di te.
    Perché non v’è prova migliore della bontà e dell’onestà del lavoro che vai facendo da anni memorabili a questa parte.

  11. Sul web l’intervista di Libero a Silvia Avallone non sono riuscita a trovarla, ma dalle parole riportate nel post sembra che il termine ‘invidia’ non sia sua ma dell’intervistatore, che in modo abbastanza singolare utilizza l’espressione ‘arriva a sostenere’ per una giudizio critico di L.L. motivato dalla lettura di un libro, mentre egli stesso ‘arriva a sostere’ l’attribuzione di un’emozione basata, con tutta evidenza, sulla lettura del pensiero.
    Ora, io Silvia Avallone non l’ho letta, per cui non so dire nulla di lei e del suo libro. Quello che mi sta sotto gli occhi è la sua sovraesposione mediatica, cosa che qualche riflessione può indurla a farla.
    Sulla scia della discussione con Gilda Policastro, mi chiedo infatti: perché su libro dell’Avallone un faro di luce fisso e sul libro di Raffaella D’Elia l’oscurità più completa?
    Per curiosità ho fatto alcune ricerche su ‘Adorazione’ sia in libreria che sul web, e della D’Elia pochissime notizie: una scheda bibliografica del suo libro, la notizia che è stato presentato a dicembre a Roma da Cortellessa e Trevi, l’assenza del suo nome dall’elenco degli autori della sua stessa casa editrice, l’imbarazzo dei librai che non sembrano nemmeno in grado di ordinarlo.
    Posso acquistarlo in rete, ovviamente: ibs me lo procura in uno o due giorni.
    Fatto libero il campo dall’invidia, rimane comunque una grande perplessità.

  12. Correggo solo: “cosa che qualche riflessione può indurla a farla” con “Cosa che può indurre a fare qualche riflessione”. Sugli altri errori spero nella vostra benevolenza.

  13. @Valeria: di scrittrici di valore ne sono uscite parecchie negli ultimi due anni, cito solo Patrizia Patelli, che ha proposto un libro molto forte sul rapporto con la morte della madre, o Laura Liberale, con un bellissimo romanzo breve sulla rappresentazione della morte nell’occidente (visto con occhi di un’indologa, oltre che artista), due romanzi affini per tema ma che propongono prospettive speculari su un argomento così importante. Ci sono insomma parecchie novità editoriali per chi si occupa di narrativa al femminile. D’Elia è stata presentata da Cortellessa e questo costituisce già una fortuna, visto che si tratta del critico più controverso che abbiamo in Italia, e quindi fa notizia. Ma ci sono tante altre altre piccole opere, di piccoli editori, significative anche perché catturano lo spirito dei tempi, e tutte meriterebbero una menzione. Il faro puntato su un solo romanzo, dai contenuti di una banalità estrema, caratterizzazione inesistente, struttura che definire fragile è già un complimento (un finale aperto, come se qualcuno si auspicasse il sequel…), per non parlare degli stereotipi su cui si basa la vicenda (basti citare il lesbismo che arriva come risposta a un padre violento, nulla di più fasullo per chi ha una seppur minima conoscenza del mondo omosessuale. Qua siamo a livello di Povia “Luca era gay”). Insomma, volendo scegliere bene, qualcuno/a da premiare perché ha scritto un bel romanzo lo si troverebbe. Il faro puntato proprio qui è ovviamente sintomatico di un’operazione commerciale.
    E come ha detto bene Loredana, è ora di smetterla di paragonare questo romanzo a quello di Giordano, perché la storia dei numeri primi sarà stata anche un po’ banalotta e magari irritante per certi versi, ma almeno era scritta bene.
    Aggiungo una considerazione: se siamo arrivati a “chi è meno peggio fra Giordano e Avallone?”, allora davvero direi che l’editoria è morta (si badi: non la narrazione, che è viva e anzi gode di ottima salute, lontano dai riflettori di Libero e dello Strega).

