Non torno esattamente su Squid Game (che è anche ingenuotta come serie, alla fin della fiera: nel senso che è prevedibile e che ogni carattere è esagerato quasi fino alla parodia): su quello, vi invito a leggere quanto scritto da Enrico Galiano qui (a proposito, essendo in là con gli anni, rispondo a un dubbio di Galiano: ebbene sì, L’uomo tigre e Ken il guerriero erano criticatissimi e, sì, qualcuno ha gridato censura, dio mio).
Mi interessa invece riprendere un vecchio ragionamento sull’iperprotezione che da almeno una trentina d’anni si applica su bambine e bambini, salvo poi applicare comportamenti e sventolar modelli che sono molto, ma molto più pericolosi.
La prendo da lontano: qualche anno fa (a occhio, visto l’argomento, dovremmo essere nel 2014 o 2015), mi arrivò un sms che non ho dimenticato. Avevamo parlato, in trasmissione, della polemica su Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, uno dei capolavori della letteratura per l’infanzia. Che venne accusato di tutto e per cui venne richiesto il rogo, prima dalle mamme appartenenti al gruppo Rinnovamento per lo Spirito Santo (giuro) e poi dal sindaco di Venezia, Brugnaro. Un libro bellissimo, dove si parla semplicemente di amicizia, e dove è stato visto ogni male (il gender, in particolare, e pazienza).
Bene, il messaggio che arrivò, e che ricordo benissimo, diceva: “bravi, continuate a difendere Piccolo blu e piccolo giallo, perché se i bambini seguono l’esempio di Piccolo blu e scappano di casa e vengono investiti da una macchina è colpa vostra”.
Curare e proteggere, ovvero, si identificano con censura, nascondi, illudi. Quando, ed era il 2016, uno spazientito direttore d’orchestra alle prese con un concerto di musiche da Disney e con un pubblico giovanissimo e molto irrequieto sbottò dicendo ai bambini “Babbo Natale non esiste”, un folto gruppo di madri ne pretese la testa. Invece di prendere lo spunto da quella frase per raccontare una storia, magari, e per rinforzare la magia incrinata. Quello che passò, fu il vecchio ritornello: guai a chi provoca un trauma al mio piccino. Peccato che la vita sia fatta di traumi. E se un adulto ha un compito, è quello di allenare, con cura e fantasia, a superare quei traumi, non a evitarli.
Una signora che non conosco, e che si racconta come mamma, mi rimprovera su Facebook perché non invoco l’intervento dello Stato contro Squid Game e con l’orario della trasmissione La zanzara, che “va in onda in un orario che è quello dove i genitori tornano dallo sport o altra attività con i bambini…”. Ecco, questo furore io non lo capisco. Non se basta spegnere la radio e spegnere la televisione: specie, vorrei sottolineare, SE è sintonizzata sui terribili programmi del pomeriggio NON DI FICTION ma dove si insegue il delitto il pettegolezzo altro. Non dimentico un giorno di tanti anni fa, i figli erano bambini, quando durante l’intervallo di Roma-Manchester che stavamo guardando insieme appare lo spot di Porta a Porta e Bruno Vespa sorridendo chiede: “Zoccolo o mestolo?”. La puntata era dedicata all’omicidio di Cogne, e la domanda era relativa allo strumento usato per uccidere un bambino. Non era fiction. Non c’erano tute verdi o fucsia. E i bambini e le bambine (che pure non dovrebbero accedere a programmi per i più grandi) sanno distinguere molto meglio di un adulto, fidatevi.
Ma c’è un’altra cosa a cui penso. Questa mattina ho letto il post di uno scrittore intorno ai trent’anni. Pieno di dolore e di frustrazione per il successo di altri e non suo. Non è il primo che leggo e non sarà l’ultimo. Ma una domanda ai miei coetanei, che di questo giovane uomo possono essere genitori, sento di farla: come mai tanta protezione nei confronti di quel che può turbare un bambino e contemporaneamente (non sempre e non tutti, ovvio) poca alla disperante, terribile spinta verso il successo a tutti i costi che caratterizza chi è nato alla fine degli anni Ottanta, e anche quelli che sono nati dopo? Fa più male una sparatoria col sangue fintissimo o il reiterato modello del vincente? Perché, guarda caso, quel modello è esattamente il tema di Squid Game, e di molte altre storie. E al di là di tutto penso che quella sarebbe, o sarebbe stata, o sarà, la vera battaglia da intraprendere.