  14. Scusate, sono io che non ci vedo o cosa?
    Non voglio fare lo strutturalista, semplicemente copio e incollo:
    “Ieri Loredana Lipperini di Repubblica, sul suo blog Lipperatura scriveva, non senza una punta d’invidia” ecc.
    Nel post dell’altroieri ho letto (lo so, estraggo come pare a me, ma insomma): “tanto a rischiare è il solo esordiente, pronto a finire nel cestino caso mai non funzionasse e se la veda lui, o lei.”
    A me questa frase non comunica invidia. Mi sembra piuttosto un’affermazione in difesa dell’esordiente sballottato, no? Poi c’è il parere di merito, e questi sono affari della signora Lipperini. Mica scrive romanzi con padri picchiatori e cubiste e via dicendo (mi pare). Quindi dov’è l’invidia? Le due signore non fanno lo stesso sport, non giocano nemmeno nello stesso stadio.
    Poi.
    “La Lipperini arriva a sostenere che Acciaio sembra scritto seguendo i consigli del libro di Luca Ricci…” ecc.
    Ahò, io avevo letto: “Più o meno, quel che aveva raccontato Luca Ricci nel suo perfido ma salutare libretto”.
    È sostenere che sembra scritto seguendo i consigli, questo? No, significa: temi simili. Leggo male? Non parlo italico?
    Sintesi: ma perché in questi anni in questo paese c’è sempre più gente che ribatte prima di aver ascoltato, prima di aver letto? Bhò.

  15. @piccole liale crescono. Grazie, p.l.c. Sì, certo, il mio era solo un esempio e la mia perplessità è aumentata dal fatto che neppure la presentazione di Trevi e Cortellessa (nell’aurea sede della ‘casa della cultura) è utile per avere una copia di un tuo libro in libreria.

  16. Ah, beh, la punta di invidia! Ecco perché! Il processo alle intenzioni, la sfera di cristallo con cui si legge negli animi altrui, oppure lo specchio deformante di casa nostra con cui osserviamo l’immagine degli altri che vi si riflettono e scambiamo i nostri occhi per il soggetto osservato… Ma non stupiamoci di trovare questi ottimi esercizi della ragion critica in ‘sto giornale liberissimo: l’invidia, insieme all’odio, alla gelosia, è uno di quei sentimenti che i sudditi del Partito dell’Amore addebitano a chi non si genuflette. E’ comica però quella “punta d’invidia”: non dice nulla sulla persona presa di mira ma dice qualcosa su chi la prende di mira, cioè sul metodo d’analisi adottato.
    Come nella migliore tradizione del giornale più libero che mai, poi, ovvio che mancano le argomentazioni per provare simili fregnacce…
    Signora Loredana, lei di che segno è? Perché, ad esempio, se fosse dello Scorpione, si spiegherebbe ulterioremente quella sua punta di…
    Credo che chi si prodiga in riconoscimenti delle punte di invidia altrui, dovrebbe anche dir qualcosa sui segni zodiacali relativi.

  17. Anita, beccata: sono Scorpione 🙂 E non conosco neanche la vera ricetta della Sacher.
    Per quanto riguarda lo Strega. Io trovo davvero insopportabile l’idea della turnazione delle case editrici. Non mi interessa se lo scorso anno ha vinto Einaudi: io trovo che Nicola Lagioia, per esempio, meriterebbe eccome di essere candidato. Per esempio.
    Claudia, grazie per aver ricordato il libro di Ermanno Rea, peraltro.

  18. Io faccio una buonissima imitazione della sacher, merito anche0 di mamma austriaca, penso (e dei suoi ricettari in lingua)…
    Quanto a Loredana, non la ringrazierò mai abbastanza per tutti gli ottimi consigli (e segnalazioni).
    (Ah, e se fossi una scrittrice sarei oltremodo lusingata di sapere che una come Loredana Liperini si interessa del mio lavoro…)

  19. tuo malgrado sei entrata nella (folta) schiera del “nemico”.
    Però te lo potevi aspettare: sei una voce pubblica e, a colpi discreti di onestà intellettuale (decisamente fuori moda oggi), ti sei messa a fare le pulci a Libero.
    Continua il tuo lavoro con lo scupolo di sempre e non avrai problemi.
    Ti posso fare solo un appunto: la sacher è sopravvalutata, viva la torta della nonna

  20. Paco, io non mi sono messa a fare le pulci a Libero, in quel caso: ho semplicemente parlato di un romanzo che non mi era piaciuto, senza conoscere una serie di risvolti che stanno facendo crollare, al momento, un’intera visione delle affinità letterarie e culturali.
    Che tristezza.
    Domani, ricetta di torta della nonna, che di editoria non ha senso parlare.

  21. intendevo i precedenti post su Libero Nori ecc. – discussione che è ovunque in rete, ma tu hai espresso giudizi chiari (e condivisibili)

  22. Loredana, gulp! Ma veramente? Allora aspettiamoci la prossima critica del libero giornale dell’Amore, critica che non potrà più prescindere dalla premessa che Loredana Lipperini, appunto, poiché è dello Scorpione, scrive critiche caratterizzate da una conseguente punta d’invidia.
    😀

  23. Vedo che, come al solito, i messaggi in lode della Lippa restano, gli altri sistematicamente spariscono. Altro che colpi di onestà: colpi di censura, direi.

  24. No. E’ una risposta molto dura di Trevi che contesta l’intervista fattagli da Giordano Tedoldi. Devo dire, con quella che mi sembra,ribadisco mi sembra, una marcia indietro rispetto alle sue precedenti posizioni sulla collaborazione di Paolo Nori con Libero….

  25. Io allargherei il campo anche all’atteggiamento degli scrittori. Ci sono due question in Italia: da un lato, mancano critici che esprimano opinioni negative su un libro, argomentandole. Quando questo accade scatta la difesa stizzita, NON TANTO E NON SOLO dell’autore/autrice, ma della corte dei miracoli che si associa a lui/lei. Corte dei miracoli, badate bene, che non sempre e’ stata richiesta dall’autore in questione.
    Dall’altro lato, poi c’e’ un’altra questione: avete mai letto di autori italiani FAMOSI che dicano “a me il libro di X mi ha fatto proprio schifo”. Oppure l’autore Z che dica “ecco, io non so come possano pubblicare quelle boiate di Mister C”.
    Da noi e’ tutto un “modello Mollica”. Tutti zitti, pacche sulle spalle e sguardi altezzosi. Altrove no. King ha parlato malissimo della Meyer e di Glen Beck. Philip Pulman ha detto che Dan Brown scrive coi piedi (ALLELUJA!!!), Scott Card ha attaccato pesantemente la Rowling. Dale Peck ha preso a pugni in faccia Stanley Crouch…
    Da noi, invece, muti.

  26. C’è da dire una cosa: accusare di ‘invidia’ chi critica (critica con la c minuscola, che mi piace e non con la Maiuscola Teorica che tanto odio) un libro è una vecchia strategia. Vecchia e abusata, e di solito riservata ai luoghi più beceri della Rete. E siamo seri: di questi tempi, chi mai potrebbe invidiare uno Strega?

  27. Ah, ecco: allora quel botto che s’è sentito mercoledì era Emanuele Trevi che cascava dal pero e batteva la testa al suolo. E Nori cosa fa, resta sul ramo? :-/

  28. Io ho letto, per dovere diciamo così, contemporaneamente: Acciaio, Zoo col semaforo, Ragazze del Nord-est e Bianca come il latte e rossa come il sangue e devo dire che a parte un’eccezione, tutti mi hanno instillato l’impazienza di tornare alla mia letteratura straniera 🙂
    Però visto che su Acciaio hai espresso un giudizio molto forte (e visto l’argomento del post assolutamente legittimo!) e che in parte pure condivido, mi chiedevo, sempre che non abbia frainteso visto che oggi la febbre mi fa vaneggiare un po’, non trovi che anche Ragazze del Nord-est sia pieno di luoghi comuni? E che anzi forse in questo volume il quale, diversamente dal romanzo di Avallone si profila come un’inchiesta e quindi dovrebbe restituire l’immagine, pur parziale, di una realtà, il senso di scontato, banale, prevedibile delle storie selezionate, sia ancora più grave ed esecrabile? Io ho aperto il volume immaginando esattamente cosa ci avrei trovato dentro, senza averne letto in giro, e penso di aver imbroccato addirittura anche i visi più o meno di tutte le protagoniste!
    Tu hai trovato che abbiano trattato con meno banalità e meno prevedibilità il tema dell’adolescenza e del femminile?

  29. Lo hanno trattato in modo senz’altro contestabile, eppure è un libro che mi sento di consigliare perchè ha almeno tentato un approccio non canonico. In dettaglio, ho parecchie critiche da fare e le farò (a Fahrenheit) agli autori. Però va letto, per me.
    Seia, fuori il nome dell’eccezione, ora.

  30. Mi “costringi” ad ascoltare la radio 😉 Potresti chiedergli da parte mia perché proprio quelle ragazze, perché hanno deciso che quelle ragazze rappresentassero il nord-est: le hanno cercate apposta? Sono capitate? Nel mucchio sono effettivamente un campione attendibile? La mia idea è che molto sia pretestuoso, che storie come quelle non sono del nord-est ma di molta provincia italiana e non solo. Come in Acciaio peraltro, per cui Piombino è solo un’ambientazione come un’altra.
    La mia eccezione è Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo per Nutrimenti, per quanto abbia alcune ingenuità, se consideriamo la giovanissima età dell’autore, ma anche prescindendo da questa però – pensiamo al professore autore del libro Mondadori! – il libro è orginale, con una struttura articolata a scatole cinese con un libro dentro un altro libro e quest’ultimo fatto di tanti racconti su animali e uomini per poi descrivere una comune sofferenza, un dolore diffuso, un malessere non banale. E poi una scrittura surrealmente poetica a tratti, ma fredda e quasi chirurgica in altri, quando fotografa la periferia casertana con il suo degrado e il rapporto tra uomini e cani , pit-bull, uniti da un destino tragico. Decisamente oltre la media italiana e poco italiano, se mi consentite lo sciovinismo 🙂

  31. Trevi ha voluto fare l’intellettuale di sinistra ma controcorrente. Peccato che appena Tedoldi l’ha scritte quelle cose che lui ha detto su Il Manifesto in difesa di Paolo Nori (perché l’ha dette – me l’ha confermato Tedoldi), se l’è fatta sotto.

  32. “Peraltro, vorrei che fosse molto chiaro che io ho criticato un testo, non chi lo ha scritto: ed è pratica che sarebbe bello si diffondesse.”
    Si, lo sarebbe. Ma siamo in pieno genere fantascientifico, altro che “fiction”. Il problema è che per criticare un testo c’è bisogno che lo si legga, pratica ultimamente non molto diffusa.
    Riguardo lo stile di Giordano da te menzionato, ho alcune riserve. Ma son gusti.
    A presto,
    Luigi

  33. ottimo il riferimento a “la dismissione” … quello sì…
    che questa ragazzina (classe ’84) e bravina, per carità, bravina (il libro lo sto leggiucchiando proprio oggi) sia finita nelle grinfie di Libero facendo l’ingranaggio del sistema di aggressione verbale ci sta. D’altra parte, sono degli anni Ottanta anche Borgonovo e Tedoldi: sarà l’età…
    Aggiungo nota completamente superflua (come il resto, peraltro): il mio Strega è senza dubbio a Nicola Lagioia. Romanzo davvero indovinato, scritto divinamente, pieno di implicazioni serie. Un gran bel libro. Che non vinca perché era Einaudi quello di Scarpa è un vero autogol della stramaledetta “società letteraria” !

  34. Marco, prontissima a candidare Lagioia “dal basso”. Che ne pensi? Credo che sarebbe sicuramente inutile, ma che un segnale potrebbe essere interessante.
    E dimostrare che ci sono trentenni e trentenni, quelli che pensano che la scrittura sia solo una variante dell’essere presenti e quelli che sanno cosa significa.

  35. Lagioia andrebbe candidato dal basso come dall’alto. Il suo romanzo (ma io allargherei al lavoro di scrittura oltre che alla costruzione della trama ecc.) è uno spaccato storico e politico che altri narratori, esordienti e non, se lo sognano. E farebbero carte false per poterlo far loro, riprodurre.

  36. Cercansi scrittori VERI, con romanzi che insegnino qualcosa, scritti in uno stile che si possa definire letterario! Che invece “scrivere” si sia ridotto a riprodurre l’esistente, anzi a degradarlo ulteriormente nei luoghi comuni e nelle banalità che “fanno tendenza”…questo lo trovo deleterio e devastante! Se si reiniziasse a valutare come SCRITTORI quelli che davvero lo sono? Capisco: opere serie rischiano di non fare abbastanza CASSETTA !!!

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